SHAKING HANDS WITH DEATH
Meritiamo una morte per cui valga la pena morire
Qualche tempo fa una mia amica ha postato la foto di un libriccino dalla copertina in bianco e nero. Conoscevo l’autore, Terry Pratchett, solo di nome, lo ammetto, ma il titolo mi ha colpita immediatamente. Shaking Hands with Death. L’ho subito cercato e acquistato. Un volume breve. La sinossi dice: “When Terry Pratchett was diagnosed with Alzheimer’s in his fifties he was angry – not with death but with the disease that would take him there, and with the suffering disease can cause when we are not allowed to put an end to it. In this essay, broadcast to millions as the BBC Richard Dimblebly Lecture 2010 and previously only available as part of A Slip of the Keyboard, he argues for our right to choose – our right to a good life, and a good death too”.
Ho iniziato il libro aspettandomi questo, ma vi ho trovato molto, molto di più.
Nessun dramma. Pratchett mantiene sempre toni pacati, senza mai perdere quello humor che ci si aspetta da ogni britannico che si rispetti. Parla in modo semplice e chiaro, senza giri di parole, lasciando intuire lo strazio di una situazione terribile, ma mantenendo sempre un velo di opportuna pudicizia che lo preserva nel decoro e nella dignità, rendendo la sua testimonianza mille volte più efficace di qualsiasi parola urlata con strazio o sdegno.
Pratchett afferma di aver diffuso la notizia di avere l’Alzheimer perché “Before you can kill the monster you have to say its name”1. In questo contributo parla della sua malattia e soprattutto del nostro rapporto con la morte. Ricorda anche il proprio padre, morto di cancro, e rammenta le conversazioni avute con lui durante quell’ultimo anno insieme, conversazioni che si hanno con i genitori morenti, forse il momento in cui si arriva davvero a conoscerli, quando si è pronti ad ascoltare consigli e ricordi per i quali la vita è stata sino a quel momento troppo affollata. Quando gli fu diagnosticato il cancro, suo padre gli disse “If you ever see me in a hospital bed, full of tubes and pipes and no good to anybody, tell them to switch me off”2.
Impiegò quasi due settimane per riuscire a morire, nella clinica per malati terminali, e in quel periodo smise di essere se stesso e iniziò a diventare un cadavere, sebbene un cadavere che di tanto in tanto si muoveva appena. Un tocco di umanità alle lunghe veglie di Pratchett e di sua madre lo dava il vecchio gatto che le infermiere lasciavano entrare.
Pratchett racconta come, all’insorgere delle prime avvisaglie dell’Alzheimer, riuscisse ogni volta a trovare una spiegazione rassicurante, perché in fondo tutti di tanto in tanto perdono le chiavi, o arrivati al piano di sopra non si ricordano più perché sono saliti. È semplicemente la vecchiaia. I Baby Boomers come lui, dice, sanno che non moriranno mai, quindi hanno sempre una spiegazione, complici nella reciproca risolutezza a non essere mortali, credendo che se tutti invecchiano, nessuno invecchia davvero.
D’altra parte, come sottolinea Salvatore Natoli3, prima delle due Guerre Mondiali gli uomini consumavano la propria sofferenza in un tempo relativamente breve e non c’era tanto una convivenza con la morte, quanto più un incontro con essa. Ora spesso avviene invece il contrario, sia nei casi in cui il male è incurabile e la vita viene prolungata il più possibile attraverso cure palliative, riducendo il sintomo o rallentando la progressione della malattia in una vita con ipoteca di morte, sia nei casi in cui invece si riesce a vincere il male, ma si continua a vivere nel timore che questo possa tornare e soprattutto con la paura che la volta successiva la battaglia possa risolversi in una sconfitta.
L’odierna società occidentale convive costantemente con la morte. Anche il fatto che il numero di persone anziane sia sempre più elevato accresce ulteriormente questo senso di convivenza.
Evidenzia Luisa Passerini, infatti, riprendendo Kathleen Woodward4, che “la decrepitezza fa apparire la morte fra i vivi e lo specchio rimanda un’immagine di morte che spaventa sia il soggetto che si specchia sia coloro che lo-la circondano”5.
Quella che viene diagnosticata a Pratchett è una forma rara di Alzheimer, si chiama atrofia corticale posteriore (PCA), e comporta inizialmente problemi per quanto riguarda l’elaborazione visiva complessa, sebbene la fase terminale della malattia sia molto simile a quella delle forme più diffuse. Quando arriva la diagnosi, il suo intero mondo cambia. “I have the opposite of a superpower; sometimes, I cannot see what is there. I see the teacup with my eyes, but my brain refuses to send me the teacup message. It’s very Zen. First there is no teacup and then, because I know there is a teacup, the teacup will appear the next time I look”6.
Le persone affette da PCA vivono in un mondo di espedienti, e così impara a fare Pratchett, tanto che chi non sa della sua malattia non si rende conto che qualcosa non va, ma la malattia è lì. Dall’interno, la malattia lo fa sentire come se fosse costantemente seguito da un cretino che sposta, ruba e nasconde le cose che aveva appena poggiato, e questo lo riempie di frustrazione. La malattia si muove lentamente, ma lui sa che c’è.
