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Raffaele Messina, Artemisia e i colori delle stelle (Colonnese editore, 2022)

La storia di una donna che, dividendosi soprattutto tra Roma, Firenze, Napoli, e frequentando uomini che hanno illuminato la scienza e l’arte, tra i quali Galileo Galilei, vive nel Seicento come se fosse oggi. E già questo varrebbe un romanzo. E lo vale di più se poi ci aggiungiamo altro del suo vissuto, come il violento stupro subìto a 17 anni nella Roma papalina da parte di un pittore collega del padre e che le promette di sposarla quando lui lo è già. Segue un processo che si risolve con la condanna del reo, seguita da ogni maneggio per liberarlo al più presto, essendo un artista benvisto in Vaticano. Per Artemisia seguiranno, invece, un matrimonio riparatore con un altro uomo e in seguito tanti figli. Il romanzo si dispiega in tanti particolari e si conclude a Napoli dove lei, dopo un primo soggiorno, viene a vivere, anche se la città non le va molto a genio, ma dove cerca e trova munifici committenti tra la nobiltà e il clero del Vicereame spagnolo. E proprio qui Artemisia Gentileschi, grazie alla determinazione, all’anticipata coscienza di sé, al talento artistico sempre in crescita, dipinge alcuni suoi capolavori. 

Col passar del tempo, trascorso a Napoli tra la intensa vita mondana subordinata a quella artistica, arrivò anche il matrimonio della seconda figlia con «un Cavaliere dell’Abito di San Giacomo» celebrato alla grande e il cui pranzo viene rievocato dall’autore con una dovizia che farebbe inorridire ogni buon vegano: «Pulcini allo zucchero, conigli alla crema di mandorle, salsa fredda all’aceto e zuppa di cacciagione».  E per finire: «Crema di mandorle e giuncata e fresca cagliata di latte di capra». Un matrimonio – come lei confessò a don Antonio Ruffo, uno dei suoi committenti più facoltosi – che le aveva «scassato» le finanze. Il doppio merito, non da poco, di questo romanzo consiste sia nell’avere, per la prima volta e con sapienza, illustrato l’Artemisia napoletana umanizzando realisticamente la sua figura, e sia nell’aver saputo narrare tutto ciò con cura ed eleganza.

*Piero Antonio Toma, giornalista