UnitelmaSapienza affronta la storia: la stagione conflittuale degli anni settanta
Primo seminario, il caso Pasolini
Giovedì scorso nella sala conferenze di UnitelmaSapienza si è tenuto il primo del ciclo dei sei seminari intitolato La Notte della Repubblica sul fenomeno del terrorismo politico che scosse l’Italia dalla fine degli anni sessanta all’inizio degli anni ottanta.
Roberto Sciarrone, storico e responsabile ufficio stampa dell’Università, ha introdotto l’incontro. A seguire i saluti istituzionali del Magnifico Rettore, il prof. Bruno Botta, e i relatori, la prof.ssa Michela Ponzani, docente di Storia Contemporanea presso l’Università degli Studi di Tor Vergata, storica e divulgatrice Rai, e il politico, giornalista, scrittore e regista italiano, Walter Veltroni, che hanno presentato il delitto Pasolini. Nella sua introduzione la prof.ssa Ponzani ha ricordato che il 9 maggio, data di inizio del ciclo dei seminari, è una giornata importante per il nostro Paese, la Giornata della Memoria delle vittime del terrorismo, giorno in cui viene ritrovato il corpo senza vita di Aldo Moro a Via Caetani.
In Italia, tra il 1969 al 1982, la violenza politica e il terrorismo fecero 1.100 feriti e 350 morti. Gli anni settanta, in particolare, furono caratterizzati dal terrorismo politico che ebbe la sua prima manifestazione con l’attentato di Piazza Fontana a Milano. Quel 12 dicembre del 1969, a pochi passi dal Duomo, in una banca esplode una bomba, diciassette, morti un centinaio di feriti È una strage. Piazza Fontana segna una cesura storica. È opportuno ricordare che due forme di terrorismo segnarono profondamente gli anni settanta. Il primo, il terrorismo nero, con la cosiddetta “strategia della tensione” e violenza diffusa, attentati con esplosivo e stragi e assenza di rivendicazioni. L’altro, il terrorismo rosso, la cosiddetta “propaganda armata” con sequestri, attentati alle cose, ferimenti, con capofila le Brigate Rosse. Tuttavia gli anni settanta non furono solo “anni di piombo”. Fu un decennio di sperimentazione straordinaria sul piano culturale e sociale. Nonostante il blocco del quadro politico in cui era impossibile una vera alternanza di governo, il Parlamento era tutt’altro che immobile: la politica del decennio, come ha ricordato anche la prof.ssa Ponzani, fu contraddistinta da una grande quantità di riforme molto significative.
L’istituzione delle Regioni come enti territoriali, lo Statuto dei lavoratori, il divorzio, il nuovo diritto di famiglia e l’avvio dell’emancipazione femminile, la regolamentazione dell’aborto, la riforma del servizio sanitario, la riforma carceraria, la legge Basaglia che chiudeva i manicomi, l’istituzione del servizio civile in alternativa a quello militare e il voto a 18 anni. Purtroppo non tutte queste riforme poterono esprimere la loro portata innovatrice, perché furono amministrate secondo le logiche del sistema dei partiti, un sistema spesso corrotto, basato su modi clientelari e sulla pratica delle tangenti, che fecero della corruzione un vero e proprio sistema di governo. In campo economico gli anni settanta furono segnati dalla crisi petrolifera, che pose fine allo sviluppo iniziato nel dopoguerra e fece comprendere che le risorse del pianeta non sono illimitate e vanno gestite in modo sostenibile. In questo clima si colloca il delitto di Pier Paolo Pasolini, il quale è stato riaperto nel 2009, ci sono state nuove indagini a seguito delle dichiarazioni di Pino Pelosi, che fu condannato per l’omicidio. Pasolini, come ha ricordato, la prof.ssa Ponzani, quando viene ucciso stava lavorando ad un romanzo importante Petrolio incompiuto. Aveva scritto articoli molto critici sul sistema politico sul Corriere della Sera, aveva cercato di raccontare che cosa fosse questo Paese, le trame occulte, quel suo “io so”, “io so chi sono i responsabili delle stragi”, a partire dalla strage di Piazza Fontana. La storica Ponzani ha chiesto a Walter Veltroni, il quale lo aveva conosciuto, così come conobbe anche Pino Pelosi, un suo ricordo.
