Un romanzo da riscoprire: Uccelli di rovo, il feuilleton d’Autore
Il feuilleton d’Autore esiste, e non è né materia trascurabile né lontana dai nostri tempi. Tempi in cui la narrativa cerca di muoversi sul terreno che i più chiamano “impegnato”, raccontando disfunzioni personali, familiari e sociali: e si bolla come “sentimentale” e assente di spessore un classico che ha concesso a generazioni di sognare e riflettere, apprendere nozioni storiche scritte in prosa avvincente, originale. Un classico che sudò le classifiche mondiali conquistandole giustamente. Uccelli di rovo di Colleen McCollough (1977, presente in Italia in varie edizioni e tradotto in 35 lingue) narra la storia che tutti conosciamo, specialmente per l’omonimo sceneggiato del 1983 con Richard Chamberlain e Rachel Ward. Ralph e Meggie: il padre spirituale (consacrato alle leggi del Cielo e dominato da quelle della Terra, ma che conosce il Cielo anche cedendo al peccato terreno, e in particolare all’amore per una donna) e la giovane tormentata ragazza australiana la cui vita è disseminata di lutti e vessazioni. Mai passiva, però, soprattutto nella passione per lui, che cresce dall’infanzia: sbocciata sotto forma di un’urgenza di protezione quando, bambina, lo incontrò adulto e vestito d’ambiziosa tunica nella calda Drogheda, proprietà della zia Mary.
La natura selvaggia dell’Australia, la natura matrigna che mangia la vita e la rigenera, è lo sfondo di un lungo dialogo tra i due protagonisti: la loro lingua s’inceppa, si srotola tra le questioni della castità finché più forte parla il silenzio dell’appartenenza. Anche carnale.
Figlia di Paddy Cleary, i cui talenti sono tosare in tempo record le pecore sotto il sole, amare la sibillina e bellissima moglie e mantenere con pochi soldi sei figli, Meggie è l’unica femmina di una cucciolata umana selvatica. A Ralph, esiliato a ventotto anni dal Vaticano per aver disobbedito a un vescovo, tocca fare il sacerdote nella lontana, sterminata Drogheda dell’anziana Mary; e provvedere amorevolmente – una scelta di benevolenza e tenerezza, la sua – proprio all’istruzione e alla preservazione morale della piccola Meggie, in esilio come lui, ma “solo” dall’attenzione della famiglia. Combattuto tra la vita da consacrato e le lusinghe di Mary che, lasciandogli Drogheda in eredità, gli consentirebbe di arricchire il Vaticano e compiacere le sue ambizioni ecclesiali, l’inciampo verso la porpora da cardinale per Ralph è proprio la crescita di Meggie.
Meggie che sposa Luke, tosatore come suo padre, e gli dà una figlia; Meggie che lotta con la solitudine, il disamore altrui, la violenza del destino. E ama solo Ralph: anche a lui, tra vicissitudini e dolori che le piovono addosso senza pietà, a quell’uomo che le vesti di cardinali le otterrà come desidera, darà un bambino in gran segreto.
Quando lo sceneggiato di quattro puntate spopolava nel mondo, Uccelli di Rovo veniva venduto come una saga nazional-popolare assieme ai settimanali dei fotoromanzi e del gossip. I dialoghi sapienti, arguti, che trasudano studi di teologia e che pongono il lettore all’interno di interrogativi profondi, restano oggi sconosciuti ai più.
Piccolo di statura, riccio e bruno con intensi occhi azzurri, il Padre Ralph scritto da Colleen McCollough non somiglia in nulla al Richard Chamberlain che lo rende popolare sullo schermo; e Meggie, sangue Maori, capelli rossi, tenace e intelligente, piegata e orgogliosa, per quattro episodi è incarnata da un’attrice inglese che negli anni Ottanta era famosa per due ragioni: una rivista l’aveva impalmata nella top ten delle donne più belle di Hollywood, e aveva avuto una relazione con il figlio di J.F. Kennedy. L’autrice del romanzo storceva il naso ancora a trent’anni dalla trasmissione, nel mondo intero, della fiction che in tanti adoravano.
È un romanzo da riscoprire, Uccelli di rovo, qualificato come fumettone da palati che dovrebbero conoscerlo meglio: suggerito, in particolare, a chi ama il cosiddetto genere “romance” ma, appunto, forse legge fumettoni veri.
*Simonetta Caminiti, giornalista