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Tra Oriente e Occidente, il principio solare come “pensiero vivente”

C’è l’idea di una differenza insormontabile tra Oriente e Occidente eppure, la nostra identità si ridefinisce costantemente attraverso il confronto continuo tra due pensieri, “da una parte – sostiene Federico Rampini – il collettivismo, la spiritualità, il potere silenzioso di una civiltà antichissima. Dall’altra l’individualismo, il materialismo, la democrazia con tutto il suo rumore”. La complessità dell’incontro tra questi due mondi incrocia necessariamente la storia delle religioni e, tra queste, credenze arcaiche che hanno attraversato spazi geografici e temporali, fino a inseminare il nostro territorio intellettuale e spirituale.

Stefano Arcella nel suo ultimo saggio  “Il dio splendente – I Misteri romani di Mithra fra Oriente e Occidente – edizioni Arkeios, ci conduce alla scoperta del culto di Mithra che, proveniente  dall’India e dalla Persia, diventa un dio ellenistico e romano,  assimilato a Zeus e ad Helios, ma anche a Phanes, divinità greca legata alla religiosità orfica. Un sincretismo che ha lasciato pochissime testimonianze scritte, a fonte di una ricca iconografia difficile da decifrare, che alimenta il fascino dell’enigma e accese discussioni dottrinali. Nel mondo indo-persiano il culto di Mithra nasce nel II millennio a.C. e compare nei Veda come uno degli Aditya,  divinità solari e dio dell’onestà, dell’amicizia e dei contratti. Con Varuna rappresenta uno dei due aspetti dell’ordine umano e cosmico: Varuna punisce i trasgressori, Mithra garantisce i patti e protegge i giusti.  Con la riforma di Zaratustra assume titolo di “Giudice delle Anime” e diventa il più grande degli yaza ta, gli esseri creati da Ahura Mazdā per aiutarlo nella distruzione del male e l’amministrazione del mondo. Stefano Arcella analizza prevalentemente il Mithraismo romano, quella via Solare che inaugura l’epoca di un nuovo orientamento delle coscienze, influenzate dalle riforme spirituali e filosofiche affiorate in Oriente e in Occidente fra il VII e il V secolo a C. Il dio entra nella storia greco-romana con l’espandersi dell’Impero e, attraverso gli schiavi, i soldati, i mercanti provenienti dall’Asia minore, i funzionari che si spostavano nelle diverse Province per assolvere ai propri compiti, si diffonde a Roma sul finire del I secolo d.C., fino a radicarsi nel ceto senatorio, soprattutto nel IV sec d.C. come ultima espressione della “religione dei patres”. La spiritualità indiana, persiana, ellenistica e romana si amalgama in una rielaborazione innovativa in cui l’aspetto misterico si fonde con il senso della Fides e della lotta contro l’oscurità. La sua diffusione va di pari passo con una trasformazione storica, sociale, filosofica in cui l’uomo cerca un nuovo rapporto con la divinità, più intimo e personale. Un culto riservato, che attraverso vari passaggi, chiamati gradi di iniziazione, conduce l’adepto a una diversa e nuova consapevolezza di sé, a una cambiamento interiore, rappresentato dalla tauroctonia, ovvero la raffigurazione di Mithra nell’atto di sgozzare un toro sacro dal quale stillano gocce di sangue che generano una spiga di grano. Impossibile non cogliere in questa immagine tutta la sua forza simbolica ed evocativa. Il Mithraismo romano, ci fa riflettere Arcella, ha rappresentato una tappa importante dell’evoluzione spirituale dell’uomo antico, valorizzando l’esperienza silenziosa, quella che, secondo Aristotele, “non si apprende, ma si prova intimamente”, segreta perché non è traducibile in parole, poiché la comunicazione esterna, la razionalizzazione impoveriscono l’arricchimento dell’animo, riducono l’energia salvifica. Una ricerca storica accurata, basata su una documentazione ampia e completa che affronta e approfondisce aspetti inediti del culto, ci induce a riconsiderare le sensibilità spirituali delle religioni antiche e la loro eredità contemporanea. Mithra Sotér ovvero il Principio solare va riscoperto in noi stessi. E’ il potere dell’Io, presente nel pensiero vivente insito e latente nell’uomo. Nel corso dei secoli si sono verificati processi di trasformazione e d’involuzione che riguardano direttamente la costituzione interiore dell’uomo che si è sempre più “mentalizzata” e irrigidita. Nel passaggio dalle società tradizionali, sacralmente orientate “dall’alto e verso l’alto”, al mondo moderno, vi è stato un progressivo spostamento da un pensiero sintetico-intuitivo, che si esprime nel linguaggio del simbolo e del mito, a un pensiero logico-discorsivo, dialettico, che tutto analizza, scompone, misura, quantizza.  Il mondo esteriore sembra l’unico reale perché non riusciamo più a sviluppare quello interiore. Eppure, secondo filosofi come Rudolf Steiner, il primo non è che il riflesso del secondo. Se si fortifica l’anima, lo spirito umano che è in noi, completa la percezione per raggiungere la realtà. Per Steiner è il “pensiero vivente” a unire l’uomo al reale e in quest’attività egli è libero. Attraverso i sensi, l’uomo percepisce solo l’esteriorità delle cose e gli sarebbe impossibile comprenderle nella loro essenza. Se l’uomo, alla percezione sensibile unisce, nell’atto del pensare, una percezione spirituale, riesce a conoscere le realtà sottese, ridestando un’immaginazione creativa che è conoscenza, calore dell’anima, slancio della volontà.  Inoltre, mutare la qualità e la direzione dei nostri pensieri vuol dire non solo cambiare se stessi, ma anche l’atmosfera “sottile” intorno, ossia emettere una diversa vibrazione energetica che impregna di sé l’ambiente circostante. Una “forza sovrasensibile” che ha una sua luce, una sua energia e che oggi, è anche il mondo indagato dalla meccanica quantistica, quell’universo immenso composto di miliardi di particelle, che sfugge ai sensi, alle intuizioni, persino alle leggi fisiche comuni. Uno sforzo personale e collettivo arduo, che implica una disciplina di servizio, di saldezza interiore e di elasticità. Riappropriarsi del Principio Solare può significare l’inizio di una nuova era, quella dell’Amore, “di un senso gioioso del donarsi, dell’offrire se stessi al compito superiore della Conoscenza di sé e della realtà”. Dal passato, il dio splendente, “quella prima luce che indora i monti” citata in un inno dell’Avesta, è simbolo atavico di una speranza cui non vogliamo e non dobbiamo rinunciare. 

*Fiorella Franchini, giornalista, scrittrice