Scarpette Rosse
Sono anni che si combatte a livello sociale la cultura della violenza in ogni suo aspetto e, soprattutto, emerge che il crimine perpetrato ai danni della donna è sempre più diffuso in modo trasversale.
Sicuramente forme di coercizione nei confronti della donna sono sempre esistite per cultura patriarcale e per retaggi, che affondano le radici nell’oscurantismo dei tempi.
Oggi la violenza assume una cifra molto più potente nel rapporto “uomo donna”. Non corrisponde più a rapporti appartenenti ad una piramide sociale, ma ad un vero conflitto di potere e di competizione, dove l’uomo ha perso il ruolo di pater familias per assumere quello di padrone esercitando potere di controllo sulla persona, sia essa fidanzata, compagna, moglie e madre.
Esercizio di potere che rivela sia l’estrema debolezza sia il vuoto cosmico del maschio, il quale deprivato del ruolo primario, lo assume con prepotenza, sopraffazione, violenza fino a cancellare nell’oggetto femminile (di oggetto si tratta per il famigerato) l’identità, non avendone più una propria.
Il dibattito su questa tema è spesso presentato in programmi televisivi, con eminenti esperti, opinionisti e testimonianze anche dirette.
Si parla quasi sempre dell’atto finale, consumato con gesti vendicativi estremi, quali l’acido, il fuoco per cambiare i connotati della donna stessa, quando non si arriva all’omicidio, ormai all’ordine del giorno, purtroppo sempre più. Il “Ti creo e ti distruggo” “Ti cancello per esistere…” sono il chiaro messaggio di un individuo debole, frustrato e malato con senso di onnipotenza e di follia.
Questa dinamica evolve nella tragedia finale fra morte carcere e affido per la prole. Criminologi, psichiatri, psicologi pedagogisti ed educatori si interrogano per intervenire su un dolore sigillato e segnato per sempre sui figli in crescita della coppia. Ma quale sviluppo psicosomatico? La domanda apre crateri sconosciuti.
Non bisogna mai perdere di vista le fasi iniziali delle relazioni, che se non si vivono sono di difficile lettura anche per le vittime, fra vergogna paura, confusione percettiva e rimozione. Ci vogliono anni per la messa a fuoco del vissuto, di cui inconsciamente si cela nella vittima il senso di colpa e l’inadeguatezza, quasi ci fosse una corresponsabilità.
L’esercizio del potere del soggetto disturbato per la sindrome di possesso passa attraverso alcune fasi
Nella prima fase, durante l’innamoramento egli gioca sulla vulnerabilità emotiva della relazione iniziale, con piccoli amorosi ricatti. “Mi piaci molto acqua e sapone…togliti quel vestito appariscente, sei bella e non ne hai bisogno…” oppure “Butta via, straccia quelle foto del passato…ora ci sono io per te…” e in ultimo mette la compagna contro i familiari: “Se ti avessero voluto bene non avrebbero fatto…detto” e così via. Lo scopo è di indebolirne le difese rendendola insicura tanto da avere bisogno di lui che la ama e la protegge.
La seconda fase passa attraverso l’isolamento dai parenti e dagli amici.
Solo la coppia.
Se lei si ribella iniziano litigi scontri spinte insulti minacce e violenze.
Di seguito la fase del perdono: “Non lo faccio più, ho perso la testa perché ti amo e non voglio che gli altri ti facciano soffrire, ecc…”. In secondo piano passa al regalo, ai fiori, alla cena romantica…
Nella fase di lei incinta, che se da una parte la lega a sé, il soggetto attraversa momenti dalla gioia alla gelosia, per timore di perdere il primato delle attenzioni.
Il rapporto fra alti e bassi degenera in liti violente, a percosse fino a lividi sul volto e sul corpo accasciato fra calci e sputi.
Indi segue la fase di lui in ginocchio che la accarezza, che le sussurra che è troppo buona, che non la merita, che senza di lei non sa vivere, ecc…ne fa la sua schiava con una catena che allenta e accorcia. Iniziano le manipolazioni con i parenti, impedendole di parlare e di raccontare, per non dare dispiaceri ai genitori. Si fa vedere davanti agli altri premuroso e sempre quel braccio intorno al collo. Chiaro segno di possesso.
Di fronte agli sconosciuti e agli amici c’è la fase dell’umiliazione per farla apparire sciocca agli occhi altrui, una poverina di cui lui si prende cura, con insinuazioni velate ma di effetto efficace sui presenti.
Quando i bambini crescono lo stile comunicativo è di delegittimare la madre ai loro occhi. Il ” Testa bacata, rimbambita, non capisci niente.. ” è un esempio di un vero disco rotto quotidiano. L’elenco degli insulti, delle minacce e dei ricatti morali è infinito superando ogni mente fantasiosa.
Quando il soggetto si trova da solo con i figli i commenti negativi sulla figura materna sono un vero lavaggio del cervello.
Questa descrizione è una esemplificazione che ben si presta a varie situazioni, diverse per ambiente, persone, dinamiche culturali, linguaggio nel fluire della convivenza. Il malessere e l’inferno generati da tali individui camaleontici, può rivelarsi ovunque, il cui narcisismo, bipolarismo bordeline con caratteristiche di seduzione, di mitomania, di manipolazione, di relazione persecutoria sulla vittima, sconfinano nella sindrome di Stoccolma.
Spesso questi soggetti anaffettivi, conducono una doppia vita e la famiglia fa da schermo. Ad esempio nel film Le fate ignoranti il problema viene ben rappresentato, la cui casistica è una chiave per comprendere altre vicende simili. Spesso questi individui assumono droghe e alcool.
Quando la storia familiare termina con una separazione da guerra dei Roses, alla sindrome di Stoccolma segue quella di Medea. La vendetta si può consumare nel distruggere ogni rapporto, con l’intento vendicativo di separare i figli dalla madre, per ucciderla moralmente, quando non avviene una strage. A volte i figli si dividono fra chi sta dalla parte della mamma per senso di giustizia e chi diventa il prolungamento del persecutore sulla madre.
Una tragedia di cui le donne devono essere consapevoli, per saper cogliere segnali iniziali e tagliare subito i ponti, prima che sia troppo tardi.
Per evitare l’atto finale che scaturisce in tragedie con strascichi senza fine, è necessario approfondire studi sulla fase iniziale e sui segnali evidenti di un rapporto candidato a sequenze instabili e pericolose. Percorsi educativi preventivi di formazione per sconfiggere questo fenomeno sociale sono indispensabili.