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Sostenibilità: un vocabolo tanto in voga quanto poco compreso

Va oggi di moda infilare in ogni minestra il termine ‘sostenibilità’, senza che molti abbiano capito veramente cosa significhi questo termine, da dove venga, cosa implichi nei fatti per noi e per le generazioni a venire. Cercherò qui, limitatamente alle mie capacità e conoscenze, per loro stessa natura limitate e circoscritte (ricordiamo sempre che il tema della sostenibilità è fortemente multidisciplinare, quindi non esiste un singolo esperto su questo argomento – e chi si professa tale è verosimilmente un ciarlatano), di fornire una visione che sia la più ‘laica’ e scientificamente fondata possibile.

L’enciclopedia Treccani definisce il termine ‘sostenibilità’ come quella condizione di sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della presente generazione senza compromettere la capacità di quelle future di soddisfare i propri. Io mi permetterei di aggiungere che, in quanto specie intelligente composta da individui che non sono stati fatti per ‘viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza’, come ci insegnava già secoli fa il Sommo Poeta, sarebbe nostro dovere non solo garantire alla generazione futura la possibilità di soddisfare i propri bisogni ad un livello almeno pari al nostro, ma possibilmente anche meglio, lasciandogli nuove idee, nuove tecnologie, utili innovazioni nei vari campi del sapere. Già, perché un concetto preliminare è da capire: da sempre, la più grande ed inesauribile fonte di benessere per l’Umanità è la propria creatività ed ingegno. Le bestie lasciano ad altre bestie un territorio come lo hanno trovato… i vandali lo scempiano (e ci sono vari esempi nella storia)… gli Uomini lasciano terreni fertili, acquedotti, vie navigabili, strade, vie di comunicazione sempre più efficaci, nuove tecnologie…

E allora, se siamo d’accordo su questo punto, dobbiamo riconoscere che l’Umanità ed il suo sviluppo sono una risorsa… probabilmente la più grande delle risorse. Non ha senso quindi parlare di decrescita della popolazione terreste (qualche anno fa andava di moda il termine ‘bomba demografica’). Qualcuno sostiene che il numero giusto di abitanti su questo pianeta sia di un miliardo di persone… qualcuno addirittura azzarda mezzo… e ci sono gruppi di potere che perseguono attivamente questo folle e criminale obiettivo (anche se lo fanno sotto mentite spoglie… ma cominciate a farci caso ed a guardare la realtà con gli ‘occhiali’ di una nuova consapevolezza…).

Prendiamo il caso di Israele: fino a qualche anno fa era una delle zone più aride del mondo. Oggi questo Paese ha un surplus di acqua, perché ha sviluppato una tecnologia in grado di desalinizzare l’acqua di mare a costi contenuti – tanto da arrivare a consumare il 55% dell’acqua per usi domestici per questa via. Fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile, perché gli impianti di desalinizzazione che funzionavano ad osmosi inversa perdevano rapidamente di efficienza a causa delle bioincrostazioni, da sempre tallone di Achille di questa tecnologia. Ma i ricercatori israeliani, grazie alla ricerca mirata, hanno sviluppato un sistema basato su pietre laviche porose che catturano i microorganismi prima che raggiungano le membrane. E così, l’impianto di Sorek, nei pressi di Tel Aviv, oggi fornisce più acqua di quella richiesta. Un bell’esempio di come gli uomini e le loro idee sono la più grande ricchezza di questo Pianeta.

Ed è un dato di fatto che se si irrigassero e fertilizzassero i suoli disponibili sulla Terra, con le migliori tecnologie disponibili e con un approccio pacifico, razionale e solidale, ci sarebbe sufficiente cibo per una popolazione circa decupla rispetto al 2005, ovvero almeno 50 miliardi di individui. Oggi siamo quasi 8 miliardi, e c’è chi sostiene che siamo decisamente troppi (ma naturalmente non parla di sé stesso, ma molto verosimilmente di colui che sta leggendo – fateci caso!). 

Ma per produrre acqua, cibo, ma anche per costruire case, strade, scuole, infrastrutture e beni di consumo, ci vogliono sicuramente 3 cose: materiali, energia e gente che sappia usarli.

E’ molto meno banale di quello che può sembrare.

Un esempio legato ad un oggetto di uso ormai diffuso e comune: i cellulari che ormai noi tutti usiamo. Per costruirne uno ci vogliono ben 40 elementi chimici (in tutto quelli naturali sono 92!), tra questi alcuni metalli appartenenti al cosiddetto gruppo delle ‘terre rare’ – un gruppo di 17 elementi cruciali per diversi settori chiave nell’industria moderna, dalla mobilità elettrica, all’energia, all’aerospazio e tanto altro. Ad esempio, forse non tutti sanno che l’Indio (In) ha una proprietà ‘magica’: questo metallo raro in combinazione con lo stagno e l’ossigeno dà vita ad un conduttore di elettricità trasparente, costituendo quindi un ingrediente fondamentale per tutti gli schermi touch che si vedono in giro. Ma l’indio non è l’unico elemento necessario che occorre e scarso o la cui disponibilità sta diventando a rischio a causa della domanda: ci sono anche il gallio, l’arsenico, l’argento, l’oro, l’ittrio… Per chi volesse approfondire questo discorso, è disponibile online una tabella periodica degli elementi dell’abbondanza – dare uno sguardo, prima di pontificare di sviluppi futuri, sarebbe utile (lo dico ai tanti futurologi della domenica che si sentono in giro, che pensano che tutto il mondo funzioni come un nuovo software… non è così).

