Una parentesi aperta nella linearità del tempo
Angela Caccia, L’alveare assopito (Fara Editore, 2022)
Conosco la scrittura di Angela Caccia e ne ho apprezzato tutte le precedenti raccolte ma in questa avverto la somma esistenziale della poetessa che si articola su due categorie principali il tempo “un tempo straniero che cresce in petto” e la solitudine: temo la solitudine incolore.
Alcuni componimenti sono stati certamente scritti durante la fase pandemica e pertanto risentono dell’isolamento sociale: Tempi bui – meglio atterrare, dedicarsi alla cena, e ancora: la luna. Disegna la solitudine della strada e ci invita a : scongiurare solitudini in cattività, ma anche della profonda pausa riflessivo creativa dell’artista. Sì perché Angela non è solo poetessa, le sue mani hanno dimostrato un talento straordinario nel forgiare prodotti di porcellana e questo fa di lei un’artista a tutto tondo. Come giustamente fa notare l’amico Renzo Montagnoli in una sua nota di lettura, traspare in questa raccolta tutta una scala cromatica in sinestetico connubio col sentire della Nostra. Ma la mia lettura è stata profondamente attratta da questo dialogo muto e prepotente tra tempo e solitudine. Perciò leggiamo: è lei la luce che si staglia nel tempo che non c’è/ Si interroga la poetessa: quale tempo s’accorgerà che ce ne siamo andati? /Sentinella quanto resta del giorno?
Ma al contempo vuol credere che un tempo sbilanciato povero di promesse/ avaro di attese /prospero di atmosfere ci fa lieti.
Angela Caccia si rivolge al lettore, quando distilla il suo rapporto col tempo che ha speziato il ricordo, lo stesso che netta e ricolora la vita e a volte invece racconta che l’orco /non se n’è mai andato. Tuttavia non vive il tempo come un nemico, ma cerca di adattarsi alla stagione che l’accoglie: lo sentirò invecchiare/con me il tempo a un ritmo più pigro.
In queste dinamiche s’inserisce il suo amore per il silenzio, da cui sgorga la poesia:
Poesia/ è ciò che non è accaduto/e calò il silenzio/ come unica forma di eloquenza.
A chiudere il cerchio un’altra lirica recita: Avesse un rumore la solitudine/ sarebbe di silenzio.
Quella della Caccia non è solitudine che predispone alla disperazione, ma è il giusto mezzo per ritemprare le forze e dare forma alla creatività: Ed è come/se il mio vuoto brillasse/ tremule prossimità. Che dire invece del ruolo dei sentimenti?
Dicono sia la perdita/ la misura dell’amore e a me resta/ un pezzo di vita mancata dalla parte del buio.
Colma la misura con l’operosità della sua arte, l’alveare era solo assopito, veglia invece la sua parola che indica varchi di luce e prossimità, e resta parentesi aperta nella linearità del tempo.
*Claudia Piccinno, scrittrice