“La prima definizione che mi viene in mente – egli afferma – era un uomo libero, libero intellettualmente, era un uomo di una profonda cultura, ricca, vasta, multiforme, era un poeta, era un romanziere, era un saggista, era un regista, era un uomo impegnato in battaglie civili, ma tutto questo lui lo faceva seguendo il filo quasi invisibile di una coerenza che non aveva altri riferimenti che non il suo pensiero. Pier Paolo Pasolini è stato un uomo scomodo, ma non scomodo come si dice adesso, scomodo in generale, perché diceva le cose che non ti aspettavi che lui dicesse, perché non era irrigimentabile, perché era un uomo di sé, di ma e di forse, era un uomo che non aveva paura di contraddirsi, era un uomo capace di prendere posizioni spiacevoli, penso per esempio alla posizione che lui prese sull’aborto, che era una posizione assolutamente non collimante con tante altre posizioni che lui aveva preso, era un uomo di grande coraggio, anche di grande inquietudine. Io l’ho conosciuto. Quando lui è morto avevo 20 anni, e mi ricordo la mattina in cui arrivò la notizia. Troverete probabilmente in rete la foto di una manifestazione che facemmo qualche settimana prima che lui fosse ucciso, lui ed io sul palco a Piazza di Spagna, perché il regime franchista, che stava finendo, aveva deciso la condanna a morte di un antifascista spagnolo. Io gli telefonai e gli dissi che noi (allora era la Federazione Giovanile Comunista) organizzavamo una manifestazione sotto la sede dell’Ambasciata di Spagna, in Piazza di Spagna, e che avremo avuto enorme piacere che ci fosse la sua voce. Lui era molto vicino al percorso che noi facevamo in quel periodo. Pier Paolo venne e prese la parola, fece un discorso molto forte. Era un uomo molto legato al valore della libertà, odiava il fascismo, ma uno della sua famiglia fu ucciso non dai fascisti. Era un intellettuale di sinistra ma era omosessuale e fu perseguitato anche a sinistra perché era omosessuale; ha sempre faticato Pier Paolo. Ha sempre dovuto fare i conti con delle ostilità, con delle durezze, dei livori, anche nel mondo culturale, non è mai stata per lui una passeggiata di salute, e, come diceva Michela Ponziani prima, nell’ultima fase della sua vita lui si era infilato in un percorso intellettuale che lo aveva portato a scrivere quel famoso articolo sul Corriere della Sera ”Io so” e diceva “Io so da intellettuale chi ha messo le bombe” e tante altre cose. E poi a immergersi nella scrittura di quel romanzo “Petrolio”, che arriverà a noi misteriosamente incompiuto, un romanzo che fin dal titolo gronda nero, per il quale lui si era messo alla ricerca. probabilmente senza neanche avere la consapevolezza di quali piedi andava pestando, si era messo alla ricerca di quello che c’era dietro di ciò che si vedeva. Lui non era un giornalista investigativo e tantomeno era, quello che oggi si definirebbe, un complottista, era però uno spirto critico che viveva quegli anni”. Il sig. Veltroni ha ricordato anche alcuni episodi che hanno caratterizzato quegli anni. Sui giornali tutti i giorni c’era la notizia di qualcuno ucciso, gambizzato, rapito, “è stato un inferno – egli dice – e la mia generazione ha visto cadere tanti amici da una parte o dall’altra durante quella guerra assurda, in cui in una stessa aula universitaria, in una stessa classe di un liceo un ragazzo di destra e di sinistra non potevano convivere, perché uno voleva eliminare l’altro, pensando di essere portatore di un pensiero unico. Tutto questo è avvenuto in un mondo separato in blocchi. Allora il mondo era rigidamente separato in blocchi e questi blocchi dovevano non interferire l’uno con l’altro e in Italia c’era un’interferenza. Questa interferenza era rappresentata dall’uomo raffigurato nella locandina di questo ciclo di seminari, seduto su questa panchina, con un giornale in mano, Aldo Moro, e da un altro uomo, che era il Segretario del Partito Comunista Italiano, che si chiamava Enrico Berlinguer, che aveva immaginato di dar vita in Italia ad un’esperienza di collaborazione tra un partito storicamente legato agli Stati Uniti e un partito che nel passato, prima di Berlinguer, invece recise quei rapporti, era stato legato all’Unione Sovietica tanto da sostenere scelleratamente l’invasione dell’Ungheria nel 1956”.
