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Ultraismo, surrealismo, poesia neopopolare e poesia sociale

Le tendenze dominanti della poesia spagnola di inizio XX secolo

Agli inizi del ‘900 si diffusero in gran parte d’Europa una serie di movimenti che tendevano a proporre una rottura con l’arte intesa in senso tradizionale e con la letteratura passatista; sono i movimenti d’avanguardia tra cui figurano il futurismo in Italia (e poi in Russia), il surrealismo e il dadaismo in Francia. In Spagna (e da lì avrà ampia filiazione in alcuni ambiti del sud America) abbiamo un movimento denominato ultraismo che propone l’idea di una cesura e un allontanamento dal passato e dall’arte precedente volendosi proiettare vero il futuro. Il termine stesso indica la volontà di propendere verso un oltre.

L’ultraismo nacque a Madrid presso la tertulia del Café Colonial nel 1918 (in netto ritardo rispetto alle altre avanguardie europee di cui, comunque, assorbì alcune peculiarità) con la prerogativa di rompere con il Modernismo. A farne parte furono Rafael Casinos Assens (1882-1964), quello che fu il suo maggior rappresentante, Guillermo de Torre (1900-1971), che ne sarà il grande teorico, Juan Larrea (1895-1980), Gerardo Diego (1896-1987) e l’argentino Jorge Luis Borges (1899-1986). Così come gli altri movimenti d’avanguardia europei fu un’esperienza fulminante e dirompente ma di breve durata, difatti nel 1922 poteva darsi per concluso con la chiusura della rivista «Ultra» (altra rivista importante del movimento era stata «Grecia»). 

Tra i principali caratteri di questa nuova sensibilità vanno ricordati la necessità d’instaurare un cambio estetico rinnegando tanto il manierismo e il Modernismo, quanto il Realismo e il Romanticismo; la predilezione per forme volutamente ambigue e l’utilizzo di uno stile che faceva ampio utilizzo della metafora, con conseguente eliminazione di nessi tra perifrasi e l’abbondanza di aggettivi, spesso apparentemente inutili. Gli ultraisti, un po’ come i futuristi – ma in controtendenza per alcuni aspetti quali l’enigmaticità alla quale i futuristi contrapposero una grande concretezza di immagini – intervennero pesantemente sui loro testi provvedendo a una radicale abolizione degli artifici, di ogni orpello ornamentale, di aspetti ritenuti declamatori e retorici. Vi rientrò anche l’attenzione al dato visivo del testo poetico nella ricorrente tendenza a stabilire una particolare disposizione tipografica delle parole sul foglio. A tutto ciò, linguisticamente, si assistette alla presenza d’inversioni (ma anche di contraddizioni), sovvertimenti grammaticali, stravolgimenti di disposizioni canoniche tanto nella sintassi quanto nell’ortografia. Contenutisticamente la loro opera si caratterizzò per una negazione dell’interiorità, per l’eliminazione del confessionalismo e di ogni forma di sentimentalismo. Di contro celebrò l’attimo, esaltò l’effimero, la percezione dell’istante, il fuggitivo. Ad ogni livello d’analisi risulta essere un movimento anticonformista e anticonvenzionale, rivoluzionario, volutamente fuori dagli schemi, che andò, appunto, “oltre”. Ce ne rendiamo conto anche dall’eliminazione della rima (che fino ad allora aveva rappresentato non solo una moda seguitissima ma un vero canone al quale conformarsi) e degli schemi metrici d’impostazione classica e accademica. Il fermento innovativo fu tale che portò a un’abbondanza di neologismi ma anche all’uso di tecnicismi, formule onomatopee e parole sdrucciole solitamente poco musicali. 

