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Samuel Stern “il secondo girone”, il nuovo fumetto horror italiano

Intervista all’autore Andrea Guglielmino

Samuel Stern, mensile horror pubblicato da Bugs Comics ha esordito a fine novembre 2019. Ne parliamo oggi con Andrea Guglielmino, giornalista e direttore responsabile di Samuel Stern, nonché autore del nuovo numero di giugno (n.8) Il Secondo girone

Sul web se n’è parlato molto in questi mesi, ho scelto di parlarne anche qui, nel nostro amato bimestrale culturale, poiché il fumetto è un prodotto culturale e come tale rientra appieno tra le nostre letture preferite. 

Andrea, ho avuto modo di intervistare in radio – tempo fa – Gianmarco Fumasoli, la “mente” di tutto il progetto Bugs Comics e il curatore di Stern Massimiliano Filadoro.

Come sei stato coinvolto nel nuovo progetto relativo a Samuel Stern?

Il personaggio è stato creato come sai da Gianmarco Fumasoli, mente dietro tutto il progetto Bugs Comics, e approfondito insieme al curatore Massimiliano Filadoro, in una corposa ‘bibbia’ – gergalmente, il documento che contiene tutte le informazioni sul personaggio e il suo mondo e che continua ad arricchirsi di mese in mese – che ho dovuto accuratamente studiare per approcciarmi alla scrittura come sceneggiatore. Parallelamente, essendo io un giornalista di professione, mi hanno chiesto di coprire il ruolo di direttore responsabile di testata, che ho accettato orgogliosamente. Comunque, l’idea è quella di riportare in edicola il fumetto popolare, ancorché colto, e pensato per essere fruito facilmente sia dai lettori attenti alle citazioni e ai riferimenti più o meno ‘alti’, che ne colgono il carattere post-moderno, che da quelli con un approccio più semplice, che vogliono semplicemente passare mezz’ora di sano intrattenimento con un buon horror, magari sul treno o sull’autobus.

Una delle peculiarità che sin da subito mi ha entusiasmato, da amante della Scozia, è l’ambientazione delle storie che vedono protagonista Samuel Stern: la città di Edimburgo. Ti è piaciuta questa scelta?

Posso dire che a me personalmente piace, intanto perché amo Edimburgo ed esplorarla anche virtualmente è sempre un piacere, magari con l’ausilio delle moderne app tecnologiche come Google Earth che permettono di visitarne ogni luogo nei minimi dettagli. Quello di Samuel è un mondo molto vicino a quello ‘reale’. Ogni location è studiata per rispondere teoricamente a questa esigenza. Naturalmente ci sono anche delle invenzioni ad hoc, ma in generale la mappa della città dove si muove Samuel è fedele a quella della città reale. Sappiamo esattamente dove si trovano il suo appartamento, l’officina di Penny e la chiesa di Padre Duncan. Inoltre, è una città piena di misteri che ben si presta alle nostre esigenze narrative, e poco utilizzata nei fumetti italiani che hanno preceduto l’uscita di Samuel.

La serie tocca tematiche classiche dell’horror e affronta anche argomenti complessi, come quelli di carattere religioso. Quali attenzioni hai perseguito nel creare la tua storia alla luce di questo e dei “canoni” imposti oggi dall’opinione pubblica al riguardo?

