VerbumPress

Una vita consacrata all’arte

Laura Margherita Volante, per Verbum Press, conversa con il collezionista fiorentino Luigi Bellini

Dall’incontro tra Aldo Grassini, presidente del Museo Omero, e Luigi Bellini ha preso avvio il progetto di creare uno spazio dove rivivere quel periodo di ineguagliato splendore. Una mostra con preziosi lavori rinascimentali e con valore aggiunto: la possibilità di percepirli oltre l’immagine, utilizzando tutti i sensi in un allestimento, a cura di Massimiliano Trubbiani, che prevede profumi e musiche del tempo, e lascia alla mano la possibilità di toccare quei marmi, quei bronzi, quei legni, quelle terrecotte, aggiungendo emozioni ad emozioni.

Luigi Bellini ha sottolineato l’importanza dell’avvio di un progetto totalmente innovativo: “Dopo essermi confrontato con Aldo Grassini, abbiamo insieme sentito la necessità impellente di ridurre le distanze che separano l’arte e gli uomini, avvicinando le persone alle Opere d’Arte, innescando tra essi la possibilità di un dialogo con tutti e cinque i sensi. Sentire l’Opera: questo è diventato il fil rouge che ci ha spinti a collaborare ad un comune progetto. Tutti devono avere la possibilità di sentire le Opere d’Arte e venire scossi dalle vibrazioni che lo scalpello per lo scultore o il pennello per il pittore vi hanno lasciato impresse. Tutti, soprattutto chi vive un disagio che gli impedisce di goderne la visione fattiva ma può figurarsi quella intellettiva e emozionale.”

La mostra è stata promossa dal Museo Tattile Statale Omero e dal Museo Privato Bellini, sotto l’alto patronato UNIPAX, in collaborazione con l’Associazione Per il Museo Tattile Statale Omero ONLUS, il Comune di Ancona, Servizio Civile Regionale, Garanzia Giovani. Come dalla premessa durante l’evento ho avuto la fortuna di incontrare il prof. Luigi Bellini – facente parte di una illustre famiglia di antiquari per generazioni – qualche anno prima della sua more avvenuta l’8 maggio 2021. Persona umile e disponibile, perché si avvertiva subito una grande umanità.

La fotografia, scattata all’interno del Museo Omero di Ancona, è scura per ovvie ragioni, essendo un percorso tattile, per il concetto educativo di inclusività, come da progetto descritto sopra.

Portava il nome del nonno, e come lui era antiquario, appassionato d’arte e mecenate, col quartier generale sul lungarno Soderini, dove dal 2007 si trova il museo che porta il nome della famiglia. Luigi Bellini. Seguì le stesse orme del nonno, nel Dopoguerra aveva ideato il Comitato per la ricostruzione del Ponte Santa Trinità, e creato poi la Mostra dell’Antiquariato. Amante anche l’arte del suo tempo, negli anni Settanta organizzò mostre di Moore, Manzù, Emilio Greco, Lipchitz. Con la sua fondazione portò il Rinascimento a Shangai, e pochi anni fa realizzò Firenze la personale di Shen Qibin, uno dei più importanti artisti cinesi. Ma Luigi Bellini, aveva anche un’altra passione: la musica. Scriveva, componeva e cantava con lo pseudonimo di Fanfanicchio. Gianni Mercatali, amico da sempre, lo ricorda così: “Tanto fiorentino, quanto uomo del mondo”.

La famiglia, come da tradizione, continua a supportare i giovani ed emergenti artisti contemporanei di tutto il mondo, i più talentuosi dei quali hanno la possibilità di organizzare, sotto la guida di Sveva Bellini, eventi d’arte, mostre personali e collettive, installazioni, presso gli spazi espositivi di Magazzino n.5, nella galleria bassa di Palazzo Bellini.

In questa circostanza lo stesso Bellini, che mi invitò di persona ad andare a trovarlo a Firenze, mi concesse volentieri e con gentilezza l’intervista che qui di seguito ho l’onore di pubblicare.

