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Ucraina, la guerra calpesta la storia

Nulla ritornerà più come prima, la guerra calpesta la storia, che è sempre stata scuola di vita e sta producendo, distruzione, crimini di guerra, genocidi e un disastro ecologico di grande portata.  La storia ci insegna che in Europa gli aggressori hanno avuto dalla loro parte solo l’effetto sorpresa, ma poi gli aggrediti si sono coalizzati e hanno vinto. 

I popoli europei dell’ex impero sovietico vogliono andare avanti, perché ormai hanno assaporato l’inebriante profumo della libertà. Per chi ha vissuto come la Lituania e le altre repubbliche baltiche fino agli anni 90, con le torture della polizia segreta russa, le deportazioni e le fosse comuni, rivedere i carri armati che sparano sui civili è stato un ritorno al passato da incubo. 

Le dittature nei momenti di difficoltà interna, per giustificare l’occupazione del potere o problemi economici difficili da affrontare, si inventano guerre, che poi degenerano e producono la fine dei regimi. L’esempio recente dei Balcani è lampante e fa capire, che i dittatori accecati dal potere non sanno leggere la storia. La guerra scatenata dal serbo Milosevic, contro i musulmani del Kosovo e di altre aree dell’ex Jugoslavia, grazie alla Nato prima e poi al Tribunale internazionale dell’Aia, hanno segnato la sua fine e quella dei suoi generali.   

Bombardamenti a tappeto per fare scappare gli ucraini e sostituirli con i russi

Putin ha esportato un nuovo modello di guerra in Europa, con bombardamenti a tappeto, distruzione totale, fuga dei civili dalle aree conquistate, che non potranno più rientrare e la loro sistematica sostituzione con civili russi. In Europa non si era mai visto un bombardamento terrestre a casaccio contro palazzi residenziali, con i panni stesi nei balconi. L’esercito russo spara da lontano perché ha difficoltà ad entrare nei centri abitati, i bombardamenti sono una soluzione per sfiancare gli ucraini e limitare i troppi soldati caduti in battaglia. Sono eccessivi anche i 12 generali caduti nelle retrovie, i morti creano enorme imbarazzo in Russia. Una vera anomalia è quella di abbandonare per strada o sui mezzi colpiti i soldati uccisi, una vergogna tollerata dal regime per rimandare il consuntivo delle perdite, con la speranza di raffreddare gli animi dei familiari. 

Numeri da capogiro diffusi da UKRInform che fanno riflettere, 27.200 russi caduti in battaglia. La resistenza ucraina ha distrutto: oltre 3000 veicoli corazzati, 1200 tank, 195 sistemi di lanciarazzi mobili, 160 elicotteri, oltre 2000 veicoli in particolare le cisterne di carburante, 13 navi, 400 droni e 95 missili da crociera. Soldati mandati a combattere senza motivazioni e con protezioni individuali vetuste, armamenti privi di protezioni e tecnologie avanzate. Da considerare anche i tanti mercenari ceceni e di altre nazionalità assortiti da infiltrati liberi di terrorizzare i civili, con stupri e uccisioni singole e di massa, lo testimoniano le fosse comuni riprese dai satelliti.  

La carenza di tecnologia negli armamenti delle Forze Armate russe si è notata in maniera evidente con l’affondamento di 13 navi da guerra a cominciare dall’ammiraglia “Moskva”, la fregata lanciamissili “Admiral Makarov”, assieme ad altre navi. La vulnerabilità del naviglio è evidente, malgrado la cortina di fumo o meglio la controinformazione, i fatti confermano che la marina militare russa è carente nei sistemi antimissile e quindi le sue navi sono facilmente affondabili dai razzi “Neptune” di produzione ucraina.

L’altra guerra contro gli oligarchi e gli oppositori

Assieme ai caduti in battaglia, notiamo anche una vera e propria epidemia mortale di oligarchi russi, con interessi in Europa e nel mondo, alcuni già sottoposti al sequestro dei beni, che potrebbero essere utilizzati per iniziare la ricostruzione dell’Ucraina. 

L’epidemia ha colpito 6 oligarchi, ma si presume continuerà; in alcuni casi si notano stragi familiari, sicuramente per eliminare scomodi testimoni. Dal Polonio si è passato all’impiccagione, all’accoltellamento e ad altri metodi spicci di suicidi poco credibili, che mostrano la fragilità di un sistema criminale, prima rivolto solo agli oppositori ma che adesso continua contro gli oligarchi infedeli e le loro famiglie. Da inserire nel conteggio anche il mancato avvelenamento di Roman Abramovich e di alcuni negoziatori ucraini ad inizio della guerra, da ricordare inoltre le vicende degli oppositori come Alexei Navalny, Alexander Litvinenko e l’ex presidente ucraino Viktor Yushchenco.  

Altro caso eccellente, il tentativo di avvelenamento avvenuto nel 2004 e poi l’assassinio nel 2006 della coraggiosa giornalista russa Anna Polikovskaya, famosa in tutto il mondo per i suoi reportage sulla guerra in Cecenia e sugli abusi compiuti dai soldati federali russi. La Polikovskaya, pioniera della libertà di stampa in Russia è stata uccisa a Mosca, con un colpo in testa sparato dentro l’ascensore del palazzo dove abitava. Finirà la mattanza? Intanto i superstiti tremano.

Crimini di guerra e la battaglia mondiale del pane

Crimini da brividi lo sostiene la procuratrice ucraina Iryna Venediktovas, che vanno dal bombardamento di infrastrutture civili, l’uccisione di civili, torture, stupro e saccheggio. Al momento sono stati raccolti 41 casi, pronti per essere portati in tribunale. Anche la Corte Penale dell’Aja, si sta muovendo, con il procuratore Karim Khan, che ha raggiunto a sorpresa Kiev per verificare le notizie giunte dai suoi inviati. Attualmente la guerra in Ucraina ha fatto scattare le indagini alla Corte Penale di Giustizia (Onu) e alla Corte Penale Internazionale. Si prevede un’altra Norimberga, che potrebbe scattare solo dopo la caduta del regime russo.

L’Onu non riesce a reagire con la giusta determinazione, sembra un nano che cerca di muoversi in una foresta di sequoie. Urge superare i veti, ma nell’immediato serve intervenire per creare un percorso protetto dei cereali, per farli trasportare dai silos ucraini ai mercati del terzo mondo. Bisogna vincere nell’immediato la battaglia del pane, per evitare una gravissima carestia mondiale. L’Onu potrebbe iniziare da questa emergenza, con l’invio di caschi blu in una piccola area portuale protetta del porto di Odessa, ma per fare questo ci vuole risolutezza e coraggio e attualmente il coraggio è merce rara nel palazzo di vetro.

*Domenico Interdonato, giornalista