Come direttore responsabile ci devo stare particolarmente attento. Ma come autore se mi ‘censurassi’ già in partenza nuocerei al fluire della storia. All’inizio ho buttato giù tutto senza pensare all’incarico di responsabilità – anche perché, in effetti, è arrivato dopo aver scritto il soggetto – poi assieme a Gianmarco che è anche il direttore artistico della serie abbiamo deciso cosa tenere e cosa eliminare, perché il messaggio fosse chiaro ma senza inutili provocazioni. Personalmente, non sono credente, quindi il mio approccio, che comunque si sposa bene con Stern, è di tipo psicanalitico. Il bene e il male nascono dentro di noi e non sono categorie assolute. In ogni uomo ne esistono mille sfumature che si incontrano e si confondono. Si può fare male a fin di bene? O del bene apparente che in realtà è teso a manipolare? Queste questioni mi interessano particolarmente. Credo siano importanti la trasparenza e la sincerità. Come sceneggiatori, bisogna anche essere un po’ attori, ‘calarsi’ nel ruolo dei vari personaggi e sforzarsi di capire cosa direbbero, farebbero e penserebbero loro. Ad esempio, mi ha fatto molto piacere sapere dai curatori che il ‘mio’ Padre Duncan parla in maniera molto aderente a quello che avevano concepito loro scrivendone i tratti principali. Mentre molti colleghi lo vedono come una sorta di ‘avversario’ teorico attraverso cui intraprendere battaglie contro una Chiesa moralista e bigotta, per me Duncan è semplicemente un uomo che cerca di fare del bene usando le armi che ha, che sono la Fede e la Conoscenza. Samuel usa invece l’intelletto e le sue capacità ‘sensitive’. Nemmeno lui è particolarmente credente – nella mia storia c’è una scena specifica a riguardo che amo molto, senza dialoghi –  ma entrambi seguono la stessa strada, o almeno lo fanno insieme per un lungo tratto. È la base di tutte le amicizie solide.

Una domanda che spesso ho fatto ai tuoi colleghi: cosa significa oggi scrivere una storia horror in un mondo dove i media, tutti i giorni, diffondono notizie e immagini spesso molto drammatiche?

È difficilissimo, l’orrore è cambiato, si è fatto strisciante e invisibile, e come se non bastasse ci si è messa di mezzo la pandemia. Cosa dovremo fare di qui a un anno? I personaggi avranno ancora paura del Diavolo o temeranno maggiormente un virus mortale? Dovranno portare o no le mascherine? Essere attuali quando si narra è complicato. Io ho giocato per contrasto, sottolineando il confine labile che esiste tra orrore e bellezza assoluta, e come qualcosa che alcuni possono trovare ripugnante per altri può rappresentare invece qualcosa di estremamente attraente, rompendo anche il tabù dell’attrazione erotica. L’orrore è sempre un concetto relativo, quando si parla di narrativa. Quello che a qualcuno fa paura, per altri può suonare ridicolo. Si vince sempre quando si lascia immaginare al lettore e allo spettatore l’aspetto dell’orrore. Come in Alien, quando prima di rivelare l’aspetto dello xenomorfo, noi vediamo solo due puntini sullo schermo di cui uno rappresenta l’alieno e l’altro la vittima. Vediamo che l’alieno si avvicina sempre di più e ognuno inconsciamente immagina che abbia l’aspetto di quello che più gli fa paura. Un ragno per un aracnofobico, un serpente per chi teme i serpenti… mentre magari un altro li alleva ed è abituato a fargli le coccole.

Veniamo al tuo albo. “Tra mostri e mostri” con queste parole si chiudono gli “Appunti dal Derryleng”, prefazione al numero 8 di Samuel Stern. Quanto hai resto reale “l’animale” che ti porti dentro in questa storia?

Direi che la risposta si lega alla domanda precedente. Anche per questo nella mia storia il Demone si vede pochissimo. Ho preferito non rivelarne l’aspetto né il nome, perché non sono importanti. È quello che fa a qualificarlo, ovvero creare caos e disagio, sconquassare i rapporti in una situazione che invece era equilibrata a suo modo, per quanto possa apparire bizzarra all’occhio delle persone ‘normali’ abituate ad altri canoni di vissuto quotidiano.

Il Secondo girone, un amore appassionato, demoni, club lussuriosi, la leggenda di Edward Mordake e del suo doppio volto. Ingredienti ben calibrati che danno vita ad un albo originale e imprevedibile, pagina dopo pagina. Tra tutti i temi affrontati nel percorso narrativo, qual è stata la scintilla che ha acceso maggiormente la tua immaginazione nel raccontare e costruire questa storia?

