“Tutto ciò che promuove l’evoluzione civile lavora contro la guerra”
(Dalla lettera di Sigmund Freud ad Albert Einstein)
Quando si parla di evoluzione civile sicuramente non ci si riferisce solo al progresso tecnico-scientifico ma anche a quello prettamente sociale, morale e culturale che servono a valorizzare e a utilizzare, nell’interesse dell’umanità, le conquiste fatte dalla tecnica e dalla scienza.
Già Massimo D’Azeglio, quando i problemi che agitano oggigiorno il mondo non erano così gravi, scrisse che la vera e sostanziale differenza fra la civiltà e la barbarie consiste non nel possedere o non possedere la scienza con tutte le sue conseguenze ma nell’adoperare o non adoperare il bene degli uomini.
Per chi riflette questo è il vero criterio per conoscere il vero progresso di un popolo o di un’età.
E nelle parole del D’Azeglio la parola progresso, secondo me, corrisponde perfettamente all’espressione evoluzione civile usata da Freud, in quanto entrambi gli studiosi, ebbero una chiara visione delle responsabilità che gli individui e le varie collettività assumono di fronte alla grande famiglia umana, nell’usare i mezzi forniti dalle conquiste tecnico-scientifiche.
Un rapido sguardo alla storia degli ultimi secoli ci mostra proprio il continuo disagio che ha afflitto e che ancora affligge la società umana nell’avvertire un persistente squilibrio tra la sua evoluzione civile e quella tecnologica, che è rapida e travolgente.
E’ venuto il momento di confrontare progresso e civiltà, dominio della materia e controllo dello spirito, perché si è acuito il disagio dell’uomo nel vedersi sproporzionatamente evoluto di fronte alla tecnica, mentre è rimasto nel suo intimo e nei rapporti sociali quel “lupo” come lo definì Ugo Grozio.
L’angoscia è tanto maggiore se le passioni e l’aggressività non sono diminuite, ma è aumentata la capacità di aggravarne i danni; al Caino moderno basta qualcosa di molto più maneggevole d’una clava, per sopprimere in pochi secondi molti fratelli.
Bisogna impedire che “natura e arte” siano violentate ad opprimere l’umanità, in corruzione e dissolvimento di ogni legge divina ed umana.
Superbia ed egoismo causano questo disordine e la superbia potrebbe trasformare in presunzione la fiducia sul progresso fino a farci credere dominatori incontrastati dell’universo.
Ebbene, se quelle forze che scateniamo e tratteniamo con una certa disinvoltura ci sfuggissero un giorno dal controllo? Lo vediamo in questo momento storico con la guerra della Russia contro l’Ucraina, un vile attacco militare per un’esasperata voglia di egemonia politica.
Siamo tanto preoccupati di conquistare il primato ed il monopolio della scienza, per scopo di dominio, che non ci poniamo più la domanda a quali rischi andiamo incontro di auto sterminio totale.
Ma non si può e non si deve lavorare seguendo simili percorsi: l’uomo è già stato vittima della macchina di guerra in molte occasioni; presto potrebbe esserlo irrimediabilmente delle sue scoperte nucleari sempre più avanzate, qualora non disciplinasse se stesso impegnandosi ad agire con giustizia per il trionfo della verità, che non ha confini e non s’impone con la forza.
Lo stesso Einstein si rese conto dei pericoli derivanti da un simile impiego e sentì il dovere di proclamare:
-Noi scienziati, il cui tragico destino ha voluto che cooperassimo a rendere i metodi di annientamento più terribili e più efficienti, dobbiamo considerare nostro solenne e superiore dovere quello di usare ogni nostro sforzo per impedire che quelle armi siano utilizzate per i fine brutale per il quale vennero inventate. –
Però il benessere materiale e il migliore tenore di vita devono essere estesi a tutta la popolazione mondiale, superando quel muro di egoismo e di sospetti che impedisce ai privilegiati di pensare ai derelitti e scaglia quest’ultimi contro i primi. Utopia? Non credo, è solo mancanza di buona volontà e concreta responsabilità dei principi fondamentali dell’uomo.
Non sono concepibili zone ultraricche e zone depresse, sovrasviluppate e sottosviluppate, conservatorismi, nazionalismi, stati guida e stati satelliti, imperialismi economici, politici, militari, razzismo, esercizi di potere individuale o partitico o di casse all’interno degli stati e nella politica internazionale.
