Tutti marziani con Perseverance
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Il 30 ottobre 1938 Orson Wells diffuse il panico negli Stati Uniti annunciando un’invasione marziana in diretta radiofonica. In realtà si trattò soltanto di un riadattamento radiofonico del romanzo “La Guerra di Mondi” di H. G. Wells (l’omonimia è un puro caso), cosa che era stata prontamente chiarita sia prima che dopo la trasmissione. La popolazione distratta, però, si lasciò prendere la mano e montò vere e proprie scene di ordinaria follia. Questo episodio è una dimostrazione evidente di quanto la paura di un’invasione aliena fosse ben radicata nel nostro mondo, soprattutto perché abbiamo avuto la certezza che i marziani non esistono soltanto dopo aver mandato lsu Marte, il pianeta incriminato, le prime sonde, i satelliti Mariner della NASA, verso la fine degli anni ’60.
In questo 2021 Marte, rosso come la ruggine che lo caratterizza (poco romantico, lo so, ma vero) è di nuovo il protagonista indiscusso dello spazio, tanto che il mese di febbraio 2021 è stato definito proprio “il mese di Marte”. Del motivo ne abbiamo parlato nel numero dello scorso settembre ma vi rinfresco la memoria. Nel luglio 2020 sono partite ben tre missioni spaziali aventi come obiettivo il pianeta rosso: Al-Amal (“Hope”) degli Emirati Arabi Uniti (Mohammed Bin Rashid Space Center), Tianwen-1 della Cina (CNSA) e Mars2020 degli Stati Uniti (NASA), ognuna con uno scopo diverso. Al-Amal è un orbiter che si occuperà dello studio dell’atmosfera marziana ed è entrata con successo in orbita lo scorso 9 febbraio. Il giorno dopo, ha iniziato le sue orbite intorno al pianeta rosso anche l’orbiter di Tianwen-1 ma l’obiettivo di questa missione è più ambizioso: il prossimo maggio, infatti, dall’orbiter si staccheranno un lander e un rover che atterreranno sulla superficie. Se le cose andranno come previsto, la Cina sarebbe la prima della storia a riuscire in un’impresa simile: orbiter, lander e rover su Marte tutti insieme in una volta sola. Non male eh?
Dulcis in fundo, lo scorso 18 febbraio la missione NASA Mars 2020 ha fatto scendere con successo il suo rover Perseverance all’interno del cratere Jazero, luogo previsto sin dall’inizio per il suo atterraggio. Se non avete avuto modo di vedere i video e le immagini raccolte e presentate dalla NASA a testimonianza di tutto questo, vi consiglio di farvi un giro sul web perché sono spettacolari. Proprio viaggiando virtualmente insieme a Perseverance, cerchiamo di conoscere un po’ meglio il pianeta rosso.
Marte, seppur molto simile alla nostra Terra, è grande circa la metà e gira intorno al sole in un tempo quasi doppio rispetto a noi, con conseguente durata doppia delle stagioni. Escludendo la durata, la loro alternanza è simile a quella sul nostro pianeta perché l’asse di Marte è inclinato di circa 25°, un numero molto vicino all’inclinazione del nostro (circa 23°). La sua distanza media da noi è di 800 milioni di km e quindi quella dal sole è di circa 228 milioni di km; questo implica temperature molto più basse delle nostre, con una media di -63°. La sua distanza da noi e il suo moto di rivoluzione intorno al sole sono i parametri fondamentali da considerare quando vogliamo far partire una sonda nella sua direzione. Sarebbe fantastico poter lanciare sonde prendendo “la mira” lì per lì e via, ma ovviamente la realtà è più complessa. Per programmare il lancio di una missione verso Marte è necessario aspettare la cosiddetta apertura di una “Finestra di Lancio”, cioè il momento più favorevole alla sua partenza. Con più favorevole si intende il periodo in cui la sonda può entrare in orbita marziana nel minor tempo possibile col minor dispendio di carburante possibile (ricordiamoci sempre che 1kg carburante per lo spazio equivale a migliaia di dollari di spesa), il che si verifica quando i due pianeti, Terra e Marte, si trovano alla loro minima distanza. Motivo per cui tutte e tre le missioni suddette sono partite nell’arco di poche settimane.
Anche rispettando queste condizioni, però, il tempo necessario a raggiungere il pianeta rosso è sempre notevole: sono passati quasi sette mesi prima che tutte e tre le missioni abbiano raggiunto l’obiettivo. Se poi, una volta arrivati in prossimità di Marte, si vuole anche far atterrare un rover il peggio deve ancora arrivare. Così è stato per Mars2020. In questi giorni avrete sicuramente sentito nominare i cosiddetti “7 minuti di terrore” vissuti nell’atmosfera marziana da Perseverance (i primi sono stati quelli del rover “Curiosity” nel 2011).