Quando si parla di ‘Bene’ e ‘Male’ si rimanda sempre a una concezione radicale e manichea, mentre io invece sono più ‘taoista’. Ho sempre in mente, forse anche per i miei studi di carattere storico religioso, l’immagine del Tao dove il nero e il bianco, ovvero lo Yin e lo Yang, si uniscono, fondendosi e compenetrandosi, come due amanti in un amplesso, ma anche come due gemelli siamesi indissolubilmente legati. Mi sono immediatamente chiesto che cosa sarebbe successo se un Demone avesse posseduto una persona indissolubilmente legata a un’altra, come sarebbero cambiati i loro rapporti… ma non volevo fare la solita storia di Freak ambientata in un circo, magari con sfumature lacrimevoli. È acquisito grazie ai film e alla letteratura precedente sull’argomento che i Freak possono amare, soffrire e provare sentimenti. Qui volevo far chiaro che possono anche fare sesso e avere il controllo anche del proprio corpo, e sfruttarlo se lo ritengono opportuno, anche dal punto di vista erotico. Non ci sono ‘mostri’ nella mia storia. O almeno, non sono gli operatori del girone: loro sono creature meravigliose, speciali, dotate di una bellezza particolare che solo in pochi sanno apprezzare, ma che danno piacere e felicità. Non si definirebbero mai ‘freak’. Anche loro fanno del bene, usando i propri corpi così singolari, e a volte aiutando le persone a prevenire pulsioni che possono tramutarsi in qualcosa di negativo.

Il “tratto” di Stefano Manieri, che ha curato i disegni, è notevole. Come si è sviluppata la vostra collaborazione?

Nella mia testa, mentre scrivevo ‘Il secondo girone’, la storia era disegnata da Corrado Roi. Sapevo di non poter avere Roi ma lo avevo preso come riferimento mentale per la creazione di certe atmosfere grottesche e surreali, con i suoi chiaroscuri marcati che rendono bene l’idea di contrasto tra bianco e nero, luce e ombra, bene e male e la loro compenetrazione, come dicevamo prima. Non ho mai scritto da nessuna parte questa cosa, ma devo essere stato bravo a renderla in scrittura perché Gianmarco ha scelto per me Stefano, disegnatore che pur usando una tecnica diversa riporta le medesime capacità di gestione di quel genere di atmosfera. Devo dire che è filato tutto liscissimo. Ci intendiamo al volo e gli ho fatto pochissime correzioni. Lui dice che ama il mio stile ‘sintetico’. Lascio molto spazio al disegnatore dando indicazioni di massima sulle inquadrature, e inserendo solo i dettagli che ritengo essenziali. Così lui può lavorarci sopra liberamente e ha spazio creativo. Ad esempio, l’idea di rendere David così alto e ben piazzato è sua. Lo avvicina ancora di più al mondo della ‘sproporzione’ che però diventa a suo modo armonica. Solo una volta ci siamo ‘amichevolmente’ scontrati. Stefano non sa nulla di whisky e aveva disegnato, in una scena, Duncan e Samuel che bevono Jack Daniels. Eresia! Due scozzesi che tracannano whiskey americano! Facendo ammenda, Stefano ha scelto spontaneamente di cambiare la scena inserendo una bottiglia di ottimo Edradour. È uno dei miei prodotti preferiti, e non glie lo avevo specificato. Avevo solo chiesto che il whisky rappresentato fosse uno Scotch. Questo è stato l’ennesimo segnale di quanto in realtà fossimo allineati fra noi.

Ho notato un personaggio molto simile a Dylan Dog, dal punto di vista del disegno. È una mia allucinazione?

