Vivere d’ansia
La Regina del Millennio
L’emotività è una componente essenziale dell’uomo, che ne definisce precisamente l’umanità. La convivenza, nell’essere umano, di razionalità ed emotività, di ragione e istinto, è fondamentale e imprescindibile, sebbene spesso le emozioni siano viste come una debolezza, un’imperfezione, qualcosa che, essendo legata a meccanismi innati, istintivi e a tratti primordiali, ci riavvicina agli animali dai quali ci sentiamo emancipati grazie alla ragione.
Viviamo in un momento storico bizzarro. Rispetto al passato si nota sicuramente una ben maggiore apertura nei confronti dell’emotività: le nostre emozioni non sono più il tabù che potevano essere qualche decennio fa, anzi c’è un sempre più diffuso desiderio di andare a fondo nell’esplorazione della propria sfera emotiva, una maggiore libertà anche nel rivolgersi a specialisti del settore, pratica ormai comune che un tempo sarebbe stata considerata motivo di vergogna e stigma, perché lo psicologo era per i pazzi. Tuttavia, rimane una strana, e forse poco sana, dicotomia. In un momento in cui la fragilità emotiva è sempre più diffusa, sembra che per essere protagonista l’emozione vada vissuta ed esternata in modo plateale, e lo vediamo anche a livello mediatico, laddove assistiamo a continue esplosioni di emozioni sui social e nei più svariati programmi tv; esplosioni che però, proprio per insistenza, frequenza ed eccessività, tendono irrimediabilmente ad apparirci fittizie e ci lasciano scettici. Nella vita quotidiana, in realtà, la tensione all’analisi dell’emozione è controbilanciata da una resistenza ancora ben lontana dall’essere vinta. A volte sembra quasi che ci piaccia indugiare sulle nostre emozioni quando queste sono esagerate, quasi a scopo ludico o esibizionistico, mentre fatichiamo ad esprimere il nostro sentire emotivo più profondo, per pudicizia, riservatezza e soprattutto, spesso, vergogna. Perché provare emozioni, frequentemente anche scomode, ci mette a disagio, ci rende vulnerabili, è tuttora associato alla fallibilità (tant’è che permane l’idea maschilista secondo cui l’essere emotivo è la donna, debole, e quello razionale l’uomo, forte). E non lasciamoci ingannare da ciò che si insinua nella sempre più diffusa mancanza di educazione: quella non si chiama emotività, è solo maleducazione.
Ilaria Gaspari affronta sapientemente il tema nel suo volume Vita segreta delle emozioni.
“Mi ci è voluto molto tempo per comprendere che essere emotivi non significa essere instabili o squilibrati: solo essere vivi, aperti e vulnerabili all’esperienza del mondo”1 scrive Gaspari, che sottolinea poi l’importanza di fidarci delle nostre emozioni, di non rinnegarle. “[…] succede che, per non esserci fidati in prima battuta di quello che sentivamo, ci troviamo prigionieri di un’impasse: da quel che abbiamo represso è nato qualcos’altro, qualcosa di più forte e tenace, che ci può – ora sì – dominare. Vergogna, paura: «passioni tristi», insidiose perché ci costringono ad avvitarci su noi stessi, ci allontanano dagli altri; ci impediscono di fare progressi, di conoscerci in profondità, che è la condizione essenziale per poter sperare di essere felici. Tanto vale, allora, provare a conoscerle, le nostre emozioni, e quelle degli altri. Pure quelle tristi: per evitare che ci imprigionino e ci ricattino. Tanto vale provarci, a uscire da uno stato di analfabetismo emotivo che genera incomprensione e qualche volta, addirittura, violenza.”2.
Le emozioni sono tante, tantissime, dalle mille sfumature, ma se ce n’è una che domina innegabilmente il momento storico in cui viviamo è lei, l’ansia. Un’emozione comune e diffusa, ma comunque difficile da interpretare. L’ansia si discosta dalla paura, poiché non viene innescata da un oggetto particolare da cui sfuggire, come potrebbe accadere nel caso di un pericolo momentaneo.