Lei appartiene ad una prestigiosa famiglia di collezionisti fiorentini di grandi opere d’Arte da più di sei secoli, per cui Le chiedo come ha pesato questa eredità in termini di benefici e costi sulla sua esistenza; come l’ha vissuta fin dalla sua infanzia adolescenza giovinezza? Non direi che la storia della mia famiglia abbia “pesato” sulla mia vita, né che sia stato difficile per me accettare di portare un nome tanto importante e sposare lo stesso appassionato interesse e vocazione per l’Arte che da sempre ha contraddistinto i miei avi. Io non ho in realtà ereditato nulla, mi spiego meglio, l’Arte è la mia vita da sempre, sono nato e cresciuto in mezzo alle opere d’arte, molte di immenso valore. Per renderle una immagine incisiva molto semplice di come sia stata la mia infanzia, credo sia sufficiente pensare che mentre molti dei miei coetanei giocavano con i comuni giocattoli, macchine e soldatini, io mi approcciavo già ai bronzi del Giambologna o del Riccio. Per cui i benefici sono stati tanti, mentre i costi e la fatica sono stati invece pari a zero. Anche perché io amo la mia vita, sono un appassionato del mio lavoro. Rivivrei la mia vita infinite volte, senza perder nulla della mia esperienza passata, ripeterei ogni scelta, dall’infanzia all’giovinezza, anche perché, resti fra noi, a parte il dato anagrafico mi sento sempre lo stesso giovane di un tempo.

La sua famiglia nell’arco di alcuni secoli ha raccolto capolavori, che certamente ricordano ed esaltano nel Suo palazzo quattrocentesco i fasti di un’epoca fra bellezza eleganza in una   cornice di ricchezza anche ostentata come espressione di potere delle Arti, per pochi eletti. Oggi questa Mostra da Lei voluta insieme al Prof. Aldo Grassini, presidente del Museo Omero, sta ad indicare una evoluzione sociale, che solo da pochi decenni tende a valorizzare la persona in quanto tale. Per Lei quali le motivazioni culturali e morali di tale progetto così innovativo e non scontato? E’ bene che lei sappia che la mia storia personale inizia a Firenze ma la mia famiglia fino alla metà del XV secolo viveva a Venezia, sul Canal Grande, in una delle più note e belle dimore della Città ancora oggi visibile, palazzo Ca d’Oro, esempio incomparabile di gotico fiorito. 

Purtroppo, quell’epoca non l’ho vissuta, mi sarebbe piaciuto tanto. I miei avi decisero di spostarsi per il clima poco mite da Venezia, iniziavano le vere prime scorribande dall’Oriente al tempo, e pertanto si spostarono a Ferrara, in un palazzo accanto al Palazzo dei Diamanti, il più famoso della Città, dove siamo rimasti fino alla metà del XVIII sec.

Più tardi i miei antenati decisero che Firenze fosse la miglior vetrina per i collezionisti d’arte e gli antiquari, cosicché ci spostammo definitivamente nella superba “culla del Rinascimento”. Nel nostro sangue scorre la passione per l’arte, nelle diverse forme, dall’antiquariato al collezionismo. L’antiquario prima di tutto ama l’oggetto d’arte, venderebbe l’anima pur di riuscire ad acquistarlo, il vero collezionista deve vendere per ricomprare l’oggetto, non bada al denaro, per lui esiste solo l’Opera d’arte, la vera ricchezza sta proprio nell’oggetto d’arte. Vivere d’arte e per l’arte non è vero che è un privilegio di pochi eletti. È vero che si comincia da molto giovani, comprando e restaurando e rivendendo gli oggetti d’arte. Ma la parte commerciale è secondaria.

