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Un anno dedicato alla “laudato sì”: un’enciclica per educare ed investire affettivamente sulla vita del pianeta.

Dal 16 al 24 maggio 2020 Papa Francesco ha promosso ed animato la Settimana “Laudato sì”: corsi on line e di preghiera mondiale, inviando alle comunità cattoliche di tutto il mondo un videomessaggio di invito.

Una campagna “globale”, così definita dallo stesso Francesco, che cade nel quinto anniversario della pubblicazione della lettera enciclica “Laudato sì”. Piace immaginare, alle coscienze più devote, che la potenza di questa preghiera risieda anche in quella sorta di abbraccio del Cantico delle Creature verso nostra sorella morte, intesa come passaggio doloroso – per il distacco dall’ umano – ma anche confidente verso la vita eterna in cui la fede trova compimento ultimo.

E col fratello virus, come la mettiamo? E’ forse in questa direzione che Papa Francesco sceglie di non restare indifferente, preannunciando di voler animare per un intero anno, dal 24 maggio 2020 sino al 24 maggio 2021, riflessioni sulla “Laudato sì” aperte al contributo di tutti i credenti nella vita.       Un punto di fermata – e di ripartenza – del pensiero, in cui domandarsi (già solo laicamente) se per accedere davvero ad uno stato di coscienza superiore verso la tutela delle condizioni per la vita sul pianeta, sia necessario un distacco radicale da ciò che l’umanità impone all’ambiente (o al creato, per chi crede), col risultato di procurare mutazioni letali.

Anche il portato del virus, la gestione “istituzionale” della sofferenza, l’impermeabilizzazione degli affetti, la recinzione di spazi tra congiunti, integrano espressione di una visione dell’uomo che la politica sembra collocare, culturalmente, in una teca di priorità inderogabili e cogenti: e al contempo inaccessibili alla giustificazione razionale dell’uomo comune, per colpa di un virus che – ancora oggi – è considerato “mutevole” e imprevedibile nel suo grado di aggressività pandemica.

Un virus così naturale eppure così … “trascendente” rispetto alle ipotesi sul suo stesso venire al mondo. Senza dubbio uno scacco matto verso la scelta di modelli di sviluppo “intensivo” in grandi centri urbani, che producono non solo sviluppo economico ma anche condizioni vitali di iperesposizione a fattori di contagio. Condizioni che già nel secondo dopoguerra l’esistenzialismo europeo aveva già chiaramente intercettato, riferendo – attraverso plurimi pensatori – quanto la nostra società andasse investendo su modelli di sviluppo che producono condizioni di vita profondamente difformi dalla verità dei bisogni naturali della persona.

La domanda di Papa Francesco viene da lontano e vale, allora, per il quotidiano presente, non solo per un futuro ipotizzale: “Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?” E’ con questa domanda che si apre il video messaggio di Francesco sulla scorsa settimana di preghiera dedicata alla “Laudato sì” (dal 16 al 24 maggio 2020). Grazie all’iniziativa del Dicastero della Santa Sede, per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, da essa è scaturito l’Anno speciale di anniversario della “Laudato sì”: speciale perché dedicato alle riflessioni su quest’enciclica dal 24 maggio 2020 al 24 maggio 2021. 

La domanda impone, a ciascuno, un impegno performativo che lo costituisca responsabile di mettere in atto ciò che professa di volere. Quindi, non solo un anno di preghiere e riflessioni propulsive, per chi condivide le ragioni della fede cattolica, ma anche un anno di investimenti cognitivi e ricognitivi sul ruolo – e ovviamente sulla responsabilità – dell’uomo sul pianeta: investimenti da valutare solo se utili a garantire, qui e ora, risultati trasformativi sul rapporto tra percezione della vita, dignità della vita umana e non umana, con una preziosa attenzione che l’enciclica riserva a tutte le forme di vita. 

Nel primo capitolo, ad esempio, la “Laudato sì” muove un forte monito alla cultura dello scarto, scuotendo le coscienze dall’indifferenza verso i comportamenti che trasformano la nostra casa, la terra, “in un immenso deposito di immondizia”. A questa prima pars destruens – che contrasta il consumismo alla base dell’iper-produzione di rifiuti – si associa l’esortazione alla sobrietà, al riutilizzo di materiali, ai principi di economia circolare, all’uso limitato di fonti non rinnovabili soprattutto in ragione dei cambiamenti climatici, il cui primo conseguenziale portato è espresso dalle discriminazioni nell’accesso all’acqua potabile.  L’attenzione all’acqua, come condizione di sviluppo della vita, è poi associata alla preservazione delle biodiversità, vegetali e animali, quanto a quella dei paesaggi naturalistico in cui le biodiversità si manifestano.

E allora perché, dal 24 maggio 2020 al 24 maggio 2021, non individuare proprio nel patrimonio ambientale i “templi” della vita, cioè i luoghi – paesaggi, parchi nazionali, aree protette, riserve naturali anche in ambito urbano – in cui “pregare” (per chi ha fede nell’ universale del Cantico delle Creature) e “lavorare” (per la vita sul pianeta, mettendo a dimora proposte prima e ipotesi di sviluppo sostenibile poi) per la vita “del” (e sul) pianeta?

Perché, di qui ad un anno, non avvicinarci alla conoscenza e alla condivisione sulle istanze (oggi urgenze) universalistiche di riconoscimento e difesa dei valori della vita, con altre fedi che celebrano la dimensione spirituale dell’ambiente?

