“Qui si sta morendo”: l’SOS di Danilo Dolci, fondatore della radio libera italiana
La presenza di Danilo Dolci sulla scena dell’impegno civile
Nel mio bisogno di poesia, gli uomini,
la terra, l’acqua, sono diventati
le mie parole.
Non importano i versi
ma in quanto non riesco a illimpidirmi
e allimpidire, prima di dissolvermi,
invece di volare come un canto
l’impegno mi si muta in un dovere.
(DANILO DOLCI, Poema umano, 1974)
La presenza di Danilo Dolci sulla scena dell’impegno civile è attestata non solo da chi lo conobbe, collaborò con lui, intraprese battaglie volte alla denuncia delle storture, ma dalla sua prolifica attività di studioso e di analista delle idiosincrasie e aberrazioni che riguardavano il tessuto sociale della Trinacria da lui tanto amata. Basta richiamare qualche titolo della sua fluente produzione per rendersene conto, da Inchiesta a Palermo (1956, vincitore del Premio Viareggio l’anno successivo) a Spreco. Documenti e inchieste su alcuni aspetti dello spreco nella Sicilia Occidentale (1960), da Il dio delle zecche (1976) a Una rivoluzione non violenta (2007). L’ampiezza delle tante venature di intellettuale (termine a lui ostico) impegnato e la vastità delle tematiche investigate meriterebbero uno studio precipuo e sistematico, e dunque un tempo di lettura e d’analisi delle tante opere che esula un breve saggio del genere che invece non ha nessuna pretesa se non il desiderio di poter dedicare qualche osservazione a una vita spesa in difesa degli altri.
Il critico Michele Rangone, compilando un volume-dizionario sui lemmi maggiormente impiegati, discussi, proposti, sperimentati, elaborati e fatti oggetto di analisi primarie in Dolci dal titolo Le parole di Danilo Dolci. Anatomia lessicale-concettuale (2011), ben ha raccolto nelle trecento pagine che costituiscono quest’opera le principali sfaccettature dell’uomo mai domo né rassegnato di denunciare, di declinare con il verbo non violento1 il suo dissenso e la sua riprovazione verso sistemi di strapotere, malaffare, devianza e di vera corruzione. Ne prendo in prestito qualcuna, nel corso della presente trattazione, per meglio evidenziare l’importanza di alcuni contenuti e la valenza che lo stesso poeta di Partinico2 gli diede.
Un recente articolo3 uscito sulla stampa nazionale dedicato a Danilo Dolci ha posto la debita attenzione su alcuni aspetti della sua figura, considerata controversa da alcuni, determinata sempre da un’insaziabile battaglia civile ed ecologica. L’attenzione dell’uomo Dolci è stata sempre rivolta al mondo dell’alterità, difatti questo grande sociologo e insegnante non ha mai smesso di guardare attorno a lui, nel suo ambiente, mettendo in rilievo situazioni di precarietà, stortura, figlie di un malaffare diffuso, di una disattenzione generalizzata e, non di rado, di un atteggiamento tra il fiero e l’omertoso, tra il superbo e il reticente.
Non va dimenticato il suo grande impegno, che va visto tanto con un occhio sociale (in relazione alla manodopera che esso richiamò) quanto ambientale (di rilevanza per l’indotto naturale dell’intera zona di riferimento) della costruzione della diga di Partinico nel 1971. Senz’altro non fu il primo episodio di seria compromissione alla realtà sociale di Dolci che destò una certa attenzione nella collettività, dato che alcuni anni prima aveva ideato il noto “sciopero alla rovescia”. L’articolo di Carlo Vulpio, passando in rassegna alcune delle tappe più rimarchevoli della stagione dell’impegno dolciano, non può esimersi, infatti, dal revocare proprio la costruzione di quella importante realtà della diga di Partinico, richiamata anche come Lago Poma.