A peggiorare la situazione, il fatto che non ci sia nessuno specialista vicino a lui preparato ad affrontare un paziente con esordio precoce di PCA e nessuno che possa legittimamente prescrivergli le uniche medicine palliative sul mercato.
Da quando dichiara di essere malato, moltissimi vogliono parlargli. Spesso si tratta di persone molto spaventate, e sempre più spesso vogliono parlare di quella che Pratchett preferisce chiamare morte assistita piuttosto che suicidio assistito, termine per lui scorretto. Quando era un giovane giornalista si era occupato spesso di suicidi, e ricorda che i medici legali non utilizzavano mai il termine follia, preferendo spesso la più compassionevole conclusione che il soggetto si era tolto la vita mentre l’equilibrio della sua mente era disturbato. “[…] by now, I have reached the conclusion that a person may make a decision to die because the balance of their mind is level, realistic, pragmatic, stoic and sharp. And that is why I dislike the term ‘assisted suicide’ being applied to the carefully thought out and weighed up process of having one’s life ended by gentle medical means”7.
Chi compie lo straziante viaggio verso la Svizzera per morire con dignità sembra all’autore molto fermo e metodico negli intenti: la mente di queste persone potrebbe essere in un equilibrio migliore rispetto al mondo che le circonda.
Un altro aspetto molto interessante evidenziato da Pratchett è che quando, negli anni precedenti, gli è capitato di parlare di morte assistita molte persone sembravano a disagio, nervose di fronte al termine morte assistita e fortemente nervose riguardo all’espressione suicidio assistito, eppure quando faceva l’esempio di suo padre e del suo desiderio di non continuare a vivere supportato da tubi la gente non aveva più alcun problema: bastava passare da un termine sterile ai desideri di una persona reale, in cui potesse identificarsi.
La fase terminale della PCA è praticamente la stessa dell’Alzheimer, la malattia più temuta fra gli anziani. “I enjoy my life, and wish to continue it for as long as I am still myself, knowing who I am and recognizing my nearest and dearest. But I know enough about the endgame to be fearful of it. […] rather than let Alzheimer’s take me, I would take it. I would live my life, as ever, to the full and die, before the disease mounted its last attack, in my own home, in a chair on the lawn, with a brandy in my hand to wash down whatever modern version of the ‘Brompton Cocktail’ (a potent mixture of painkillers and brandy) some helpful medic could supply. And with Thomas Tallis on my iPod, I would shake hands with Death”8.
Insomma, per una persona affetta da una malattia seria, incurabile e debilitate la scelta di optare per una morte su appuntamento medicalmente assistita sembra una decisione sensata e ragionevole.
Un ulteriore, importante punto sottolineato da Pratchett è che oggigiorno le morti che definisce non-traumatiche avvengono negli ospedali e negli ospizi, mentre fino a non molto tempo fa si moriva nel proprio letto. I Vittoriani sapevano come morire. Programmare la propria morte con l’aiuto di un medico amichevole era abbastanza comune e ci sono tutti i motivi per pensare che la professione medica considerasse come parte dei propri doveri aiutare i pazienti malati in tal senso. Come Pratchett fa affermare alla Morte in uno dei suoi romanzi, la maggior parte degli uomini non teme la morte, bensì quelle cose – il coltello, il naufragio, la malattia, la bomba – che precedono, di microsecondi se sei fortunato, e di molti anni se non lo sei, il momento della morte.
In Shaking Hands with Death, lo scrittore riprende le parole di Sir Michael Parkinson che, in qualità di Dignity Ambassador del governo, definisce le case di cura poco più che sale d’aspetto per la morte. La cura è una lotteria, afferma Pratchett, e alcuni di noi non vogliono passare il loro tempo in nessuna sala d’attesa, vogliono avere il diritto di non fare ciò che dice loro un infermiere, di non obbedire al medico. Il diritto di pretendere qui ed ora la procura sul destino della persona che diventeranno.
Non è difficile immaginare che una persona, anziana o meno, appesantita da problemi medici e comprensibilmente spaventata dal futuro e da quella che viene chiamata cura, potrebbe considerare una morte in stile vittoriano, compassionevolmente assistita da un professionista della medicina, a casa, un modo più dignitoso di andarsene.
“It grieves me that those against assisted death seem to assume, as a matter of course, that those of us who support it have not thought long and hard about this very issue and know that it is of fundamental importance”9.
Le persone contrarie alla morte assistita dicono che i più vulnerabili vanno protetti (come se nessuno ci avesse pensato), ma non ci sono prove, sebbene siano state cercate, che i malati o gli anziani vengano spinti verso la morte assistita dai parenti nei luoghi in cui questa viene praticata. Al contrario, i medici riportano che i familiari spesso li implorano di mantenere i loro cari in vita anche quando sono arrivati, secondo ogni standard medico, alla fine del percorso.
Se sapessi di poter morire, vivrei, scrive Pratchett. La mia vita, la mia morte, la mia scelta.