Non saprei se la maggior parte degli educatori abbia percezione percezione che, nel credo musulmano (Corano 45:13 e 6:142), se l’uomo ha il diritto di godere della terra e delle sue risorse, la natura e gli animali, in quanto dono di Dio, vanno rispettati e preservati, senza sfruttare gli altri o le generazioni future. E ciò in quanto Dio ha nominato e indicato all’umanità di agire come suo rappresentante (“vicario”) e guardiano dei diritti universali.

Nell’ebraismo, quanti educatori aperti al dialogo interculturale sanno che già la Torà scritta contiene il primo esempio di una legge di conservazione della natura?

In Deut. 20: 19-20 la Torà si rivolge all’esercito di Israele mentre assedia una città nemica «per molto tempo» ammonendolo dalla tentazione di distruggere gli alberi da frutto intorno alla città. «Non dovrai tagliare questi alberi» dice l’Onnipotente; e come motivazione per questo comandamento, afferma «perché l’uomo è albero del campo» (…) «perché la vita dell’uomo dipende dagli alberi della campagna». Dichiarazione univoca e ancora non pacificamente recepita ai giorni nostri che, solo di recente, abbiamo iniziato a prendere atto di quanto la vita umana dipenda in effetti dagli alberi ed a renderci conto dei benefici che un ambiente ricco di foreste conferisce al clima, al suolo, e in generale all’ecologia. La desolazione della terra di Israele durata 2000 anni (prevista nella Torà in Lev. 26:32) fu dovuta, a livello naturale, soprattutto alla distruzione gratuita dei suoi alberi da parte delle legioni romane e, per questo, il rimboschimento delle colline e delle montagne di Israele è il più ovvio segno della imminenza dell’era messianica (TB Sanhedrin, 98a , in base a Ezechiele, 36:8). Nonostante la Torà si riferisca solo ad alberi da frutto, la proibizione di bal tashchith (« non distruggere ») si estende a tutti gli atti di distruzione gratuita di qualcosa di utile o di valore per la vita sulla terra.

Per queste non ancora abbastanza condivise – preziose – evidenze culturali (che agevolano il dialogo interreligioso), credo che il Decreto “Nostra Aetate” (Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, 1965) sarebbe davvero da riscoprire e promuovere: un testo da condividere e far conoscere ai più giovani, come condizione di effettivo accesso interculturale ed inter-religioso ai contenuti comportamentali declinati nella “Laudato Sì”

“Nostra Aetate” offre, nell’Introduzione, obiettivi di straordinaria attualità (ancora oggi, a 55 anni dalla promulgazione):

“1. Nel nostro tempo in cui il genere umano si unifica di giorno in giorno più strettamente e cresce l’interdipendenza tra i vari popoli, la Chiesa esamina con maggiore attenzione la natura delle sue relazioni con le religioni non-cristiane. Nel suo dovere di promuovere l’unità e la carità tra gli uomini, ed anzi tra i popoli, essa in primo luogo esamina qui tutto ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere insieme il loro comune destino.                   

I vari popoli costituiscono infatti una sola comunità. Essi hanno una sola origine, poiché Dio ha fatto abitare l’intero genere umano su tutta la faccia della terra hanno anche un solo fine ultimo, Dio, la cui Provvidenza, le cui testimonianze di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti finché gli eletti saranno riuniti nella città santa, che la gloria di Dio illuminerà e dove le genti cammineranno nella sua luce. Gli uomini attendono dalle varie religioni la risposta ai reconditi enigmi della condizione umana, che ieri come oggi turbano profondamente il cuore dell’uomo: la natura dell’uomo, il senso e il fine della nostra vita, il bene e il peccato, l’origine e lo scopo del dolore, la via per raggiungere la vera felicità, la morte, il giudizio e la sanzione dopo la morte, infine l’ultimo e ineffabile mistero che circonda la nostra esistenza, donde noi traiamo la nostra origine e verso cui tendiamo”.

In questa nostra aetas, in cui un virus, ancora da decodificare integralmente, impera nel mondo, siamo circondati da troppe persone che si domandano quando e come torneremo ad essere “come prima” …

 Credo giusto confidare, invece, in una nuova partecipazione interculturale ed interreligiosa, universalistica, che possa dischiudere – lavorando sui punti cardinali della “Laudato Sì” – le condizioni affinché ci si possa determinare ad investire per la vita, “del” pianeta e “sul” pianeta, promuovendo in ciascuno la sperimentazione autocritica di cosa abbia imparato ad essere (o a non essere) attraverso l’esperienza del virus, ovvero di un’entità che esige condizioni inderogabili per essere conosciuta ed arginata: asepsi, distanza e massima aereazione (e di migliore qualità possibile), declinando nuove soluzioni nell’interazione tra gli umani e l’ambiente, il cui valore – se ed in quanto fatto parte delle scelte esistenziali nel comportamento di ciascuno – dovrà, a tutti costi, garantire opzioni di salvaguardia e protezione piuttosto che – se trascurato e vilipeso – esporre le persone alle conseguenze immediate di contagio e contaminazione.

Nessuno potrà rispondere, sostituendosi a noi, a questa domanda, che è, già oggi, un’opzione fondamentale: crediamo nella vita del pianeta come condizione per la nostra vita personale quotidiana, qui e ora? 

Testimoniare questo credo – sia esso integrato per convinzione laica, per adesione civica o per espressione di fede – non solo non sarà inutile, ma contribuirà alla costruzione di verità, in uno scenario di responsabilità inderogabili, attraverso ed oltre le fedi. Uno scenario in cui si gioca la nostra libertà di scegliere, per sopravvivere alla manipolazione consumistica delle identità, cancellando nella coscienza la capacità di percepire differenze tra saperi, sapori e i profumi quanto il virus, oggi, nella corporeità.

*Federico Gentilini, EDUCALS – Educational Agreements for Landscapes’Sons