Nell’ultraismo mancò completamente l’interesse politico che, ad esempio, fu manifestato da una parte dei primi futuristi e veicolato dalle idee di militarismo, violenza, di necessità di ricorrere alla guerra quale “igiene del mondo”. Una componente dell’ultraismo fu probabilmente quel che gli spagnoli denominarono perspectivismo e che venne a identificarsi con una dottrina filosofica (alla quale aderì José Ortega y Gasset) secondo la quale ogni percezione (e ideazione) è soggettiva. L’assunto è che non esiste una prospettiva oggettiva e obiettiva ma esistono tante prospettive individuali e la realtà è la somma di tutte le prospettive possibili. 

Seppur di breve durata, la sua presenza rappresentò una parentesi decisiva nella cultura spagnola, servendo da cesura netta tra i testi ritenuti iscritti nell’orbita della classicità e le nuove esperienze che ne sarebbero nate. D’altro canto, la presenza di una “pattuglia” di aderenti al nuovo genere e di ambienti (la tertulia e le riviste) aperti e dedicati a dar compimento a queste ricerche e diffusione alle produzioni degli autori, fu un elemento rimarchevole che in ambito spagnolo vedrà, a differenza della generale assenza in Italia, di correnti e generazioni, la nascita di gruppi per lo più coesi attorno ad espressioni generazionali. Secondo alcuni studiosi la ben nota generazione del ’27 in parte trarrebbe alcuni dei motivi ispiratori della poesia avanguardista presenti in nuce negli ultraisti.

L’ultraismo fu in qualche modo affine (ma non sovrapponibile) al creazionismo, un movimento che affermava che un poema dovesse essere un nuovo oggetto, distinto da tutto il resto, e che esso avrebbe dovuto essere creato come “la natura crea un albero”, una posizione che implicava la libertà assoluta del poeta dalla realtà. Il creazionismo si poneva in netto contrasto al Realismo, al Modernismo, finanche alla generazione del ’98, quella generazione profondamente attaccata alla Spagna tradizionale intaccata, però, da un dolore autentico per la recente perdita dei domini coloniali, motivo di una crisi esistenziale allargata nel sentimento nazionale.

Alla poesia cosiddetta “d’avanguardia” possiamo ascrivere – per almeno un tratto dei loro percorsi – i poeti Gerardo Diego (1896-1987) e Pedro Salinas (1891-1951). Le opere che afferiscono a questa fase si caratterizzano per la repulsione netta per tutto quel che è sentimentale, trascendente, imbevuto nella soggettività emozionale; per l’esplorazione dell’io del poeta per mezzo dell’inconscio, dell’onirico e dell’illogico; per l’utilizzo dell’ingegno e dell’umorismo per esprimere l’irrazionale; per la ricerca di un nuovo mondo reale attraverso l’impiego di metafore riferite al mondo del cinema, dello sport, dell’auto e di tutto ciò che delinea e trasmette movimento, vorticismo e dinamismo.

La poesia surrealista (che per un breve tratto venne coltivata anche dai poeti Rafael Alberti, Federico García Lorca e Vicente Aleixandre) si caratterizzava per essere una rappresentazione di una realtà superiore, istintiva, intesa come primaria e volta a liberare l’uomo dai legami della vita quotidiana e tradizionale. Si trattava di una rappresentazione (o meglio, di una registrazione automatica) del mondo onirico, delle incursioni nei sogni, deliri, incubi e insonnie tendendo a voler essere una poesia di scavo interiore, d’indagine profonda, di caratura psicologica. Per tali ragioni in essa dominano le costruzioni irrazionali, illogiche, basate sul complesso di relazioni insolite e al lettore viene richiesto di non accedere mediante la stereotipata prospettiva logica o emozionale ma di lasciarsi avvolgere e partecipare nel complesso di creazione (pur astruso) del poeta. Dal punto di vista formale vengono prediletti i poemi lunghi in versi liberi e, nella rappresentazione, gli oggetti della realtà sono sottoposti a una serie di metamorfosi continue: il concreto si trasforma in astratto, il fisico perde consistenza e le emozioni si meccanizzano.