La prof.ssa Ponzani pone poi un’altra domanda al sig. Veltroni: “Che cosa noi sappiamo oggi, che cosa non sappiamo, che cosa non sapremo mai di quello che è accaduto quella notte? Tu che idea ti sei fatto di quel delitto orribile?
W.V.“L’omicidio di Pasolini, quello che io so per certo, è che non è andato come ce l’hanno raccontato. A noi cosa è stato raccontato? Immediatamente che Pasolini era stato ucciso da un ragazzo di diciott’anni che si chiamava Pino Pelosi, che Pino Pelosi era stato adescato da Pasolini che lo aveva portato prima da Pommidoro a San Lorenzo poi al Biondotevere sulla Via Ostiense, dopo si sarebbero appartati all’Idroscalo di Ostia, dove Pier Paolo avrebbe cercato (dico le cose come stanno) di violentare con un palo Pino Pelosi, e Pino Pelosi si sarebbe ribellato a questo e lo avrebbe massacrato. Storia perfetta se vuoi raccontare che un intellettuale libero è una persona che cerca di esercitare violenza su uno che sta al confine con òa minore età, perfetto per distruggere per sempre le immagini, le parole, il lavoro, il pensiero di un essere umano. Si da’ il caso che Pier Paolo Pasolini fosse un uomo con una forza atletica assolutamente incompatibile con la soccombenza che avrebbe accompagnato gli ultimi minuti della sua vita. Ci sono delle immagini anche in rete della partita di calcio che fu fatta poco prima della morte di Pier Paolo, tra la troupe di Novecento di Bertolucci e la troupe di Salò di Pasolini, e voi vedete Pasolini in una forma atletica strepitosa, giocava a calcio, era uno che ci teneva al suo fisico, credo fosse difficile che Pino Pelosi, che io ho conosciuto, potesse fargli quello che le fotografie pubblicate dall’Europeo hanno impietosamente dimostrato. Quella mattina mancava solo il circo bar all’Idroscalo, c’era tutto. Il primo a sollevare un dubbio – ha continuato Veltroni – sarà il fratello di Aldo Moro che è il giudice che si occupa per il tribunale minorile del processo a Pelosi, e scriverà nella sentenza che Pelosi non era solo. Pelosi cambierà versione diciotto volte. E in questa storia si infila di tutto. Una volta stavo presentando in una libreria un libro scritto da due avvocati sull’uccisione di Pasolini, ad un certo punto, come se avvenisse adesso, da quella porta entra Pino Pelosi, che s mette lì ed ascolta. Troverete questa cosa su Youtube, credo che ci sia, io comincio a fargli delle domande e lui dice quella che è la verità, era verso la fine della sua vita, che peraltro è finita prestissimo. E lui dice: “Io non ero solo quella notte, non avrei potuto fare da solo quello che ho fatto, ero con altri, ma non mi chieda con chi, perché non posso dirlo, perché ho una famiglia, perché non voglio che ci siano conseguenze sulla mia famiglia”. Lui, come tanti di questi, si è portato la verità nella tomba. Allora, – ha continuato Veltroni – quali sono le possibilità? Se ne sono esplorate diverse, anche giudiziariamente. Si è detto, le pizze del film Salò sono state rubate, ad un certo punto viene chiesto a Pasolini di pagare un riscatto per avere delle pizze nel suo film, e all’Idroscalo avviene la trattativa che finisce male. Tesi sinceramente, dal mio punto di vista, poco credibile. Oppure, dietro la macchina di Pasolini e di Pelosi c’erano altre macchine che li seguivano e una volta arrivati lì lo hanno