Il rapporto fra noi della Collezione Privata Bellini e il Museo Omero nasce da tempo lontano. Le prime due manifestazioni che avevano l’ambizione di riunire oltre 100 antiquari le feci proprio ad Ancona, alla Mole Vanvitelliana anni addietro, quando alla Mole c’erano più topi che cristiani. Il palazzo non era stato tenuto bene, era all’epoca abbandonato a sé stesso. Aldo Grassini, oggi Presidente del Museo Omero, l’ho conosciuto in quell’occasione e mi raccontò subito la sua splendida e innovativa idea di creare un habitat dove fosse possibile per i non vedenti provare a “sentire” l’arte, provare a sentire il piacere di toccare le Opere d’arte. Questo suo progetto mi colpì profondamente, tanto che seguii fin dall’inizio il percorso di sviluppo delle sue mostre. 

Per me che sono cresciuto a contatto diretto quasi fisico con le Opere d’arte, trovavo difficile poter immaginare il rapporto tra un ipovedente e l’Arte, immedesimarmi nella sua diversa sensibilità evoluta dal suo handicap, nel perenne buio in cui si muove e crea un proprio mondo magico.

La Soprintendenza pensa che per difendere l’Opera d’arte non si debba farla avvicinare alle persone. Senza tener conto che l’opera d’arte in realtà è arrivata a noi dopo esser stata maneggiata più e più volte nel corso del tempo, chissà quante mani l’hanno toccata prima di giungere a noi. Il merito di questa mostra è quella di aver in primo luogo avvicinato l’arte alle persone, tutte le persone, superando ogni barriera discriminante. Per cui io credo che anche se non sarà vista in questa maniera, questa mostra ha dimostrato che tutti coloro che vivono lo stesso problema della cecità possono avvicinarsi all’arte come i normodotati, anzi ancora più vicini. L’occasione offerta con “Il Rinascimento oltre l’Immagine” è unica, i fruitori possono toccare tutte le Opere d’arte originali dei grandi maestri del Rinascimento, toccare una copia creata all’uopo non da la stessa emozione di toccare l’Opera originale, questa lascia un segno indelebile, un segno che viene ad incidersi nella mente, non ha bisogno degli occhi ma della testa, dell’ immaginazione e della volontà. Senza ombra di dubbio, anche se so che potrei essere smentito da qualche detrattore, il non vedente ha una sensibilità emotiva molto più profonda della nostra. Donatello, Verrocchio, Della Robbia, Veronese, Giambologna: “Il Rinascimento oltre l’immagine”, quasi una provocazione in un mondo dove l’immagine la fa da padrone. In una società di irrelati dove mancano un saluto un sorriso un abbraccio, in cui emerge l’analfabetismo emotivo nell’indifferenza e nello sport dell’orrore.  Ritiene che questa Mostra possa dare un contributo non solo ad eliminare le distanze fra Arte e persone che vivono il disagio visivo, ma anche a trasmettere un messaggio significativo ai cosiddetti normodotati? Sono perfettamente d’accordo con la sua constatazione e bella riflessione. In questo mondo dove l’immagine è tutto e la fa da padrona, manca ormai da tempo la volontà di comunicazione emotiva, non si sa più cosa significa l’empatia, un saluto, un sorriso e un abbraccio. Indifferenza e analfabetismo emotivo sono il male odierno nei rapporti sociali. Spero che questa mostra contribuisca a lasciare un segno che sia incisivo e concreto e aiuti ad eliminare le distanze tra gli uomini. Siamo stati investiti della missione di trasmettere un segnale forte, di neutralizzare l’anaffettività e l’individualismo che, ahimè, contraddistingue questi tempi. Ventuno sculture e quattro tele offrono uno spaccato di una civiltà che ha esaltato la bellezza estetica e quindi il bene in un momento epocale dove la bruttezza e la bruttura evidenziano uno scenario culturale avvilente, che ha i suoi tentacoli in ogni settore della vita sociale. Come si può fare ad uscire da queste sabbie mobili di corruzione imperante? Dobbiamo ancora sperare di poter sognare un mondo migliore? Come salvarsi dal virus della bruttura e dell’indifferenza? Non esiste una formula sola per uscirne, a meno che non si faccia come diceva Einstein al quale chiesero cosa pensava delle guerre future e lui rispose che la terza non sapeva come l’avrebbero combattuta ma la quarta, bèh quella disse che gli uomini l’avrebbero combattuta con le clave. Questo per dirle che non c’è nulla che possa salvare il nostro mondo più della bellezza, dell’ammirazione per una bella Opera d’arte esposta davanti ai nostri occhi in una mattina di sole, credo che nessuno più di un Donatello e di un Michelangelo possano raccontarci chi eravamo, ma anche chi siamo e saremo in futuro. Dobbiamo sperare in un mondo migliore? Lo auguro a tutti, mi piacerebbe poterlo credere, ma rimango pessimista a riguardo. In relazione alle note biografiche non posso che confermarle tutto. Noi Bellini siamo conosciuti in tutto il mondo quali “filosofi dell’arte” e non come mercanti, spero che le generazioni a seguire abbiano il piacere di intraprendere il mio stesso percorso, per creare qualcosa che rimanga. Una traccia di noi imperitura nel tempo. Aggiungo un solo ricordo, ero molto giovane e mio padre era amico di Paul Getty, negli anni ’60 sicuramente Getty era l’uomo più ricco della terra. Mi invitava spesso a Los Angeles per vedere le sue nuove acquisizioni nella sua immensa Collezione, io ci andavo sempre volentieri ma pur essendoci una differenza di età mi ritrovavo in lui. Una volta gli chiesi perché collezionasse tante Opere d’arte. Il collezionista prova un piacere privato, di cui non può godere alcuno che lui non voglia, e lui mi rispose che l’Opera d’arte è un bene che lascia una impronta vibrante, mentre i soldi no. Il denaro non vibra, mi disse, e io che sono l’uomo più ricco della terra so bene che quando morirò il mio capitale sarà solo carta o poco altro, non rimarrà niente di me, perché questo verrà distribuito in un modo o nell’altro. L’unica cosa che posso fare è aspirare all’immortalità, l’unica via per esserlo è quella di lasciare alla gente che rimarrà dopo di me il mio ricordo, l’Arte che rimane. Così sono nate le due Fondazioni Paul Getty per l’arte, che fanno funzionare queste splendide collezioni che la gente può vedere.

