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Nico Maraja: un cantautore tra le onde

Messina è un luogo di passaggio, la città per chiunque stia cercando qualcosa, per chi si è perduto, per chi vorrebbe perdersi. È una soglia, un luogo in continuo divenire, un incontro tra mondi, una porta per chi sa vedere oltre, un porto in cui confluiscono due mari, una città dalla grande memoria che abbraccia i suoi figli e non li dimentica mai, dove la vita è scandita dal compiacente assenso delle onde.

“Gira e rigira, alla fine ci troviamo sempre davanti a un mare, e per andare dove siamo diretti, ci tocca superarlo – scrive Stefano D’Arrigo in “Horcynus Orca” – sempre un mare rosso, un mare vivo o morto, che si para davanti a chi va ramingo, in cerca di casa.”

Queste parole mi risuonano mentre sono coi piedi sprofondati nella sabbia di Capo Peloro, sotto l’imponente pilone, davanti allo stretto di Messina, dove antico è il tacito accordo tra mito e memoria.

Quando Nico Maraja me lo ha annunciato era circa un anno fa, in questo periodo. Stavamo bevendo un caffè e lui mi ha detto: “Ho deciso di attraversare lo stretto di Messina a nuoto”. Ho capito subito che non stava scherzando, perché quanto si mette in testa una cosa la porta a termine con tutti i sacrifici annessi.

Nico Maraja è un artista poliedrico: cantautore con tre dischi all’attivo, scrittore, attore, compositore di colonne sonore e anche speaker radiofonico, un funambolo tra i mondi, sempre in bilico tra realtà e dimensione onirica. Anni fa aveva avuto la folle idea di unire Roma e Lecco, la sua città di origine, con un viaggio in bicicletta in solitaria che lo aveva portato a scoprire, sul suo cammino, luoghi, artisti e storie incredibili. Questa impresa è diventata un libro, il suo esordio letterario, e c’è stata un’altra pedalata poco dopo in direzione sud, raccontata anch’essa nel suo secondo libro “Dell’amore e altre forature” (Ediciclo, 2020). La bicicletta e il nuoto hanno in comune la fatica, la meta e il viaggio che di solito è il vero obiettivo dell’impresa. Vivere tutte le sensazioni che offre il percorso, il qui e ora, è una delle prerogative degli sport in solitaria che portano con sé la poesia del dialogo silenzioso, della sfida con sé stessi, dell’incontro e della fusione con la natura, a tratti matrigna, a tratti l’unico luogo in cui riuscire a ritrovarsi, senza costrutti della società.

Nel caso del nuoto, il binomio tra uomo e acqua è ben radicato e riporta

l’inconscio ad uno stato primordiale, precedente alla nascita, un rimando all’origine stessa della vita.

“L’acqua avvolge braccia, gambe, testa, dando un senso di pace e protezione – scrive Carola Barbero nel suo libro “L’arte di nuotare – Meditazioni sul nuoto” (Il Melangolo) testo che ha accompagnato Nico in questi mesi di preparazione – allontana le preoccupazioni e i rumori del mondo che si impongono, travolgono, comandano. Un tuffo e tutto scompare: il mondo è messo tra parentesi, fino al prossimo respiro.”

Mettersi alla prova, misurarsi con una realtà completamente nuova, cambiare le proprie abitudini e imparare qualcosa di nuovo: sono questi i propositi che hanno spinto Nico verso questa impresa. Figuriamoci che esattamente l’estate scorsa si era trovato al cospetto dello Stretto di Messina, chiedendosi se era possibile percorrerlo a nuoto! La vita dona occasioni bellissime a chi sa coglierle e Nico Maraja sa decisamente ascoltare l’universo.

In questi giorni il vento ti attraversa e il mare è abbastanza mosso. Mi trovo anche io in Sicilia e ho deciso di raggiungere Nico e assistere alla sua impresa, perché, diciamocelo, non succede tutti i giorni che qualcuno decida di affrontare una simile sfida e io ci voglio essere. Penso di aver molto da imparare da lui, ad esempio, il coraggio di superare i propri limiti, ma questa è un’altra storia. Ad aspettarlo all’arrivo c’è anche suo figlio maggiore che lui chiama “Il mio aiutante” e penso che non scorderà facilmente questa avventura.