Dolci fu sodale col più povero e con lo sfruttato, compartecipe alle esigenze e alle miserie dei braccianti, fautore di idee per poter intervenire sul problema della disoccupazione. In una poesia scrisse: “Rivoluzione è curare il curabile / profondamente e presto, / è rendere ciascuno responsabile. // Rivoluzione / è incontrarsi con sapiente sapienza”. Non fu un vero e proprio agitatore. Non un provocatore urlante. La sua forma dialogica, infatti, non prevedeva sistemi di rivendicazione violenta, di assembramenti e di comportamenti fuori dai canoni della legge – sebbene, e va detto, più volte venne arrestato4 – ma si fondava sul piglio maieutico5 vale a dire il rinnovamento e la denuncia dovevano venire da un sistema cognitivo capace di razionalizzare i problemi, discuterli, considerarli da più parti. La sua non era una denuncia perentoria senza se e senza ma, al contrario era mirata, contestualizzata, frutto di una conoscenza empirica e sistemica dei problemi, da lui indagati da dentro. Ecco perché l’ampia adesione alla sua impostazione solidale fu particolarmente innovativa, apprezzata e seguita: pur avendone tutte le prerogative e gli stilemi di un vero leader, Dolci evitò di guidare le masse, di scendere come polemico rivoltoso nelle strade, istituendo un colloquio ragionato e compartecipe, incentivando la riflessione, l’apertura e lo scambio sebbene, come si è già detto, alcune delle sue iniziative – invettive per alcuni – crearono senz’altro scompiglio, disagio e non poterono che vedere l’intervento delle Forze dell’Ordine. Dolci non fu una sorta di eroe di provincia che s’immola per le cause degli altri, ma un ideologo raffinato, con una grande capacità di giudizio, sempre sollecitato da una fervente interrogazione.
Un avvicinamento importante – quello tra Dolci e Peppino Impastato – già ampiamente studiato e fatto oggetto anche di dissertazioni in convegni, merita di essere richiamato dal momento che notevoli e numerosi sono i punti di accordo tra le due esperienze. Entrambi operarono della medesima zona, quella della Sicilia Occidentale; mentre Impastato era radicato nella zona di Cinisi e Terrasini, Dolci fu particolarmente attivo a Partinico e nel più piccolo centro del Palermitano di Trappeto. Il loro impegno sociale fu volto a testimoniare il marcio della Provincia siciliana di quegli anni ma, se Impastato istituì la sua condanna tutta nei confronti del fenomeno mafioso, le ragioni trainanti del pensiero protestatario di Dolci – che pure parlò della mafia, come nel caso della mancata e complicata ricostruzione del Belice l’indomani del forte sisma – furono molteplici: dalle deplorevoli condizioni dei minori, alle battaglie per l’insegnamento e l’educazione, dalla denutrizione al brigantaggio, dall’inquinamento alla speculazione edilizia sino alla disoccupazione (conseguenze anche della riforma agraria) e alla miseria dei terremotati del Belice, dello Jato e del Carboj.
Altra concordanza non di poco conto fu l’adozione di un sistema di comunicazione innovativo, democratico, tendenzialmente accessibile a tutti, quello delle radio libere. Difatti Radio Libera Partinico, dalla quale Dolci nel 1970 prese la parola per denunciare una dolorosa situazione d’indigenza e incertezza per i terremotati del Belice, viene considerata come il primo esempio di radio libera italiana per lo meno nello scenario geografico del nostro Meridione6. L’idea di Dolci era determinata dalla volontà di “raccontare le condizioni di disagio, oppressione e abbandono in cui versava la popolazione”7.
Quella che ben presto venne apostrofata come “Radio dei Poveri Cristi”, nacque il 25 marzo 1970 alle ore 17:30. Trasmise per ventisette opere consecutive ed ebbe una ricezione non solamente locale, ma arrivò ad essere ascoltata in tutta la Penisola. L’intenzione di quel collegamento era quello di lanciare un SOS (“Qui si sta morendo” recitò Dolci, come fosse un cronista in un contesto di guerra) alla classe politica affinché intervenisse in maniera sollecita e congrua nei confronti del dramma di centinaia di persone abbindolate da promesse (fino allora non mantenute) di una ricostruzione delle zone dissestate. Tuttavia l’esperienza fu assai breve: essa venne prontamente bloccata perché ritenuta sovversiva ma, come ha osservato la studiosa Pacchiarini, “raggiunse lo scopo per cui era stata costruita: risvegliò l’interesse nazionale per i territori del Belice, dello Jato e del Carboj, tanto che pochi mesi dopo iniziò la ricostruzione di diversi centri come Santa Ninfa e Vita”8. Il critico Michele Rangone ha ricordato che la radio venne sequestrata “anche se non vi furono conseguenze giudiziarie per i promotori in virtù del largo consenso popolare dell’iniziativa”9.