Ed ecco allora che non si può solo pensare a nuove miniere e cicli aperti (estraggo dalla miniera, uso e butto in discarica) – approccio ovviamente non sostenibile nel lungo periodo.

Si fa avanti allora l’idea del riciclaggio dei materiali. Ma la domanda è: esiste una tecnologia efficiente per riciclare i prodotti che l’industria sforna? Sono pensati dal produttore per un riciclaggio efficiente? E soprattutto: quanta energia bisogna spendere per riciclare, che impatto ambientale ho per produrre quella energia, e quanto costa?

E qui si apre un altro grande capitolo: il costo da tenere in conto deve essere economico, o dovrebbe tener conto di altri fattori, come l’energia consumata, l’impronta ecologica e la disponibilità delle risorse per le generazioni future? Qualcuno già ipotizza che fra un secolo (o forse meno) le nuove miniere saranno quelle che sono le nostre attuali discariche. Ma lasciare un mondo in cui i nostri discendenti rovisteranno nella nostra spazzatura, per un uso scriteriato delle risorse fatto da noi oggi, è quello che vogliamo ottenere?

E’ chiaro che questa non è e non può essere una preoccupazione dei produttori, bensì dovrebbe essere la società civile che si dà delle regole chiare e razionali attraverso delle leggi (ma per far questo, bisogna anche ricordarsi poi che il mondo non è un’isola felice e bisogna proteggere i nostri produttori da concorrenze sleali).

Facciamo un esempio: le bottiglie di vetro. E’ noto che il vetro è un materiale che può essere teoricamente riciclato convenientemente infinite volte. Questo in teoria. In realtà, quello che accade è che per essere riciclato efficientemente, visto che i produttori di nuove bottiglie richiedono vetro di qualità giustamente, il vetro deve essere separato per colore, processo laborioso e costoso (in Germania, dove ho abitato per anni, sono i contenitori stessi del vetro a essere suddivisi per colore – quindi la differenziazione la fa l’utente stesso a monte). Se all’impianto di riciclaggio ci finiscono pezzi di vetro troppo piccoli, selezionarli diventa troppo complesso e costoso e così si preferisce mandarli in discarica. Se poi nel vetro ci finiscono le lampadine, queste contengono materiale ceramico che una volta finito nel processo lo contaminano rendendo il vetro riciclato fragile ed inidoneo all’uso.

Si capisce all’ora che si fa presto a parlare di riciclo: farlo funzionare nei fatti è molto più complesso e delicato di quanto sembri guardando le cose in maniera superficiale.

E veniamo al capitolo, delicatissimo, sull’energia. Anche qui, si parla di un argomento su cui aleggia più o meno un tifo da stadio. Sarebbe invece necessario conoscere l’argomento, di per sé vasto e complesso peraltro, e usare l’esercizio della razionalità (cosa che specie nel nostro Paese si fa sempre più raramente, mi pare) prima di voler esprimere una propria opinione.

Cominciamo col dire che si parla tanto di de-carbonizzare la produzione di energia, assumendo per fatto certo e provato la teoria del riscaldamento globale di natura antropica. L’informazione è compatta e va tutta in un solo senso, facendo credere che gli scienziati sono tutti concordi. Ebbene, sappiate che è una bufala. Intanto perché gli scienziati che contestano questa che è, al massimo, una congettura, sono migliaia nel mondo – e lo fanno con argomenti e domande chiari e circostanziati (solo che nessuno lo racconta). E poi non esiste prova certa che il clima si stia riscaldando a causa delle emissioni di anidride carbonica… anzi, come ricorda spesso il Prof. Franco Battaglia nei suoi interventi, quelle che dovevano essere le prove che sostenessero questa curiosa teoria, sembrano provare il contrario. Una argomentazione su tutte: se invece di far vedere solo lo storico degli ultimi secoli, si facesse vedere quello della storia della Terra, si vedrebbe chiaramente che in passato la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è stata nettamente superiore al presente, senza che le temperature ne abbiano risentito in maniera drammatica. Anzi, i dati dimostrano che prima la temperatura si alza e poi, con un ritardo di 800 anni circa (dovuto all’enorme capacità termica degli oceani), aumenta la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera a causa della minore solubilità dell’acqua dei mari (un fenomeno fisico-chimico ben noto da tempo). Tutto questo è stato spiegato con dovizia di particolari in libri dedicati, speciali della BBC, conferenze a tema, ecc. A mio avviso,  questo dovrebbe portare i non specialisti almeno a porsi delle domande e a non accettare acriticamente il ciarpame che viene loro proposto.