“Il pericolo che scatena l’ansia, invece, è come se fosse riassorbito in chi la prova: è un pericolo costante ma invisibile, indefinito. È un pericolo che abita l’ansioso, che vive nella sua testa e nel suo cuore […]c’è posto solo per la piú stolida ansia, per l’ansia che cresce quando ci accorgiamo che è arrivata, qualche volta persino per l’ansia che nasce dalla constatazione di non essere abbastanza in ansia. Ma è tutto invisibile, tutto nascosto, tutto rinchiuso nelle recondite profondità del povero soggetto […] L’ansia è una paura senza oggetto, e quindi senza sfogo. […] L’ansia è una paura che arriva per restare, che in parte ci spaventa e in parte ci consola. È un’abitudine alla paura, con qualcosa di infantile che le permette di perdurare, di cronicizzarsi superando la crisi acuta.”3.
L’ansia è la regina di questo strano millennio e in special modo di questo ultimo, disgraziato biennio.
“L’attuale Generazione Y, quella dei nati alla fine del ‘900, è caratterizzata dalla rivoluzione digitale, dalla perdita di legame con la mitologia idealista di metà secolo scorso e dal ritrovarsi un mondo globalizzato ove il problema sostanziale diviene esistenziale, di sopravvivenza, di accettazione di un ambiente sovrappopolato dove l’identità individuale scompare, schiacciata dalla dimensione indefinita del formicaio globale. L’incapacità di credere in un futuro prossimo, di avere strumenti per costruirlo, di sostanziare le relazioni elettroniche in rapporti di vita tangibili, genera ansia. Ansia quindi è la patologia del nuovo millennio, la paura della relazione sociale, del confronto con qualsiasi cosa possa metterci in discussione.”4.
L’ansia è forse l’emozione più rappresentativa dei Millenial e delle generazioni successive, che effettivamente hanno svariati motivi per conoscerla come frequente compagna di vita. Lo spiega alla perfezione Enrica Amaturo, Presidente dell’Associazione Italiana di Sociologia e Direttore del Dipartimento di Scienze Sociali all’Università Federico II di Napoli, in un’intervista rilasciata a Wired: “Il fattore scatenante dell’ansia è la condanna dei giovani all’irrilevanza sociale. La perdita delle opportunità. Per i giovani si è completamente infranta quella catena del passaggio dall’età giovanile all’età adulta che consisteva nell’uscire di casa, trovare un lavoro, costruire un nucleo familiare. Questa sequenza non c’è più per il ritardo dell’ingresso nel mercato del lavoro, per la difficoltà nel trovare un inserimento. Li abbiamo condannati ad una situazione di adolescenza protratta, come se loro non avessero capacità di incidere sulla realtà e sulla loro vita e in cambio gli abbiamo dato un bel kinderheim (struttura in cui vengono ospitati e sorvegliati bambini, specialmente per le vacanze ndr), che è il mondo del web, dove possono fare ciò che vogliono, un mondo virtuale che è anche reale, ma è reale solo per i “migliori”, coloro che riescono a sfruttarne le possibilità. Mentre continuiamo a diffondere l’idea che il web consenta opportunità incredibili e questo scatena la depressione e l’ansia in chi, invece, queste opportunità non le riesce a cogliere.”5.
Generazioni dell’ansia, calate in una società e in una cultura dell’ansia.
Linda Armano ricorda come nella geografia culturale delle emozioni, l’ansia sia stata considerata l’emozione occidentale più tipica e spiega, riprendendo Giddens, che le società occidentali si basano su una cultura storica della razionalità, del controllo e della speranza teleologica in un progresso senza fine e si caratterizzano per una bassa tolleranza all’incertezza.