Notevole fu l’impegno di Peppino Impastato con una delle sue invenzioni, Radio Aut (nata a Terrasini nel 1977), dalla quale non mancò di denunciare il fenomeno mafioso e le sue varie collusioni della realtà di Cinisi, col boss Tano Badalamenti che sulle onde del programma radiofonico “Onda Pazza”10 non solo veniva additato come responsabile di violenze, minacce, ritorsioni e sistemi prevaricatori ma finanche veniva deriso, brutalizzato, fatto oggetto di uno scherno che gettava ilarità su un fenomeno tanto grave. Impastato, com’è noto, col suo modo irruento e sfrontato, riuscì a catalizzare attorno alla radio un congruo numero di giovani che, avendo preso coscienza dell’esigenza di distanziarsi da quel mondo malato della corruzione locale, spesso furono addirittura costretti a distanziarsi anche dalle loro famiglie, in qualche modo collegate al malaffare, o ad esse subalterne, per paura di reprimende e azioni vendicative. La radio diveniva così un sistema molto potente proprio per la facile e indisturbata fruibilità del mezzo, per la semplicità d’utilizzo, per il fatto che era un qualcosa che grosso modo tutti potevano permettersi e, ancor più, perché l’ascolto della stessa non era da considerarsi come attività in sé oziosa e inutile dal momento che la si poteva ascoltare essendo contemporaneamente impegnanti a fare dell’altro. Impastato con i suoi racconti, con le sue indagini sprezzanti del pericolo, finanche con le storture, le scimmiottate operate del boss e dei suoi compari rese pubblica una situazione di buio sociale che tutti conoscevano e vivevano sulla propria pelle, portando mafiopoli e quel maficipio (neologismi entrambi da lui partoriti) alla ribalta. Tutto – fino ad allora allontanato, eluso, fatto finta di non conoscere, negato o mitigato – veniva alla luce all’estrema potenza, senza più reticenze, tintinnamenti, timori di sorta.
Il regista Marco Tullio Giordana, che su Impastato produsse il noto film I cento passi nel 2000 con Luigi Lo Cascio quale attore nel ruolo principale del frustrato e indomabile giovane di Cinisi, riferendosi agli esperimenti di Radio Libera Partinico e di Radio Aut osservò: “Entramb[e] sono stat[e] punte avanzate nella storie del nostro paese perché capirono per prim[e] che la democrazia si doveva raggiungere togliendo allo Stato il monopolio dei mezzi di comunicazione”. E sulle grandi potenzialità del mezzo radiofonico così si era espresso lo stesso Dolci: “Occorre uno strumento di comunicazione che arrivi a ciascuno […] Uno strumento che sia occasione non solo di conoscenza ma, sia pure nel modo più aperto, di nuova organizzazione […][che] si esprima, dunque, in modo rivoluzionario”11. In una poesia estratta dalla raccolta Poema umano (1974), inoltre, così scrisse: “Non mi sorprenderei / quando i poveri cristi si decidono / a montare una radio per sentirsi / e per farsi sentire – una radio / anche piccola / come in montagna per la resistenza / oppure a Praga -, / non mi sorprenderei se le Forze / Armate si lanciassero / ad afferrarla e denunciarla / «per avere tentato di turbare / l’ordine pubblico»”.