Il surrealismo in Spagna trovò ampia diffusione tanto in pittura quanto in poesia, coinvolgendo in breve tempo, a macchia d’olio, anche le varie arti tra cui il cinema e il teatro. Luis Buñuel (1900-1983) fu un grande direttore cinematografico, regista e cineasta. La gran parte delle sue pellicole vennero realizzate in Messico e in Francia. Buñuel passò tutta la sua infanzia e adolescenza a Saragozza dove fece gli studi. Nel 1917 fu a Madrid dove alloggiò e prese parte al fermento culturale della Residencia de Estudiantes, dove restò per sette anni. Lì conobbe Salvador Dalí, Federico García Lorca, Rafael Alberti e numerosi altri giovani i cui geni s’imposero nelle rispettive manifestazioni artistiche negli anni successivi. Buñuel mostrò interesse per il dadaismo e per il surrealismo, decidendo di seguire con maggiore attenzione e assiduità il mondo del cinema. Il suo primo lavoro cinematografico, portato avanti anche grazie al supporto dell’amico Salvador Dalí, fu la pellicola (in realtà un cortometraggio) Un perro andaluz, ovvero Un cane andaluso, del 1929. A seguito dello scoppio della guerra civile spagnola nel 1936 l’autore (il cui animo anticattolico e antiborghese era piuttosto pronunciato) si schierò in sostegno della Repubblica, mentre il suo amico Dalí sostenne inizialmente le forze nazionali, salvo poi prendere decisioni contraddittorie. Buñuel divenne direttore di cinema, assistente di direttore, attore, regista e produttore. Nella sua opera cinematografica viene spesso messa in scena una situazione ambigua, una realtà distorta, che incute mistero e produce una reazione, scenari e vicende astrusi, surreali, difficilmente concepibili con la ragione, che scantonano ogni canone e sono diretti verso un oltre apparentemente illogico e impraticabile per l’uomo contemporaneo. Rottura, caos, sperdimento, delirio e sbigottimento sono solo le idee e le sensazioni che la sua opera, tortuosa e anche di riflesso sociale, evoca. Tra le opere maggiori si ricordano La edad de oro (1930), Viridiana (1961), Diario de una camarera (1964) e La Via Láctea (1969).

Nell’arte l’esponente cumbre della stagione del surrealismo spagnolo è rivestita dall’enigmatica figura del genio Salvador Dalí (1904-1898) che fu pittore, scultore, disegnatore, scrittore e cineasta di notevole talento. Nel 1919 realizzò la sua prima esposizione pubblica di opere al teatro municipale di Figueras. Dal 1922 fu a Madrid a studiare presso la Residencia de Estudiantes e studiò alla Real Academia de Bellas Artes de San Fernardo. Sperimentò il cubismo e il dadaismo; a Parigi conobbe Pablo Picasso.  Nel 1936 venne espulso dal movimento surrealista per le tendenze fasciste. Nel 1974 nella sua città fondò il Teatro-Museo Dalí continuando a manifestare le sue idee politiche di fervente monarchico al punto tale che negli stessi anni Re Juan Carlos I gli concesse il titolo nobiliare di Marchese di Pubol. Dalí viene ricordato per le sue opere pittoriche (e per le sue creazioni, come l’elefante con zampe lunghe e finissime) visionarie, stravaganti, geniali che riflettono i suoi continui tuffi a perdifiato nell’onirico. 

In apparente controtendenza alle forme e ai caratteri della poesia avanguardista si situano due grandi ambiti della poesia del periodo che attengono a due dimensioni distinte ovvero la poesia neopopolare e la poesia sociale. La cosa importante da rivelare è che molti esponenti (Rafael Alberti e Federico García Lorca, tra gli altri) nel corso della loro maturazione letteraria, transitarono per vari generi poetici in età successive. Per tali ragioni non è molto giusto che determinati autori vengano (in operazioni manualistiche agglutinanti da parte della critica) inseriti all’interno di un solo ambito poetico, avendo nel corso della loro carriera transitato anche per altri generi e assorbito, seppur per un breve periodo e un numero limitato di opere, una sensibilità differente rispetto a quella per cui l’autore è comunemente noto e canonicamente riconosciuto. Federico García Lorca (1898-1936) produsse Romancero gitano (1928), che è un’opera neopopolare che si inserisce nella tradizione autentica dei cancioneros spagnoli e parla della campagna e dei riti misteriosi che in essa accadono ma è autore anche di Poeta en Nueva York (scritto nel 1929-1930 ma pubblicato postumo nel 1940) che contiene liriche prodotte nella Grande Mela nel pieno del Crollo della Borsa di Wall Street, testi sagaci e irruenti con immagini icastiche e violente, a tratti ambigue, taglienti, in cui duramente denuncia il mondo capitalista e che fanno di quest’opera un volume di poesia surrealista.

