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Riflessioni sulla guerra

L’attuale guerra in corso nei cieli dell’Ucraina in seguito all’invasione da parte della Russia ci ha fatto venire inevitabilmente alla mente il primo sconfortato e amareggiato verso scritto da Salvatore Quasimodo nella sua celebre poesia Uomo del mio tempo: Sei ancora quello della pietra e della  fionda. Da quando Caino colpì a morte il proprio fratello Abele, la storia è stata un continuo ripetersi della reciproca uccisione tra gli uomini sulla Terra. Da sempre è guerra civile, fratricida. Si vis pacem, para bellum (se vuoi la pace, prepara la guerra) recita la celebre locuzione latina dello scrittore romano Vegezio. Per Thomas Hobbes la vita tra simili non è altro che un eterno bellum omnium contra omnes,  guerra di tutti contro tutti. Più vicino ai nostri giorni, il grande scienziato Albert Einstein ha concluso, anch’egli senza più speranze come Quasimodo, che finché ci saranno gli uomini, ci saranno le guerre e, di fronte alla corsa agli armamenti atomici da parte delle due Superpotenze USA e URSS ha affermato: Io non so con quali armi sarà combattuta la Terza Guerra Mondiale ma la Quarta sarà combattuta con pietre e clave.

In verità, la guerra è la cosa più terribile che gli uomini siano stati capaci di inventare. La più folle e tragica delle invenzioni e anche la più antica. L’uomo sembra essere rimasto quello istintivo e animalesco delle caverne. Millenni di civiltà non sono serviti a nulla. La parte brutale dell’uomo sembra dura a morire; chissà ancora quanti millenni occorreranno affinché l’uomo sia tale. L’uomo è la sola creatura che si rifiuta di essere ciò che è, ha scritto Albert Camus. E come non dargli ragione? L’uomo è un animale che costruisce e demolisce. Creare e distruggere: questi sono i verbi che contraddistinguono l’uomo. E in essi sono sottintesi altri due verbi fondamentali: amare e odiare. L’uomo è amore e odio, ma più odio che amore. E l’odio non serve a niente, se non a rendere più penosa e più pesante la vita che siamo chiamati involontariamente a (sop)portare come un pesante fardello fino ad un punto che non ci è dato conoscere.

Un grande uomo della Resistenza al nazi-fascismo come Pietro Calamandrei, più di settant’anni fa, si poneva alcune domande sulle guerre, su chi le scatenava dopo la sconfitta dei totalitarismi e delle dittature, a chi facevano comodo, a chi facevano male e cosa fare, da parte del popolo, dei governati per impedire che vengano scatenate: Chi è che semina le guerre? Se tra uno o tra dieci anni una nuova guerra mondiale scoppierà, dove troveremo il responsabile? Nell’ultima guerra la identificazione parve facile: bastò il gesto di due folli che avevano in mano le leve dell’ordigno infernale, per decretare il sacrificio dei popoli innocenti. Ma oggi quelle dittature sono cadute: oggi le sorti della guerra e della pace sono rimesse al popolo. Questo vuol dire, infatti, democrazia: rendere ogni cittadino, anche il più umile, corresponsabile della guerra e della pace del mondo: toglier di mano queste fatali leve ai dittatori paranoici che mandano gli umili a morire, e lasciare agli umili, a coloro ai quali nelle guerre era riservato finora l’ufficio di morire, la scelta tra la morte e la vita. Ma ecco, si vede con terrore che, anche cadute le dittature, nuove guerre si preparano, nuove armi si affilano, nuovi schieramenti si formano. Chi è il responsabile di questi preparativi? Si dice che gli uomini, che oggi sono al potere, sono stati scelti dal voto degli elettori: si deve dunque concludere che le anonime folle degli elettori sono anch’esse per le nuove carneficine? Questa è oggi la terribile verità. La salvezza è solo nelle nostre mani; ma ognuno di noi, se la nuova guerra verrà, sarà colpevole per non averla impedita. […] Se domani la guerra verrà, ciascuno di noi l’avrà preparata. Non potremo nascondere la nostra innocenza dietro l’ombra dei dittatori: quando c’è la libertà, tutti sono responsabili, nessuno è innocente. 