I delitti contro la vera libertà, contro l’indipendenza, contro il diritto alla vita sono fonte di conflitti più o meno estesi ma sempre capaci di propagarne altri.
Si assiste impotenti ai grandi scontri ideologici e militari tra i blocchi politici d’occidente e d’oriente, anche se in forme nuove pur sempre attive e vive.
Si sente sempre parlare dell’urgente necessità d’interdire l’uso delle armi atomiche e di troncare gli esperimenti, ma non c’è sincerità in queste sagge proposte, perché di fatto si opera nella creazione di armi sempre più potenti come argomenti persuasivi nei conflitti.
E’ questo indice di vero progresso? Il credere che, il diritto sia solo dove c’è la forza, ci mette alla stregua delle bestie, con l’aggravante che quelle seguono un istinto, non dotate di ragione, mentre gli uomini dovrebbero illuminare la propria condotta, servendosi dell’intelligenza e della coscienza.
Sembrerebbe radicato nei potenti un tipo nuovo di feudalesimo in quanto gli stati maggiori hanno come vassalli (si usa chiamarli satelliti) gli stati minori ai quali si impongono con minacce o promesse, con l’uso delle armi e delle sanzioni economiche, l’applicazione di trattati militari e commerciali nonché l’entrata in determinati sistemi di alleanze e l’obbligo di seguire una condotta concertata dai “protettori”.
Così si nasconde sotto la finzione dell’altruismo internazionale l’egoismo più gretto al quale i deboli reagiscono, quando possono, con ribellioni, defezioni, confusioni.
Seguono attentati alla pace mondiale, ricatti, baratti, repressioni… e il più potente si appoggia alla situazione del privilegio in cui si trova grazie al progresso, sfruttato purtroppo per scopi imperialistici.
Che fare allora? Bisogna favorire l’evoluzione civile, come dice Freud, con l’intensificazione dei rapporti umani tra cittadini e cittadino, tra popolo e popolo, per abbattere pregiudizi e nubi di incomprensioni.
Uno scambio sincero di idee, un colloquio schietto e pieno di buona volontà sui problemi e le questioni di attrito.
Sarebbe auspicabile smobilitare gli eserciti e trasformare il servizio militare in servizio civile nazionale ed internazionale, una questione più ideologica che pratica, ma certamente non è la rincorsa agli armamenti che possano risolvere le questioni, oltre ai vantaggi materiali bisognerebbe promuovere tutti una maggiore intesa fra i popoli costruttiva che metterebbe meglio in evidenza la stupidità delle guerre, del militarismo, delle supremazie, dell’odio e delle amicizie artificiali, manovrate nelle alte sfere della politica internazionale.
Già Paolo VI nella Populorum Progressio osservava che “i poveri restano ognora poveri mentre i ricchi diventano sempre più ricchi” e questa è la causa dei conflitti tra le classi sociali e tra i popoli.
“Che la ricerca della pace sia al centro del nostro agire”, lo dice Papa Francesco proprio oggi in merito alla guerra in Ucraina, quando sembra aprirsi uno spiraglio di dialogo. Le agenzie riportano infatti la notizia che la Russia sarebbe pronta a dialogare con Papa Francesco, con gli Usa e con la Francia per cercare una soluzione al conflitto in corso
Papa Francesco sottolinea ancora una volta che “la pace è nel cuore delle religioni”, quella pace negata e umiliata in tante parti del mondo e il cui grido viene spesso messo a tacere “dalla retorica bellica”, ma anche dall’odio e dall’indifferenza. Eppure è un’invocazione che, afferma il Papa, “non può essere soppressa”.
Che la guerra sia “madre di tutte le povertà”, e lasci “il mondo peggiore di come lo ha trovato”, che sia “un fallimento della politica e dell’umanità”, lo dimostrano, osserva il Papa, “le lezioni dolorosissime del secolo Ventesimo, e purtroppo anche di questa prima parte del Ventunesimo”, in cui, dimenticando Hiroshima e Nagasaki, si è tornato a minacciare l’uso delle armi nucleari.
È un impegno che, afferma ancora il Papa, vogliamo continuare a vivere.
Non dobbiamo rassegnarci alla guerra.
*Regina Resta, presidente Verbumlandiart