Semmai la de-carbonizzazione fosse possibile (e ve lo dico subito, non lo è), potrebbe essere un bene dal punto di vista delle risorse: i combustibili fossili ci hanno messo milioni di anni a formarsi, mentre ai ritmi di consumo attuali ci metteremo pochi secoli a consumarli. Evidentemente un approccio non sostenibile, nel senso discusso poc’anzi.

E allora cosa fare? Qui, di nuovo, la narrativa dominante non ha dubbi: energia rinnovabile, carbon-free, ma… no al nucleare (che è l’unica tecnologia con la quale ci si potrebbe davvero provare… ma anche qui, lo dico chiaro e senza esitazione, senza riuscirci!). Insomma, pensateci: vogliono farci credere che il nostro Pianeta ha il cancro (e verosimilmente non lo ha, anzi, sta benone), però poi per curarlo propongono di usare l’aspirina. Segno evidente, per quanto mi riguarda, della loro palese malafede e/o incompetenza (gli effetti sono i medesimi).

Qualcuno osserverà che la rinuncia all’opzione nucleare è dettata da precise considerazioni sulla sicurezza e sulla gestione delle scorie. Questo però, ancora una volta, stando alla narrativa imperante e monodirezionale. Difficilmente qualcuno va a dire all’ignaro cittadino che i livelli di sicurezza degli impianti moderni è elevatissima, che in Unione Europea abbiamo al momento 106 reattori nucleari operativi (più che in qualsiasi altra zona del mondo), che ormai sono in funzione da decenni senza incidenti di rilievo. Ripeto, per non parlare dei sistemi di sicurezza degli impianti moderni (contenimenti a tenuta, crogiuoli di contenimento del nocciolo – i famosi core catchers – depositi di acqua di raffreddamento in cima al reattore, sistemi a sicurezza intrinseca e passiva, ecc.).

Chissà quanti sanno che per i propri bisogni energetici un cittadino necessiterebbe di una pasticca di ossido di uranio da 7 grammi (dal costo di una decina di euro) per tutto un anno. E che se lo stesso cittadino usasse sola energia nucleare per i propri bisogni (caso limite teorico ovviamente), in tutta la sua vita produrrebbe un volume di scorie già vetrificate della dimensione di una lattina da 33 cl. E che in Paesi come la Svezia o la Finlandia i depositi geologici per lo stoccaggio delle scorie si stanno realizzando, e le comunità se li contendono. E che se si usassero le nuove tecnologie di quarta generazione, le risorse fissili di questo pianeta si moltiplicherebbero di 20 volte, consentendoci di soddisfare i nostri bisogni energetici per millenni, pur considerando una domanda di energia in inevitabile e rapidissima crescita (anche questo, è un dato fattuale).

Quanto a chi ciancia di energia rinnovabile per il 100% dei bisogni dovrebbe sapere almeno che: a) una fonte di energia per essere sfruttata con successo dovrebbe essere frazionabile, accumulabile, controllabile ed indirizzabile (le rinnovabili spesso non possiedono queste caratteristiche); b) i difetti di cui al punto (a) sono superabili con la tecnologia, vero, ma bisogna chiedersi a che costi e che complessità. Faccio un piccolo esempio: immaginate che un signore buono vi regali tutta l’energia elettrica di cui avete bisogno, ma, non quando serve a voi, ma quando dice lui. Allora dovreste farvi un pacco di batterie, immaginiamo quelle al piombo delle nostre auto. Ora i dati: immaginiamo una batteria accumuli 1 kWh, lo faccia per 500 cicli di carica-scarica e costi 60 euro (dati verisimili). Ebbene accumulare il vostro kWh costerebbe 12 centesimi (vi faccio notare che il kWh viene venduto in Italia a 6-7 centesimi) – pur avendovelo fornito gratis. Qualcuno ha mai fatto questo conto?

Non posso e non voglio approfondire questi argomenti in questa sede, poiché sarebbe lungo e complesso. Ma ognuno di coloro che legge si chieda se queste cose le sapeva e se le ha mai sentite. Se la risposta è no, cominciate a farvi delle domande, in particolar modo sui mezzi che dovrebbero garantire una informazione completa ed imparziale. Poche domande, ma buone. Nella vita, spesso, il momento di svolta si ha quando ci si comincia a fare le domande giuste, anche se non sempre si trovano le risposte (o almeno, non subito). Spero con queste poche righe di avervi stimolato a vedere le cose da una prospettiva diversa – come suggeriva il compianto Robin Williams in un famoso film di oltre 3 decenni fa. Se ci sono riuscito, forse ho fatto un passo avanti nelle mie capacità di comunicare di scienza. In caso contrario, è probabile vi abbia annoiato, ma vi garantisco di non averlo fatto apposta.

*Vincenzo Romanello, ricercatore nucleare