Nei due secoli scorsi abbiamo incrementato la lunghezza delle nostre vite e la loro qualità al punto che ormai ci mette a disagio quando qualcuno muore a 70 anni. Ma arriva un momento in cui la tecnologia supera il senso, in cui un battito di ciglia su un oscilloscopio viene confuso con la vita e l’umanità si districa in uno stato di mera esistenza. “[…] down the ages doctors and nurses have seen it as part of their duty to allow those beyond hope and skill to depart in peace. I can recall the metaphors that have been used: ‘helping them over the step’, ‘showing them the way’, ‘helping them find the door’, ‘pointing them to Heaven’. But never, ever ‘killing them’, because in their minds they were not killing and in their minds they were right”10.
Mi sembra sensato, afferma Pratchett, guardare alla professione medica, che ci ha aiutato nei secoli a vivere più a lungo e più sani, affinché ci aiuti a morire pacificamente fra i nostri cari nelle nostre case senza lunghe permanenze nella sala d’attesa di Dio.
L’autore pensa che sia piuttosto difficile opporsi alla richiesta di una morte assistita consensuale, soprattutto se si ha un po’ di compassione. Abbiamo bisogno di ricordare che siamo tutti umani e che l’umanità è preziosa. È la qualità della vita ad essere importante. Come vivi la tua vita, cosa ottieni da essa, cosa metti in essa e cosa ti lasci alle spalle dopo di lei.
“We should aim for a good and rich life well lived and, at the end of it, in the comfort of our own home, in the company of those who love us, have a death worth dying for”11.
Qual è l’attuale situazione in Italia rispetto al suicidio assistito? Un bell’articolo di Valentina Maglione e Bianca Lucia Mazzei ci aiuta a fare chiarezza.
Innanzitutto bisogna distinguere fra suicidio assistito ed eutanasia.
Nel suicidio assistito il paziente assume in modo autonomo il farmaco letale preparato da un’equipe medica (anche tramite supporto meccanico). Il suicidio assistito è vietato dall’articolo 580 del Codice penale, tuttavia la Consulta ha indicato dei casi di non punibilità.
“Con la sentenza 242 del 2019, nata dal caso Dj Fabo, la Consulta ha escluso la punibilità di chi aiuta il compimento di un suicidio (articolo 580 Codice penale) se: il proposito di suicidio è libero e autonomo; la persona che lo ha formulato ha una patologia irreversibile fonte di sofferenze intollerabili, viene tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale ed è in grado di prendere decisioni libere e consapevoli”12.
La cosiddetta eutanasia attiva, invece, è l’atto con cui si procura la morte di una persona che ne fa esplicita richiesta. È vietata dall’articolo 579 del Codice penale, che punisce l’omicidio del consenziente (reclusione da 6 a 15 anni).
La legge 219/2017, in seguito ai casi Welby e Englaro, ha introdotto in Italia il testamento biologico, ovvero le Dat (disposizioni anticipate di trattamento) con cui si possono scegliere trattamenti e terapie cui non si vuol essere sottoposti in caso si dovesse perdere irreversibilmente la capacità di intendere e di volere. La legge prevede anche, in caso di prognosi infausta a breve termine, la possibilità di ricorrere a sedazione palliativa profonda, con il consenso del paziente.
La proposta di legge sul suicidio assistito ha ricevuto un primo sì dalle commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera. Lunedì 13 dicembre scorso si è tenuta la discussione generale a Montecitorio in un’Aula quasi deserta; il destino della riforma è piuttosto incerto e il rischio è forte soprattutto al Senato, dove è già naufragato il progetto di legge Zan.
“La proposta di legge all’esame della Camera indica i requisiti e la procedura per la morte volontaria con assistenza medica, vale a dire il suicidio assistito. Possono chiederlo i maggiorenni in grado di intendere e volere affetti da patologia irreversibile con prognosi infausta o da una condizione clinica irreversibile che causino sofferenze fisiche e psicologiche ritenute intollerabili e che sono tenuti in vita da trattamenti sanitari di sostegno vitale. Possibile l’obiezione di coscienza di medici e infermieri ma le Regioni devono garantire il servizio”13.
Quanto all’Europa, la Svizzera è stato il primo Paese al mondo a depenalizzare e a regolare il suicidio assistito, permettendo anche a pazienti stranieri di rivolgersi alle sue strutture.
Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo hanno legalizzato l’eutanasia vera e propria, in cui è il medico a somministrare al paziente il farmaco che provoca la morte.
Nel 2020 la Germania ha depenalizzato il suicidio assistito.
In Francia è possibile richiedere una “sedazione profonda e continua” ottenuta con medicinali che possono accorciare la vita.
In Spagna l’eutanasia è legale, con possibilità di obiezione di coscienza per i medici, dallo scorso giugno per i cittadini spagnoli o i residenti affetti da una malattia grave e incurabile.
Terry Pratchett ha stretto la mano alla Morte il 12 marzo 2015. La sua è stata una fine serena, circondato dalla sua famiglia, e con Pongo, il suo adorato gatto, che dormiva diligentemente ai piedi del suo letto.
*Monica Siclari, dottoressa in Comunicazione