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Terra e cielo, piedi e Madonne tra suggestioni rococò e Tarantino (III parte)

Il Settecento, secolo della seduzione vede nuovi soggetti in pittura, insolitamente “licenziosi”, pervasi di sensualità ed erotismo

Se c’è un secolo che ha visto l’affermarsi dei piaceri e della bellezza, questo è il Settecento, quando – soprattutto in territorio francese – si diffonde un gusto raffinato e decorativo genericamente detto rococò, ma in realtà molto più vario ed eterogeneo al suo interno di quanto non sembri. Secolo della seduzione e del libertinismo, esso vede nuovi soggetti in pittura, insolitamente “licenziosi”, pervasi di sensualità ed erotismo: odalische, Veneri o altri personaggi mitologici, donne comuni particolarmente avvenenti si susseguono in un percorso di esaltazione dei sensi e di celebrazione della carne, grazie anche all’apporto della letteratura francese, Voltaire e Sade in primis.

1. J. H., Fragonard, Ragazza con il suo cane (1770 ca.). Monaco, Alte Pinakotek

Jean-Honoré Fragonard (1732-1806) è tra i principali esponenti di questo nuovo gusto, che si caratterizza per la predilezione di soggetti femminili e di tematiche amorose. In Ragazza con il suo cane (1770 ca.) tale tematica è trattata in modo apparentemente innocente, soprattutto per la presenza – nel cagnolino, nelle lenzuola e nella camicia da notte della ragazza – del colore bianco, il colore per eccellenza «della purezza, della castità, della verginità, dell’innocenza», ma anche della «semplicità», della «modestia» e della «felicità» (M. Pastoureau, Dizionario dei colori del nostro tempo, p. 64). In effetti, il gioco tra la padrona e il suo animaletto sembra in parte suggerire proprio tali impressioni, anche se a ben vedere il dipinto cela un significato erotico per la presenza del letto e della nudità esibita dalla ragazza nella parte inferiore del corpo, che introduce una nota di malizia (fig. 1).

Si tratta di un’iconografia riproposta dal pittore in diverse occasioni, come testimonia la variante oggi a Parigi (Galerie Cailleux), in cui il cagnetto diventa di colore nero e la ragazza effigiata gli offre una ciambellina, una gimblette, nome con cui è anche nota l’opera. Inoltre, l’iconografia della donna a letto, nuda o seminuda, dormiente o appena svegliata, da sola o in coppia, costituisce un Leitmotiv nella produzione dell’artista francese. Si comprende bene come in un simile scenario i piedi in bella mostra rappresentino un’allusione “carnale” neanche troppo velata, ancor più indispensabile nel caso in cui i fatti amorosi non vengano narrati sulla tela ma semplicemente suggeriti. Del resto, il Settecento non è solo il secolo del razionalismo illuministico, ma anche quello della Bellezza dell’immaginazione, dominato da «sentimento, gusto, passioni», che «diventano protagonisti di una lotta contro la dittatura della ragione» a vantaggio di altri valori quali spontaneità, libertà e leggerezza (U. Eco, Storia della bellezza, p. 260).

2. Balthus, Thérese dreaming (1938). New York, MET Museum

Il confine tra il mondo dell’ingenuità infantile, l’adolescenza e l’età adulta è toccato  pure da Balthus (1908-2001), pseudonimo di Balthasar Klossowski de Rola, artista franco-polacco noto per le sue “scandalose” (o presunte tali) adolescenti, raffigurate spesso discinte e in pose (ritenute) provocanti. Ne sono un esempio i numerosi ritratti di Thérese Blanchard (1925-50), come quello in cui viene effigiata dormiente (fig. 2), con le gambe leggermente aperte e una sollevata a mostrare i piedi, innocentemente coperti da delle scarpette infantili di colore rosso, che preannunciano il mondo adulto, dell’amore e delle passioni, in contrasto con il bianco della camicetta e della biancheria. Ignara di essere “spiata”, Thérese si lascia andare a una posa sicuramente poco elegante, che denota però spontaneità e innocenza, mentre accanto a lei un gatto – anch’esso emblema del mondo infantile – beve teneramente del latte da una ciotola.

3. Due momenti del film Once upon a time in Hollywood

Si tratta di immagini volutamente ambigue o di opere d’arte fraintese dal pubblico e considerate più maliziose di quello che in realtà sono? Certo è che una visione “sensualmente giocosa” della donna e dei suoi arti inferiori viene riproposta pure dal regista statunitense Quentin Tarantino (1963) in Once upon a time in Hollywood (2019), film che racconta in modo fantasioso una vicenda realmente accaduta nel 1969 e nota con il nome di “eccidio di Cielo Drive”, che portò alla morte dell’attrice Sharon Tate (1943-1969) e dei suoi amici da parte di quattro membri della “famiglia Manson”, una setta fanatica di derivazione hippy. Nulla di tragico resta nella visione di Tarantino, che presenta una Margot Robbie/Sharon Tate, mentre cammina felice, sola, per Los Angeles, prima di gustarsi il film da lei interpretato al cinema, “The wrecking crew” (“Missione compiuta stop. Bacioni Matt Helm”). E, per farlo, si toglie gli stivali bianchi anni Sessanta, solleva le gambe e mostra allo spettatore i suoi piedi nudi, spensierata e felice. Ma, a ben guardare, questi – lungi dall’essere candidi piedi femminili – presentano le piante oltremodo sporche, come altre volte accade nei film diretti dal regista. Tale “omaggio caravaggesco”, inoltre, in questo caso si configura come un mezzo di piena adesione al principio di verità nella ricostruzione storica perseguita dal regista, dal momento che Sharon Tate amava effettivamente camminare a piedi nudi, odiando qualsiasi tipo di scarpe. 

Innocente o seducente? Non solo il confine è talvolta reso dagli artisti in modo volutamente labile, ma è anche vero che «un dettaglio scoperto del corpo è assai più attraente che la vista di un corpo nudo nella sua interezza» e che «il desiderio erotico non si mobilita dalla vista della nudità, ma solo dalla nudità intravista» (M. Recalcati, I tabù del mondo, p. 94).

*Valentina Motta, scrittrice