Stefano Vitale, “incerto confine”, Paolagribaudoeditore, Torino 2019
(Con illustrazioni di Albertina Bollati)
Se alzi un muro, pensa a ciò che resta fuori (Italo Calvino)
CHIUDERE I PORTI
Chiudere i porti e lasciar riposare
le nere coscienze marce di rabbia
merce di scambio di triste rancore
mentre grasse risate bruciano l’aria
nelle sudice piazze deragliate ragioni.
Chiudere i porti per non incontrare
l’orrore di occhi naufraghi in mare
di corpi salvati piagati dal sole
stremati da guerre monete sonanti
del nostro silenzio di barbari stolti.
Chiudere i porti alla fuga smarrita
sul mare-sepolcro di cenere e sangue
le ombre dei morti sono gelate
scure radici senza più storia
deserto di mani e orecchie mozzate.
Chiudere i porti del mare che un tempo
fu Nostro onda di luce
ora muro che cresce abisso di sale
specchio scheggiato dal pianto di pietre
posate sul fondo del cielo d’estate.
Torna ancora Stefano Vitale, con questa raccolta di versi, ”Incerto confine” a proseguire la sua indagine e la sua riflessione sulle vicende del mondo e sui tempi bui del presente.
Con la sua consueta intensità espressiva, rafforzata dalla efficacia illustrativa delle immagini di Albertina Bollati, ci invita a fare un tratto di strada con lui e a guardare attraverso i suoi occhi il panorama desolante di un mondo che va sgretolandosi e della cui immagine passata il nostro ricordo è ”un bambino nato morto”.
Di fronte a questo tipo di realtà la nostra reazione è un atteggiamento di chiusura. Il “confine” è la metafora che attraversa quasi tutte le poesie del libretto, confine variamente inteso, ora come l’anaforica chiusura dei porti” ora come “difesa dalla paura che ingroviglia nel suo filo spinato” ora come “tempo che si incurva” dentro di noi riducendoci all’immobilità.
Spersi in un presente liquido, sfuggente e veloce, la nostra capacità di capire il disordine ed il caos del contesto in cui viviamo diventa l’impotenza del “ Ma”, e del “ Non c’è nulla da fare”.
Si vive “come affacciati alla finestra” passivi ed indifferenti al richiamo di chi bussa invano alle nostre porte e che molto spesso vede naufragare in fondo al mare la speranza di una vita diversa.
E se fossimo noi i veri naufraghi? Noi che annaspiamo nel mare del presente, avendo perso l’orientamento
e il senso della rotta?
Nei versi quasi conversazione, senza bisogno di titoli o pause interpuntive, fluisce il parlare forte e serrato dell’autore, fluiscono le immagini penetranti affidate al linguaggio delle metafore per scuotere i suoi lettori e metterli di fronte alle contraddizioni ed “ai pensieri superbi” che non aiutano a capire.
Se riponiamo le nostre certezze nelle pieghe del quotidiano o se sciogliamo i rumori del mondo in piacevoli svaghi, non dobbiamo cedere al” rischio della tentazione di arrenderci”.
E qui torna la lucida riflessione dell’autore su quel che noi siamo, torna il suo impegno per una parola profonda e solidale.
Dobbiamo ritornare a ripensare noi stessi, noi soli possiamo riscattarci dalla nostra chiusura e diffidenza: “Noi siamo il tagliente rasoio, il talismano della nostra salvezza”.
Dobbiamo assomigliare un po’ ai bambini i cui cuori e sguardi non percepiscono la diversità. I bambini sanno superare pregiudizi ed esclusioni per fare squadra con i loro coetanei.
Dobbiamo allora anche noi oltrepassare il confine di un io troppo ripiegato su se stesso e stabilire un contatto non solo con chi è a noi vicino, ma anche con chi viene da lontano.
Dobbiamo dire “Noi” fare comunità e parlarci…
“ Le parole sono il metro, l’unità di misura
del mondo, sono il peso, l’ora delle cose
del mondo. Sono il bacio.
Hanno lo sguardo degli astri, nel loro fondo indugia la luce ”… ( G. L. Favetto da “il viaggio della parola”)
Nella parola è il nostro riscatto, la nostra rinascita, conclude Stefano Vitale che scrive:
La chiave è nella Parola
suono che resta accanto
colore della pazienza
distesa sul paesaggio delle orepassione e destino senza nome.
*Marisa Notarnicola, critico