 Il Prof. Luigi Bellini nasce a Firenze e appartiene alla ventunesima generazione della celebre dinastia fiorentina di antiquari. L’amore per Firenze contraddistingue la Famiglia Bellini, tanto che nel 1955 ricostruisce, facendone dono alla città, il ponte di S. Trinità distrutto nell’ultima guerra.

Fra i meriti principali della Famiglia, inoltre, va annoverata la creazione della Biennale dell’Antiquariato di Firenze, che riporta la città alla grande ribalta internazionale del marketing culturale, oltre a tantissime altre iniziative di prestigio del mondo internazionale dell’arte mondiale.

Il Prof. Luigi Bellini oltre a parlare correntemente quattro lingue – italiano, francese, inglese spagnolo ha frequentato scuole internazionali d’arte e di economia, come la Sorbona a Parigi e la

BousArt; riceve una laurea ad honorem dalla Luiss Pro Deo di New York. Il prof. Bellini ha lasciato testimonianze e impronte culturali in molte parti del mondo dalla Cina al Venezuela; dagli Stati Uniti all’Africa, etc…Nel 2006 crea il Museo Privato Luigi Bellini di Firenze, in uno dei più prestigiosi palazzi storici di Firenze, palazzo ricostruito in parte dal famoso architetto Coppedè. Il Museo Privato Luigi Bellini, sin dalla Sua fondazione conta più di 10.000 opere tra quadri, sculture e bronzi, fondi oro, ed è composto da capolavori di grandi Maestri come Raffaello, Beato Angelico e molti altri.

*Laura Margherita Volante, sociologa