Ecco, questa denominazione data alla discesa dei rover in superficie, è dovuta a due fattori principali. Il primo è che data la distanza Terra-Marte ogni segnale impiega quasi 10 minuti per arrivare da un pianeta all’altro: questo implica che qualsiasi cosa avvenga in quei 7 minuti di discesa, debba avvenire in piena autonomia perché noi non abbiamo alcun modo di intervenire tempestivamente (e significa anche che veniamo a conoscenza della riuscita dell’atterraggio con 10 minuti di ritardo). Il secondo motivo è che l’atmosfera di Marte, densa circa 1/60 di quella terrestre, è sufficientemente densa da far “infuocare” la sonda quando entra in atmosfera (come le “stelle cadenti” nella nostra, per capirci) ma troppo rarefatta per frenarla a sufficienza. Questa complicazione è assente negli atterraggi lunari, essendo la Luna priva di atmosfera. Fatto sta che Perseverance, una volta entrata in atmosfera marziana a circa 20000 km/h, è stata protetta da uno scudo termico dai 1500 gradi raggiunti durante le prime fasi. Passata questa transizione “hot”, è stato poi aperto il paracadute (una cosetta da 22m per 46 kg) che ha rallentato la sonda fino a circa 300 km/h. A quel punto è stato abbandonato lo scudo termico per permettere ai radar di acquisire tutti i dati necessari a un corretto atterraggio e a noi di vedere la superficie marziana dall’alto. A circa 2 km dal suolo, sono stati attivati i propulsori che hanno rallentato la sonda fino a pochi km/h. A 20m dalla superficie è stato rilasciato Perseverance con un sistema di gru (da qui il lander è stato chiamato “Skycrane” = “gru del cielo”) per evitare che i retrorazzi del lander si avvicinassero troppo al suolo alzando povere marziana pericolosissima per la strumentazione a bordo del rover. Stanchi eh? Figuratevi tutte le persone al centro di controllo dopo anni di lavoro che hanno rischiato di andare in fumo in ogni secondo di quei 7 minuti!
Tutto è andato grandiosamente, però: loro hanno vissuto un momento di puro giubilo e ora Perseverance, fratello migliorato di Curiosity, può iniziare il suo lavoro vero e proprio. Comincerà a muoversi sulla superficie per analizzare il terreno e le rocce lì intorno: la sua velocità, come quella di goni rover su Marte, sarà di pochi km/h perché non sappiamo cosa potrebbe trovare lungo il suo cammino e non si può rischiare di “bucare” una gomma, per ovvi motivi. La nostra esperienza su suoli “extra-terrestri” come quello marziano e lunare ci ha permesso di sviluppare una tecnologia sempre migliore per sviluppare degli pneumatici più sicuri per le nostre auto.
Tanto per ricordarvi l’importanza della ricerca spaziale e del guardare oltre il proprio naso per risolvere problemi. Tra i tantissimi compiti da portare a termine con le decine di strumenti di cui è fornito, il nostro Perseverance ne ha alcuni davvero particolari. Farà volare per la prima volta un drone su un altro pianeta (“Ingenuity”) per verificare la possibilità di esplorare Marte dall’alto. Poi raccoglierà dei campioni di suolo marziano che saranno raccolti entro il 2030 in collaborazione con l’ESA (campagna “Mars Sample Return”. Ma la sua missione principale resta quella di cercare tracce di vita passata sul pianeta rosso. Ebbene sì, perché sappiamo per certo che nella sua giovinezza Marte abbia ospitato acqua liquida sulla superficie e quindi la probabilità che all’epoca si sia sviluppata qualche forma vivente primordiale non è del tutto nulla.
Uno dei dilemmi maggiori legati al Pianeta Rosso è proprio come sia possibile che tutta quell’acqua sia evaporata nonostante le temperature non esattamente calde. Ancora non abbiamo una risposta ma gli ultimi dati sembrano indicare come causa primaria le famose tempeste di sabbia marziane. Sono sicura che molti di voi hanno appena figurato nella testa la scena iniziale di “The Martian”, col povero Mark Watney scaraventato via dalla forza del vento marziano e reputato morto dai suoi colleghi che lo mollano lì. Beh, diciamo che nella realtà il caro Matt Damon avrebbe sentito sulla faccia soltanto una lieve brezza perché, come abbiamo detto, l’atmosfera marziana è densa solo poco più dell’1% di quella terrestre. Poi certo, è radioattiva ma questa è un’altra storia. Insomma, le tempeste marziane non sono così violente come possiamo pensare però durano molto più delle nostre, dalle settimane ai mesi sia perché non hanno ostacoli a fermarle sia perché risentono di una forza di gravità tre volte inferiore a quella terrestre. Questa loro caratteristica sembra sia stata sufficiente a sollevare e portare via tutta l’acqua di Marte nei miliardi di anni passati.
Insomma, nonostante lo stiamo esplorando da quasi un secolo, Marte ha ancora tanto da dirci e noi abbiamo sempre più voglia di mettere piede lì sopra. Al mezzo di trasporto ci sta pensando ininterrottamente Elon Musk con prove su prove delle sue Starship a Boca Chica, tra gioie e insuccessi; come ha detto Samantha Cristoforetti con un tweet relativo alle nuove selezioni ESA per gli astronauti: “Il peggior fallimento è non provarci”. Nel frattempo dobbiamo trovare una soluzione ai due più grossi ostacoli a una missione umana su Marte: il quantitativo di radiazioni a cui sono esposti gli astronauti (svariate centinaia di volte il quantitativo normale per un essere umano) e il trauma psicologico di dover vivere 6/7 mesi in uno spazio angusto (la Stazione Spaziale a confronto può essere considerata una nazione intera) a stretto contatto con altre persone che potrebbero anche non essere particolarmente simpatiche. Penando a quanto ci stia massacrando psicologicamente lo stato in cui stiamo vivendo dal marzo 2020, possiamo facilmente immaginare quanto sia importante questo fattore.
Noi esseri umani, però, sappiamo essere straordinari e come riusciremo a uscire da questo maledetto periodo, riusciremo un giorno a mettere piede su Marte e a fare un passo in più verso il futuro. Non su un altro Pianeta ma sul nostro, semplicemente espandendo il nostro orizzonte.
*Martina Cardillo, astrofisica