Insomma, i cittadini, i governati devono essere vigili e non farsi complici delle scelte bellicose, delle nefandezze dei politici che prendono il Potere. Forse aveva ragione Clemenceau quando diceva che la guerra è una cosa troppo seria perché si possa lasciarla ai generali  e, soprattutto a uomini politici sconsiderati e pronti a gettare il proprio Paese e i propri cittadini nel dolore della guerra se per essi, come affermava Carl von Clausewitz, la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi, ovvero la via facile, sbrigativa per risolvere problemi di cui non sono capaci di venire a capo. Il compianto Gino Strada, il cui pensiero ci appare sulla linea di quello di Calamandrei, ha lasciato scritto più di una parola sulla follia e bestialità della guerra, auspicando che un giorno gli uomini siano capaci di buttare la parola guerra in quella che Trotsky chiamava spazzatura della  Storia: Se la guerra non viene buttata fuori dalla storia dagli uomini, sarà la guerra a buttare fuori gli uomini dalla storia. 

Sono […] anni che vedo atrocità e carneficine compiute da vari signori della guerra, chi si diceva di “destra” e chi di “sinistra”, e non ci ho mai trovato grandi differenze. Ho visto, ovunque, la stessa schifezza, il macello di esseri umani. Ho visto la brutalità e la violenza, il godimento nell’uccidere un nemico indifeso.

La guerra piace ai politici che non la conoscono. […]. La guerra piace a chi ha interessi economici, che se ne sta ben distante dalle guerre. Chi invece la conosce si fa un’idea molto presto. Io che non sono tanto furbo ci ho messo qualche anno per capire che non importa se c’è un’altra guerra. Che sia contro il terrorismo, per la democrazia o i diritti umani. Ogni guerra ha una costante: il 90% delle vittime sono civili, persone che non hanno mai imbracciato un fucile. Che non sanno neanche perché gli arriva in testa una bomba. Le guerre vengono dichiarate dai ricchi e potenti, che poi ci mandano a morire i figli dei poveri.

La guerra è una sciagura così immane, il suo esito così incerto e le conseguenze, per un paese, così catastrofiche, che i sovrani non avranno mai riflettuto abbastanza prima di intraprenderla, ha lasciato detto Federico il Grande di Prussia che, pure, le guerre le fece… Insomma, la guerra è così terribile da far dire un giorno al Presidente americano John Fitzgerald Kennedy che: L’umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità. E lo abbiamo visto come in questi atroci e crudeli giorni di guerra nel cuore dell’Europa come sia stato minacciato, dalla Russia, l’uso dell’atomica qualora si fosse stati costretti. Ma con la guerra non si scherza, non si può dire come disse Filippo Tommaso Marinetti: Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna. Non si scherza neppure con paroleinlibertà perchè, come ammonì a suo tempo Martin Lutero essa distrugge tutto quello che Dio può dare: la religione, lo stato, il matrimonio, la proprietà, la reputazione, la scienza, ecc. e, più vicino a noi, George Orwell: La guerra per me, significava proiettili rombanti e schegge d’acciaio; soprattutto significava fango, pidocchi, fame e freddo. Ma Orwell ha fatto pure notare che: Una delle più orribili caratteristiche della guerra è che la propaganda bellica, tutte le vociferazioni, le menzogne, l’odio provengono inevitabilmente da coloro che non combattono. Insomma, come disse già Eschilo, in guerra, la verità è la prima vittima e, in effetti, nel primo mese del conflitto ne abbiamo lette e sentite tante di menzogne, di fake news da entrambe le parti. 