La poesia neopopolare è espressione di un sentimento personale, intimo e vivo con la quale il poeta mostra la sua sensibilità. In essa appaiono ambienti naturali, paesaggi e spazi vicini alla vita del poeta. L’uso della prima persona è molto frequente. Le poesie si caratterizzano per una scarsità di argomenti e sono generalmente brevi ma vi si può apprezzare la forte condensazione espressiva. In esse si ripetono le forme tradizionali della letteratura popolare ovvero la canzone, il romance, il sonetto mentre il ritmo appare vivo e dinamico. Nella maggior parte di esse domina un tono colloquiale e affettivo che si raggiunge grazie al frequente utilizzo di diminutivi e di espressioni spontanee. Al contempo abbondano le ripetizioni e vengono utilizzati ritornelli (estribillos) che trasmettono una musicalità piacevole. L’elemento popolare è presente anche per mezzo di reiterati e convinti impieghi di termini arcaici ma anche di neologismi legati alla tradizione orale.

Pedro Salinas (1891-1951) e Jorge Guillén (1893-1984) coltivarono con alti esiti la cosiddetta poesia pura nella quale gli autori, operando tanto di cesello, pervennero all’eliminazione di tutto ciò che è narrativo e della retorica per considerare solo l’essenzialità. Questo comportò, nella contemplazione del mondo fatta in maniera istintiva e ingenua, il rifiuto delle espressioni legate alla sentimentalità e la generale tendenza a considerare la poesia come qualcosa di autonomo, chiuso e autosufficiente. Si assistette a un’abbondanza di poesie dotate di una struttura circolare (che iniziano e terminano nello stesso modo) in cui è forte la ricerca e il gusto per la parola esatta, nuda, pulita, senza accumulazione di aggettivi e di complessità. Sintatticamente venene impiegato uno stile nominale con predilezioni per un lessico semplice e versi tendenzialmente corti, frasi rotte da cesure con lineette, parentesi e punti sospensivi.

Il già citato Rafael Alberti e l’amico poeta Emilio Prados (1899-1962), entrambi andalusi, si caratterizzarono anche per la produzione di una poesia sociale che presenta i temi della realtà a loro quotidiana e si basa su circostanze e fatti reali, situazioni politiche e sociali. Questo genere considera l’uomo come immerso in una società, nelle sue circostanze politiche, sociali ed economiche e la funzione di questo tipo di poesia si ravvisa nella sua utilità ovvero serve a far conoscere i problemi sociali, la povertà, gli squilibri del mondo e a cercare di porre rimedio. La tematica è centrata sull’uomo, sulla società, sulla lotta di classe, la disoccupazione, l’ideologia politica, l’uguaglianza mentre il tono è spesso alto (celebrativo o no) e combattivo (polemico, riottoso, accusatorio), incita alla lotta di classe e alla rivoluzione. Domina un linguaggio diretto, con un vocabolario semplice e pratico, che trae dal mondo orale espressioni d’uso comune e molto efficaci, adottando sempre una sintassi che non offre nessuna difficoltà di comprensione né di recepimento. Abbondano gli apostrofi, le domande (spesso ossessive e accusatorie), le incitazioni dirette al lettore e gli imperativi che incitano ad adoperarsi per il cambiamento e l’abbattimento delle storture sociali.