La radio di Impastato, al pari di quella di Dolci, ruppe il clima di omertà e fu in grado di porre in evidenza la spregiudicatezza di alcune azioni umane e dei rispettivi autori, aiutò a togliere quel velo dal viso che ammantava la realtà sociale del suo vero. I codici linguistici adoperati – si è già detto – furono diversissimi: quello della protesta non violenta e dell’approccio maieutico di Dolci, della condanna e dell’investigazione concreta della realtà (nella sua trasmissione intervistò direttamente la gente del popolo) e, dall’altra, la reprimenda amare, l’invettiva, l’urlo offensivo, il lancio di accuse forti infarcite di sarcasmo e comicità, non capaci, quest’ultime, a lenire la gravità dei contenuti, la ributtante condizione del popolino negletto, sfiduciato ma silente, dinanzi allo strapotere dei malavitosi. Richiamo ancora lo studio di Pacchiarini: “Dolci e Impastato combatterono la propria battaglia attraverso discorsi, libri, articoli, programmi radiofonici, dialogando con i compaesani e con chi, invece, non aveva mai conosciuto la mafia. […] Dolci discutendo e protestando ottenne finanziamenti utili per ricostruire le strade terremotate; Impastato dimostrò che denunciare le ingiustizie era lecito, giusto, liberatorio”12.
Danilo Dolci ha scritto abbondantemente durante la sua vita e ci ha lasciato molti volumi che abbracciano i vari generi: dalla poesia alla narrativa, dalla saggistica all’inchiesta investigativa, dal giornalismo agli scritti filosofici e meditativi, finanche ricche pagine utili ad approfondire i meccanismi dei processi comunicativi, educativi e pedagogici. Quale è – oltre agli aspetti della presenza e dell’impegno, dell’autocoscienza e della responsabilità che sovrastano in ogni sua opera – allora il senso precipuo e peculiare che Dolci intravede nella poesia? Non resta che lasciar parlare lo stesso autore che in La comunicazione di massa non esiste (1977) ebbe a dire: “Le parole della poesia non dicono: esplodono nell’intimo, talora, come semi maturi ormai troppo addensati costruendo il non labile di ognuno. Il poetare, già in sé, potenzialmente comunica: in musica o in pane concretato, o in cemento, quando arriva disvela l’uno a ognuno. L’autentica poesia –anche quando concerne un torrente, o un canneto, o uno straccio, o alcun oggetto particolare (la musica concerne relazioni) – è avventura cosmica”13.
NOTE
1 – “Occorre l’impegno continuativo, strategico, per la costruzione del mondo nuovo e la demolizione del superato, attenti a muovere le proprie forze in modo da suscitarne ovunque nuove: occorre una nuova rivoluzione nonviolenta impegnata a eliminare lo sfruttamento, l’assassinio, l’investimento di energie in strumenti di assassinio e promuovere reazioni a catena di nuova costruzione. È più facile dubitare dell’efficacia della rivoluzione nonviolenta finché questa non avrà storicamente dimostrato di saper cambiare anche le strutture. L’azione nonviolenta è rivoluzionaria d’altronde anche in quanto, con la sua profonda capacità di animare le coscienze, mette in moto altre forze pure diversamente rivoluzionarie nei metodi. Ciascuno che aspira al nuovo fa la rivoluzione che sa”, in Danilo Dolci, Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari, 1974, pp. 229-230.
2 – Com’è noto Danilo Dolci nacque all’estero, nel comune di Sesana ora appartenente alla Slovenia, nel 1924 e visse la prima parte della sua vita tra Milano e Roma. Si trasferì in Sicilia nel 1952 e morì nel 1997 a Trappeto, comune del Palermitano. La sua attività di insegnante e sociologo si dispiegò in vari comuni della Provincia Palermitana e della Valle dello Jato, tra cui merita una particolare attenzione – oltre a Trappeto dove morì – il Comune di Partinico. Si ricordi, il curioso esperimento dello “sciopero alla rovescia” (il disoccupato che sciopera lavorando) che lì si organizzò nel 1956, la fondazione di Radio Partinico Libera nel 1970, oltre al ben più noto titolo di uno dei suoi più libri: Banditi a Partinico (1956).
3 – Qui si parla, con la presenza di un intervento di uno dei figli, Cielo Dolci, di un luogo importante per la figura di Danilo Dolci che oggi, a ventiquattro anni dalla sua morte, è in balia di un veloce declino, la trazzera: “Quella trazzera è diventata una strada di Partinico e si chiama Via Sciopero alla rovescia. Al civico 8, c’è anche una scuola, l’Istituto Comprensivo “Ninni Cassarà”, intitolato al Commissario di polizia trucidato a colpi di kalashnikov dalla mafia il 6 agosto 1985 insieme con l’agente Roberto Antiochia”, in Carlo Vulpio, “Chiare, fresche e Dolci acque”, in La lettura, «Corriere della Sera», 18/04/2021.