Ha probabilmente ragione Julien Green quando dice che la guerra è il grande gioco sanguinoso dell’umanità che non riesce a uscire dalla sua preistoria , e ha ragione anche Umberto Saba quando afferma che le guerre si combattono perché l’uomo è un animale aggressivo; il più aggressivo, forse, della creazione e, quindi, finché ci saranno gli uomini, ci saranno le guerre, possiamo concludere, di nuovo, amaramente, con Einstein. Insomma, gli uomini si scanneranno per sempre, fino a quando prevarrà il sentimento dell’odio su quello dell’amore e fino a quando prevarrà la volontà e la politica di potenza degli Stati più forti che pensano a come sottomettere gli altri più deboli per dominarli. Un uomo politico navigato come Henry Kissinger, che di Potere se ne intende, ha affermato che: Non si fanno le guerre per il beneficio dell’umanità, ma per interessi nazionali. Ecco, appunto, per politica di potenza, per volontà di espandersi a danno degli altri popoli, per arricchirsi sempre più in territori, materie prime, denaro, ecc. E, dunque, si potrebbe concludere che il Grande Male della guerra sarà presente tra gli uomini fino a quando ci sarà la Storia, come se la Storia fosse tale solo grazie all’esistenza dell’odio e, quindi, del Male. E, se ci facciamo caso, non c’è un secolo della Storia in cui non ci siano state guerre, guerre combattute tra popoli e Stati con l’obiettivo del predominio e della predazione dell’altro, proprio secondo la celebre massima di Hobbes, ripresa da Plauto: homo homini lupus, l’uomo lupo dell’altro uomo. Domanda: Cosa sarebbe un mondo in cui ci fosse solo il bene e l’amore? Un mondo senza Storia!… Un mondo che non avrebbe senso perché privo della dialettica Bene-Male. Senza il Male la Storia potrebbe finire e, dunque, alla base della Storia c’è il Male? La Storia è storia del Male, dell’odio dell’uomo verso l’uomo? Dopo essere giunti a tanta civiltà, come mai siamo ancora con la stessa Storia, cioè con la stessa umanità ancora così marcia, corrotta e ottusa fino a rischiare l’autodistruzione a suon di bombe atomiche? E allora che cos’è la Storia? Che cos’è il progresso? La scienza e la tecnica hanno fatto passi da gigante, hanno fatto miracoli, mentre l’uomo moralmente e umanamente non è riuscito a fare salti di qualità, non è riuscito a fare quel miracolo, quella rivoluzione spirituale ed etica che cambierebbe il futuro e il destino di questo vecchio pazzo mondo. Quanto più si è progrediti materialmente, tanto più si è regrediti spiritualmente!… È forse questo il grande, tragico paradosso del mondo in cui viviamo. È facile farsene una ragione, difficile è però accettarlo a cuor leggero. E ti chiedi come andrà a finire e se mai ci sarà un mondo diverso con uomini migliori, umanamente migliori. E ti chiedi se mai sorgerà un uomo capace di salvarlo, di condurlo sulla retta via. Dante sognava il Veltro, Dante sognava la salvezza dell’uomo e del mondo. Grande utopista Dante perché era grande come uomo. Tutti gli uomini grandi hanno grandi sogni. Chissà se mai avverrà il miracolo di una nuova umanità e di un nuovo mondo! Svevo – quell’incosciente di Svevo – nella sua Coscienza di Zeno aveva immaginato, anzi “auspicato”  che l’unico modo per salvare il mondo era, forse, di farlo saltare in aria, di ridurlo in polvere per mezzo di uno degli ordigni spaventosi che oggi l’uomo si costruisce per convivere con la paura. Solo ritornando come alle origini, sotto forma di nebulosa, la terra avrebbe potuto salvarsi e liberarsi dalla malattia che la corrode. Nella sua isolata ma lucida coscienza, Svevo vedeva già allora la vita inquinata alle radici…

Il mondo in cui viviamo è un mondo che fa rabbia e tristezza, perché esso è certamente – per i progressi raggiunti che sono indiscutibili – il migliore dei mondi possibili, per dirla con Leibniz. Ma c’è il risvolto della medaglia, ecco cosa c’è. C’è l’altra faccia che è una brutta faccia e non piace e la vorremmo diversa. Si potrebbe obiettare che il mondo è sempre stato quello che è, che ha sempre avuto due facce. E, allora, prendere o lasciare? In verità, si tratta di trovare un’intelligente forma di adattamento. Gli uomini si creano l’inferno sulla terra e dunque occorre saper stare in questo inferno. Italo Calvino aveva avanzato una proposta, aveva suggerito un rimedio. Ecco cosa scrive ne  Le città invisibili: L’inferno dei viventi…è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo è facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte, fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio. Il secondo modo suggerito da Calvino, insieme al vivere con la leggerezza del saggio, è probabilmente la migliore via di salvezza, quella che ci fa meno soffrire per i mali del mondo.

