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Tutto, tranne l’amore di Sergio Daniele Donati

Il rapporto di un padre con il proprio figlio diventa l’occasione per il poeta e scrittore Sergio Daniele Donati per intessere con Tutto, tranne l’amore (Divergenze, 2023), un’opera metaletteraria in cui il racconto, ricondotto alla forma originaria del dialogo, si fa parola e immagine, mito e fiaba, logos infarcito di exempla, romanzo e poesia. Sergio Daniele Donati, già autore de Il canto della Moabita (Ensamble, 2021) e direttore del litblog Le parole di Fedro, non dimentica le forme e i modi della tradizione e, riconducendo all’oralità della forma dialogica il rapporto quotidiano con il proprio figlio, crea un metatesto capace di dialogare con gli esempi più alti della tradizione letteraria (occidentale e non solo), nonché con l’arte della parola, da quella scritta a quella raccontata: dal mito ai testi sacri, dal diario intimistico alla favola, la scrittura attraversa il potere evocativo del Logos, del Mithos, del Verbo all’insegna di un processo conoscitivo ed emotivo che si basa sulla relazione quale trasmissione di saperi (nella facies oralità-fissazione scritta) e sulla maieutica, intesa come arte della riflessione e dunque espressione di conoscenza e ragionamento.

Ma cosa lascia questo padre al proprio figlio, questo figlio che chiede al padre di raccontare, di farsi maestro e guida, detentore di una sapienza scevra da orpelli decorativi e di facciata, questo figlio che chiede al padre di raccontare «tutto, tranne l’amore»? 

Sergio Daniele Donati racconta, e la relazione padre- figlio diventa un po’ il calco semantico di quella tra discepolo- maestro, tra allievo e sapiente, tra profeta e credente. L’autore racconta e prende corpo un orizzonte ontologico di miti e figure che stimolano l’orizzonte conoscitivo del giovane Pietro, chiamato ad un dialogo non passivo, ma che lo vede in qualità di co-protagonista, parte attiva di un tutto ancora vergine sul piano gnoseologico e conoscitivo, ma in cui in realtà è proprio l’amore ad avere la sua centralità. Nel libro, infatti, benché ne dica il titolo, l’amore diventa la cifra espressiva della narrazione, il filo conduttore di ogni parola, il filtro di ogni emozione e di ogni sillogismo, di ogni allegoria, di ogni ragionamento. La trasmissione del sapere, il ricordare, che è poi il senso ultimo del mito, della scrittura, del racconto di un padre ad un figlio, è prima di tutto dono affettivo, possibilità di autentificazione dell’io e verità, scelta personale: «Ricordare è una scelta; istintivamente l›uomo dimentica. Si alza al mattino e dimentica i sogni, s›addormenta la sera e dimentica le fatiche della giornata. Però le cose importanti sceglie di ricordarle […] Cor significa cuore, e ri-cor-dare significa riportare le cose al proprio cuore. Un atto volontario». Così lo scrittore ricorda e racconta poeticamente di una vita intesa come danza e di vuoti e assenze, di dolori e continue trasformazioni: tra le trame della scrittura e del dialogo emerge il senso di una esistenza che si esprime umanamente quale incontro continuo di sofferenza e gioia della scoperta, e che in ultima analisi, innalza con ironia, saggezza e a tratti un po’ di malinconia, un inno all’amore, il solo sentimento capace di autentificare l’io restituendo all’uomo il senso pieno del suo esistere: «Apro gli occhi, Pietro mi guarda. “Bella questa storia. Comunque, si era detto tutto, tranne l’amore”. “Hai ragione”, rispondo, “ma io fuori dall’amore non esisto e tutte le storie degli uomini, un poco, ne parlano”». Sergio Daniele Donati scrive un libro in cui saggezza e eticità del lirismo si compenetrano fino a creare un piccolo dono d’amore.  

*Laura D’Angelo, scrittrice, poetessa