Credo che tu ti riferisca a un personaggio secondario che compare in una scena. Nella sceneggiatura non aveva caratteristiche fisiche peculiari, Stefano ha deciso di disegnarlo così e io l’ho lasciato fare. Somiglia sì, vagamente a Dylan, ma credo che molto dipenda soprattutto dal colore dei vestiti. L’occhio è abituato a ‘giacca nera e camicia’ e se le indossa un personaggio magro e di bell’aspetto scatta il ‘Dylan automatico’. Anche a me ha fatto la stessa impressione, e non so se Stefano volesse veramente omaggiare l’Indagatore dell’Incubo, ma non si tratta di un riferimento intenzionale, per quanto riguarda me.

Il costante conflitto tra bene e male è ben presente nella storia. Due facce della stessa medaglia che raccontano i dubbi e le azioni di Stern. A volte, secondo te, “bene” e “male” finiscono per confondersi?

Assolutamente sì, come dicevo prima, ed è una cosa a cui i lettori di Stern faranno bene ad abituarsi, ma credo che abbiano già iniziato a farlo a partire dal numero 3, in cui un umano chiedeva a Stern di ‘salvare’ il proprio Demone piuttosto che di scacciarlo. Non siamo ne L’esorcista, il Diavolo non sempre è brutto come lo si dipinge. Può essere meglio. O anche peggio. Lo stiamo scoprendo noi autori stessi man mano che andiamo avanti nella costruzione del mondo di Samuel.

Nel corso della storia ho notato alcune citazioni a film, ti va di svelarci qualcosa?

Naturalmente il cinema è un grande riferimento, essendo io di professione proprio un giornalista di cinema. Dico sempre che ci sono tre livelli di citazioni in ogni cosa che scrivo. Quelle dirette, dove si specifica a cosa ci si riferisce. Qui, chiaramente, c’è la Divina Commedia, a partire dal titolo, con il girone dei lussuriosi. Poi ci sono quelle indirette, che i lettori possono cogliere o non cogliere. Richiamano a qualcosa di già visto senza specificare cosa, e non hanno influenza sulla comprensione della trama. Ritengo che una buona storia debba essere autosufficiente e reggersi sulle proprie gambe, quindi essere comprensibile anche se il rimando non viene immediatamente colto. E poi ci sono quelle inconsapevoli: siamo tutti spugne che filtrano tutto quello che leggono, vedono e ascoltano, quindi alcuni riferimenti possono venire fuori anche senza che l’autore se ne renda conto. Ne Il secondo girone c’è molto del mio bagaglio cinematografico, ma non solo, c’è cultura ‘alta’ e cultura ‘bassa’, perché per me non c’è molta differenza. C’è Cabal di Clive Barker e c’è Fabrizio De Andrè, c’è Indivisibili di Edoardo De Angelis (uno dei film più interessanti delle scorse stagioni), e Inseparabili di Cronenberg. C’è Total Recall e ci sono ovviamente i film a tema esorcistico, tra cui mi piace ricordare in particolare Chi sei? Di Ovidio Assonitis (Friedkin nemmeno c’è bisogno di specificarlo). Lascio al lettore il piacere di scoprirne eventuali altre, ma ce n’è una in particolare a cui sono affezionato. È un cult dell’horror grottesco francese del 1990, Adrènaline di Barthelemy Bompard. Se lo ricordano in pochi, ma con i miei amici di allora consumammo la VHS a forza di rivederlo. Faceva anche molto ridere. Ho voluto rendergli omaggio.

Ci sarà un seguito a questa storia in futuro? Vedremo altre storie intorno al Second Circle? 

Mi piacerebbe molto. Diciamo che se al pubblico dovesse piacere, in testa ho già in mente diversi modi per poter continuare. Ogni operatore del Girone ha la sua storia particolare, dalla donna coperta di piume al gigante tatuato dalla lingua biforcuta. Mi piacerebbe un giorno raccontare di ciascuno di loro, senza contare che il finale dell’albo è abbastanza aperto da lasciare intravedere la possibilità di un seguito.

*Roberto Sciarrone, dottore di ricerca in Storia dell’Europa, Sapienza Università di Roma