Ritornando al tema guerra, va sottolineato, più forte che mai, che essa è davvero il simbolo della perenne stupidità e malvagità dell’uomo. La guerra è il più grande crimine contro l’umanità attuato impunemente da criminali al Potere. Machiavelli ci ha insegnato bene cosa sia il Potere e di cosa sia capace e l’imperatore Tiberio lo diceva chiaramente: Voi non sapete qual mostro sia il Potere. 

La guerra è la negazione dell’uomo e della sua umanità. La guerra è barbarie. La guerra è una bestialità, la peggiore delle umane bestialità, un mostro di cui gli uomini non riescono a liberarsi. La guerra è la cosa più orribile e più folle che l’uomo sa fare da millenni ed è sempre consistita nel mandare al macello milioni di uomini che ne ignorano le vere ragioni. Di tutte le follie e idiozie di cui l’uomo è capace la guerra è quella più tenace. Le guerre sono sempre state decise dall’alto e subìte dal basso. A farne le spese, in termini di vita, di dolore, sofferenze, sacrifici, ecc. sono sempre i ceti subalterni, la povera gente. 

Nelle guerre non ci sono né vinti né vincitori. C’è invece un eterno sconfitto: l’umanità. L’uomo, che da millenni abita il pianeta Terra, si è molto incattivito,  è abituato a farsi sempre la guerra. È un uomo che maltratta la natura, un uomo assuefatto al male, alla barbarie fino a ridursi ad un indifferente. E questo perchè è anche poco educato all’amore, ai buoni sentimenti, alla bontà, alla lealtà, al senso di giustizia e, alla fine, la vita stessa perde ogni valore, ogni sacralità visto che si uccide anche per pochi soldi o per una banale discussione per un parcheggio condominiale.

L’umanità intera ha bisogno di un nuovo umanesimo, un umanesimo in una forma ancora più radicale che metta, una volta per tutte, al centro del discorso l’uomo e i suoi bisogni, le sue esigenze, i suoi diritti, i suoi problemi, i suoi desideri, i suoi sogni. Occorrerebbe l’affermazione, su questa terra, di un nuovo tipo di umanità, un uomo nuovo capace di saper imporre  il proprio modello fondato sulla bontà, sull’amore, sul bene, sulla solidarietà e lo scambio reciproco delle conoscenze per lo sviluppo e il miglioramento delle condizioni della specie umana, oggi come domani. E questo vorrebbe dire porre, una volta per tutte, fine alle guerre, alla volontà di potenza e di sopraffazione.  Vorrebbe dire far prevalere su questo mondo un tipo di umanità che pensa non a come farsi la guerra ma a come progredire tutti insieme nella pace e nella concordia rendendo, in tal modo, il pianeta Terra una casa in cui star bene e vivere meglio. All’incubo della  guerra noi dobbiamo opporre, con tenacia, il sogno di un mondo in pace. Bisognerebbe voltare definitivamente pagina e predisporsi a costruire quell’unione, quella federazione di liberi Stati auspicata dal grande filosofo Immanuel Kant, oltre due secoli fa, che metta fine alla parola guerra per la realizzazione della pace perpetua. Lo si farà mai o è un’idea destinata a rimanere per sempre un bel sogno?

La bellezza salverà il mondo, ha lasciato scritto il grande scrittore russo Fedor Dostoevskij e mai come oggi questa affermazione appare come l’auspicio e come la speranza più grande per il mondo intero che, finalmente, dovrebbe cancellare la brutta e orribile parola guerra dal proprio vocabolario invece di pensare, come si è fatto finora e si sta continuando a fare anche oggi, a come meglio armarsi, a quanto più spendere nella corsa agli armamenti con cui essere pronti a distruggere il nemico.  Bisognerebbe cancellare, una volta per tutte, l’orribile esortazione di Catone il Censore: Delenda Carthago. Costruire non distruggere!