Ci avviciniamo all’11 settembre, il giorno della traversata, e bisogna fare i conti con il cambio di stagione, con le correnti di due mari che si incontrano e con le previsioni del tempo che appaiono incerte. Per un attimo mi preoccupo che possa essere più dura del previsto, che possa addirittura saltare la traversata. Al bar la signora che mi porge il caffè si lamenta del brutto tempo, scuote la testa e io penso che certe cose non sono mai facili, che certi obbiettivi vanno sudati.

Per fortuna ci sono loro, il team del progetto Traversata dello Stretto Amatoriale, fondato da Alfredo Laganà e Giuseppe Gangemi, perché naturalmente nulla è lasciato al caso: per

attraversare lo stretto di Messina ci sono regole ben definite. Nico mi dice che proprio

l’accoglienza amichevole di queste persone in questi mesi lo ha convinto sempre di più ad andare fino in fondo.

Il programma è questo: il giorno prima della traversata è previsto un briefing con tutti i nuotatori, poi appuntamento all’alba del giorno fatidico sulla spiaggia del Coco Beach a Villa San Giovanni (RC). Ad attenderli le barche pronte a traghettarli fino alla spiaggia di Capo Peloro in Sicilia da cui poi alle 8 in punto ha inizio l’impresa. Direzione: la costa calabrese.

C’è il vento di settembre che gonfia il mare e il sole che nasce proietta colori che non dimenticherò facilmente. Qualcuno indossa la muta, qualcun altro si è spalmato il repellente per le meduse, una donna milanese, ma di origine polacca, sventola la bandiera del suo paese natio prima di salire sulla barca.

Anche io attraverso lo stretto, ma lo faccio su un barchino che segue i nuotatori. Ci sono tante barchine quanti sono i nuotatori, una decina in tutto. Li seguono, li guidano, li assistono.

Quando la traversata ha inizio appare un arcobaleno nel cielo e io penso a quanto

sia più bella la vita da questa prospettiva. Nessuno schema sociale, nessuna competizione, nessuna pressione, solo il vento in faccia, il sole appena nato, il mare e tutte quelle persone e le loro storie intorno a me. Ognuno ha un motivo per essere lì, un desiderio, qualcosa da combattere o qualcuno da abbracciare alla fine di tutto.

Di fronte a tutta questa energia, ci si sente piccoli, ma tanto fortunati. È come se una voce dentro di me mi stia dicendo: “questa è la vera vita! C’è altro oltre a ciò che conosci, oltre alla guerra fra poveri di certi ambienti artistici, alle invidie immotivate, ci sono persone che fanno cose bellissime, che credono in ciò che fanno, che superano i loro limiti e lo fanno col sorriso. C’è l’infinito.”

Le correnti sono più forti del previsto, i tempi si dilatano, il sole si alterna alle nuvole e se si guarda bene, ci sono banchi di pesci, meduse e addirittura un tonno che fa un balzo fuori dall’acqua.

Nico mi racconta che si è goduto ogni attimo di quella traversata, che in quell’ora e cinquanta di bracciate in mare aperto gli è sembrato di fondersi con l’acqua, di trovare casa in un nuovo elemento. Avrebbe voluto trasformarsi in una creatura marina, sospeso tra le onde come nei sogni.

I nuotatori sono arrivati alla meta scaglionati e disorientati, ma felici. Avevano tutti il sorriso sulle labbra, la soddisfazione di avercela fatta, di aver fatto nel loro piccolo la storia di una tradizione che la gente del luogo preserva nel migliore dei modi. Quando Nico è uscito dall’acqua e si è guardato indietro ha lasciato andare tutto il peso del percorso fisico ed emotivo che lo aveva condotto lì. Era felice, era emozionato, era conscio di aver chiuso il cerchio di un anno di sacrifici, aspettative e grandi ispirazioni. Ora si può aprire un nuovo corso con un occhio al passato e lo sguardo all’infinito.

*Olivia Balzar, giornalista