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Senza desideri di conquista. Un’esperienza salutare e nobile

Missione del cardinale Fernando Filoni a Santo Domingo, terra, come altre nel Continente sudamericano, di colonialismo predatorio e distruzioni culturali ad opera dei conquistadores

Vi sono luoghi in cui la storia, con la sua carica positiva e negativa di eventi, vive non solo nella memoria, ma anche nei monumenti che l’hanno segnata. I libri di scuola le dedicano qualche riga, i romanzi d’avventura fanno tracimare la fantasia e i film spettacolarizzano tutto, anche ciò che c’è di drammatico. La religione, non di rado, ha reso essa stessa palpabili i sentimenti umani e spirituali delle popolazioni, dando loro significative espressioni artistiche. Ma nulla rende giustizia a chi ha portato le conseguenze delle distruzioni culturali, né si potranno mai difendere azioni che sarebbero dovute essere diverse. 

Chi arriva a Santo Domingo, la grande isola dei Caraibi toccata da Colombo nel suo primo viaggio verso le Indie, rimane subito attratto dalla Ciudad Colonial, il primo insediamento spagnolo che conserva ancora le sue vie originarie dai nomi altisonanti (Isabela la CatόlicaPuerta GrandeCalle del Conde, ecc.), oggi alquanto ristrette da larghi marciapiedi per favorire i turisti alla ricerca di negozi e di piazzette vivacizzate da orchestrine al suono di merenguebachata e salsa. Non si può poi non rimanere affascinati dalla sua natura, in un contesto al tempo stesso ricco di una flora lussureggiante e colorata, di frutti tropicali e da un clima stabilmente caldo-umido.

Colombo, dopo lunghe peripezie anche da morto, riposa qui, in un mausoleo-museale.

Oggi, con una popolazione di afro-europei, altamente meticciata, Santo Domingo è meta agognata da europei e americani che in frotte arrivano con aerei e navi da crociera. Chi ama la storia e la cultura si ferma nella Ciudad, chi ama il mare e le sue spiagge prosegue oltre.

La sua splendida cattedrale ispano-coloniale, di Nuestra Señora de la Encarnaciòn, vanta ormai mezzo millennio di vita e Paolo III (1546) la elevò a Catedral Primada de America su richiesta di Carlo I di Spagna, allorquando la Chiesa di Roma cercava di dare una forma canonica alla prima evangelizzazione giunta con i francescani. Sui monumenti della Ciudad Colonial, i reali di Spagna – ma anche condottieri e vescovi – hanno lasciato le loro tracce blasonate; questi edifici ora sono curati da amministrazioni democratiche (dopo alcuni decenni di regimi autoritari) che sanno bene quanto il turismo storico-culturale sia una fonte economica non indifferente per la nazione. Si tratta di monumenti significativi, tanto per cultura quanto per arte, e danno lustro alla città. 

Qui la potenza coloniale assoggettò gli indios, oggi del tutto scomparsi, nonostante la predicazione del domenicano Antonio Montesinos (+ 1540) che li difese contro i maltrattamenti dei colonizzatori; a lui è dedicata una grande statua. Qui i mari erano infestati da pirati (chi non ricorda Francis Drake, 1586) i quali depredavano le ricchezze, violavano la sacralità dei luoghi e, imponendo tasse enormi alla popolazione, se ne partivano per altre avventure. 

In questa Catedral Primada de America, dai lineamenti interni gotici a crociera che in modo mirabile creano vele e angoli suggestivi sull’ampia volta della basilica, ho istituito una Delegazione Magistrale dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, storicamente la prima di tutte le Antille; nuovi Cavalieri e Dame ne formano il primo gruppo, compreso anche un Indio guatemalteco, direi nel più bel segno di una nuova “cavalleria” senza cavalli, senza spade o alabarde, senza desideri di conquista, ma in spirito di servizio alla Terra Santa, ai progetti educativi e sociali con i quali l’Ordine intende educare alla pace e al rispetto di tutti, e tener desto quel sogno di Cristo, il quale pensava a Gerusalemme come il luogo sacro per la rivelazione del Dio altissimo che ama la concordia tra i popoli e la loro fraternità. 

C’è un’universalità che il mondo di oggi è chiamato a stimare, così diversa da quel colonialismo predatorio che la storia non può, né deve dimenticare. È una colpa imperdonabile che nell’antica Hispaniola non vi siano più i popoli originari. Al loro posto oggi troviamo realtà altre con nuove culture e idioma europeo; oramai anch’esse hanno una lunga storia e belle tradizioni da rispettare anche se l’assenza di chi non c’è più si nota.

Le neo-Dame e i neo-Cavalieri di Santo Domingoinsieme al neo-Cavaliere guatemalteco, venuto con la sua giovane famiglia per entrare nell’Ordine del Santo Sepolcro, mostrano il senso di una cattolicità apertail progetto di uguaglianza dei popoli e l’universalità istituzionale dell’Ordine; piace pensare quanto sia possibile che popoli diversi vivano esperienze così singolari, aprendo scenari anche ad altri luoghi; e lo sguardo si posa già sull’Africa e sull’Asia; parliamo di storie di popoli che, nonostante le loro diversità, vengono unite non solo al mistero di Cristo, ma anche ad una progettualità che ha interesse per la pace e la convivenza nella Terra di Gesù e si fa carico di una responsabilità anche nei paesi di cui ogni Cavaliere e Dama è originario. 

Rileggendo la storia, emerge il fatto che la memoria non appare mai come una linea retta, e, anche, che noi non ne abbiamo il pieno controllo. Ma una conoscenza sì, nel valutare e capire non solo emozionalmente, ma anche elaborando quel bagaglio di vicende che, mentre sa vedere il bello, al tempo stesso, non ignora i traumi prodotti: un ammonimento per tutti.

*gentile concessione BeeMagazine

*Fernando Card. Filoni, Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro. Prefetto emerito della Congregazione per la evangelizzazione dei popoli