ammazzato. Gli sono passati sopra con la macchina, perché passano sopra il corpo di Pasolini. Dei testimoni raccontano di aver sentito Pier Paolo urlare “mamma, mamma!”, quindi non stava facendo una rissa uno a uno. Tu dici “mamma, mamma” se capisci che stai per essere soverchiato da una forza per te non contenibile. È stato perché lui si era infilato in questa vicenda dell’Eni, Cefis, tutte le storie legate a quello che c’era di finanziamenti occulti? E’ perché lui aveva scritto quell’articolo in cui diceva di sapere i nomi di chi aveva messo le bombe a Piazza della Loggia? È chiaro, a partire dalla sentenza di Alfredo Carlo Moro, che quella sera Pino Pelosi non era da solo. Poi che nel corso degli anni qualcuno gli abbia detto che non doveva parlare in carcere o che doveva dire certe cose invece che altre in carcere, che doveva coprire; personalmente questa è l’unica certezza che ho, che le cose sono andate in un altro modo”.
“Nel 1975 – conclude – c’era ancora il fascismo in Spagna, in Portogallo, ed erano Paesi che facevano parte dell’Occidente, poi c’erano le dittature dei Paesi dell’Est, erano tempi nei quali ciascuno in casa sua poteva fare quel che voleva, purché non fosse sovvertita quella logica. Per cui che Pier Paolo avvertisse questo pericolo è normale, è naturale. C’era un bruttissimo clima. È assai probabile che Pier Paolo sentisse di essere minacciato, sentisse che gli spazi per lui si stavano restringendo. Erano anni in cui si temeva il golpe in Italia”.
A seguire è stata trasmessa in sala una puntata del programma di Rai1 Cronache Criminali, la trasmissione che ricostruisce alcuni casi di cronaca particolarmente drammatici del nostro Paese. Nell’ordine abbiamo ascoltato i seguenti contributi: l’intervista al regista David Grieco, l’articolo di Pier Paolo Pasolini, “Cos’è questo Golpe”, l’intervista ad Alberto Moravia di Radio Blu del 1978 su Pasolini, l’intervista allo scrittore Giovanni Giovannetti che parla di Petrolio, la testimonianza del giornalista Furio Colombo, la testimonianza del ristoratore Aldo Bravi apparsa sul TG2, il programma TerzaB – Facciamo l’appello registrato il 29 maggio 1971, l’intervista all’avvocato della famiglia Pasolini, Nino Marazzita, e l’intervista a Guido Calvi.
L’incontro è terminato con alcune domande al sig. Veltroni da parte del pubblico presente in sala.
Termino questo mio articolo con l’invito a riscoprire la grande opportunità rappresentata dalla lettura cartacea. Il libro cartaceo offre al lettore più vantaggi rispetto alla lettura digitalee conserva ancora un fascino davvero unico; in questo caso l’invito è quello di approfondire la lettura delle opere di Pasolini, la sua poesia, la sua narrativa e anche la sua saggistica e la sua filmografia.
In un “frammento” inedito, datato novembre 1974, Pasolini sarebbe morto un anno dopo nello stesso mese, egli scriveva: “In tutta la mia vita non ho mai esercitato un atto di violenza né fisica né morale. C’è una sola eccezione. Si tratta di una decina d’anni fa. Per strada – era verso sera – un gruppo di fascisti mi ha aggredito. C’erano con me dei giovani compagni: ed è stata soprattutto la violenza usata contro di loro che mi ha esasperato. Abbiamo risposto con altrettanta violenza ed essi hanno battuto in ritirata. Io ho cominciato ad inseguire il più scalmanato”.