Questo periodo storico, fa poi notare, rappresenta un caso esemplare in cui analizzare lo stato emotivo di ansia generato da un improvviso evento destabilizzante. “La precarietà, l’incertezza e l’insicurezza non sono mai state così evidenti – almeno dal dopoguerra in poi – come nell’attuale condizione di pandemia (Lee 2020). La crisi scatenata dal Covid-19 è fonte di ansia pervasiva ed interessa le relazioni sociali, l’impatto sui sistemi economici e sanitari e rivela inquietanti scenari di collettiva ignoranza scientifica. In questo senso, la diffusione emotiva dell’ansia è legata alla messa in discussione delle conoscenze scientifiche, alla capacità politica di reagire rapidamente alla crisi e alla necessità degli individui di riorganizzare la loro quotidianità sulla base di disposizioni inedite, non quotidiane e spesso poco chiare.”6.
L’emergenza Covid-19, continua Armano, è stata il più grande evento emotivo di massa dalla Seconda guerra mondiale e ha generato un’epidemia globale di ansia.
E quando il Covid sembrava agli sgoccioli è scoppiata la guerra in Ucraina, ripiombandoci in uno scenario che non credevamo si potesse riproporre così vicino a noi, e mentre ancora cerchiamo di capire come affrontare la situazione, si fanno a poco a poco strada strisciando la peste suina e soprattutto il vaiolo delle scimmie, funesto presagio della possibilità di una nuova pandemia che in questo momento forse non saremmo in grado di affrontare.
Insomma, del Bonus Psicologo avevamo davvero bisogno…
Una presenza ingombrante, quella dell’ansia, e da cui nessuno è risparmiato. Proprio per questo, quindi, è importante imparare a conoscerla e sviscerarla, onde evitare di restarne vittime inermi e bloccate. È ancora Gaspari ad offrirci un contributo importante, in quest’ottica. L’autrice sottolinea come dal Novecento in avanti l’ansia torni ad essere considerata una malattia da curare e sedare, ma è sempre giusto, si domanda, cercare di rimuoverla? Il primo a trattare l’ansia da malattia è stato Freud, ci ricorda, parlando di una specifica forma di nevrastenia che viene identificata quale via dell’inconscio per raccontare un dolore: la cura non è la rimozione, bensì lasciare che l’ansia parli. “Dovremmo stare attenti, oggi che abbiamo la fortuna di poter addormentare l’ansia con rimedi più sofisticati ed efficaci dei gherigli di noce, ad ascoltarla anche un poco, mentre cerchiamo di mandarla via; altrimenti sarà molto difficile che riesca a recapitare il suo messaggio. […] forse la cura dell’ansia è prendere sul serio la sua preoccupazione; non minimizzarla, non nasconderla. Ascoltarla e cercare di afferrare quel che vuol dire. Per farlo è importante isolarsi dal rumore di fondo, concedersi il diritto di non essere pronti, presenti, attivi, impeccabili, scintillanti di efficienza. Entrare nel proprio tempo […].”7.
E a ben vedere, visto che l’ansia si proietta nel futuro, forse il modo più semplice per conviverci è focalizzarsi sul presente.
*Monica Siclari, dottoressa in Comunicazione
1. Gaspari, I., Vita segreta delle emozioni (Super ET. Opera viva) (Italian Edition) (p.4)
2. Ivi, pp. 5,6
3. Ivi, pp. 49-50
4. Rossano, A., Viviamo nella società dell’ansia, https://www.wired.it/play/cultura/2017/06/27/societa-ansia-incertezza-generazione-y/
5. Ibidem
6. Armano, L., Per una cultura dell’ansia: l’eredità moderna occidentale nei discorsi sul Covid-19, http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/per-una-cultura-dellansia-leredita-moderna-occidentale-confluita-nei-discorsi-sul-covid-19/
7. Gaspari, I., Vita segreta delle emozioni (Super ET. Opera viva) (Italian Edition) (p.55)