4 – Proprio nella circostanza dello “sciopero alla rovescia” del 1956. Carlo Vulpio a tal riguardo ricorda: “Il sistema gli fece pagare (assieme agli altri partecipanti) con l’arresto, la galera preventiva per due mesi, un pubblico dibattimento in manette infine con una condanna a un mese e venti giorni per il reato d’ “invasione di terreni” più di quattordici mila lire di multa, sei mila d’ammenda e le spese processuali”, in Carlo Vulpio, “Chiare, fresche e Dolci acque”, op. cit.
5- Un approfondimento sul concetto di “maieutica” si rende a questa altezza necessario quanto doveroso. “Maieutica è parola che deriva dal greco e denota l’opera della levatrice. Nel Teeteto, Socrate ricorda di essere figlio di una levatrice, Fenàrete. Similmente a sua madre, pure l’arte che Socrate esercita è maieutica: infatti, come un ostetrico, aiuta a partorire, anche se nel suo caso si tratta di parto di anime e non di corpi. Socrate non insegna, interroga e, attraverso le domande, fa in modo che i suoi interlocutori vedano chiaro in sé stessi e riescano ad esprimere compiutamente i pensieri di cui la loro mente è gravida. L’arte di Socrate consiste dunque nell’aiutare i pensieri a venire al mondo. Ma i pensieri sono di chi li ha concepiti. L’approccio maieutico costituisce un concetto chiave anche nel pensiero di Dolci, sebbene egli precisi che «la maieutica socratica è diversa dalla nostra». Infatti secondo Dolci il rapporto maieutico è sempre fondato sulla reciprocità. In altri termini, non c’è nessuno che possa limitarsi alla funzione di ostetrico di pensieri, perché tra due soggetti che comunicano l’uno ha sempre da dare qualcosa all’altro”, in Michele Rangone, Le parole di Danilo Dolci. Anatomia lessicale-concettuale, Edizioni del Rosone, Foggia, 2011, p. 177. Giulia Pacchiarini per riferirsi al metodo impiegato da Dolci ha parlato di “Una guerra tenace, basata su una lunga attività educativa verso la popolazione, applicata con metodo maieutico e finalizzata allo scardinamento di un modo di pensare acritico nei confronti del potere mafioso”, in Giulia Pacchiarini, “La radio come strumento della lotta alla mafia. Note di ricerca”, «Cross», Vol. 6, n°1, 2020, p. 91.
6 – In vari articoli si legge che fu la prima radio libera italiana ma questo viene smentito da altri giornalisti e scrittori che, invece, ci parlano del nord Italia quale luogo dove nacquero i primi esperimenti di radio libera. Quasi sicuramente, però, la fondazione di Radio Libera Partinico da parte di Dolci rappresentò la prima rappresentazione di questo nuovo tipo di sistema comunicativo per quanto concerneva la Sicilia o addirittura, come avanzato nel corso del saggio, per il Meridione tutto.
7 – Danilo Dolci, Salvo Vitale, Guido Orlando, La radio dei poveri cristi: il progetto, la realizzazione, i testi della prima radio libera in Italia, Navarra Editore, Palermo, 2017, p.12.
8 – Giulia Pacchiarini, “La radio come strumento della lotta alla mafia. Note di ricerca”, op. cit., p. 94.
9 – Michele Rangone, Le parole di Danilo Dolci. Anatomia lessicale-concettuale, op. cit., p. 227.
10 – Trasmissione autodefinitasi “satirico-schizo-politica” proprio per il suo atteggiamento ilare e sardonico, improntato a una grande forza comunicativa, sagacia, irruenza e motteggio, con aspetti apparentemente giocosi e dichiaratamente spudorati, tutto all’insegna di una spietata e mai sazia denuncia della mafia, dei suoi rappresentanti, spesso ridicolizzati per le loro peculiarità somatiche, irretiti in un gioco amaro di comunicazione violenta, recriminativa, paradossale e particolarmente atta a scalfire l’onore altrui e a degradare le immagini ritenute incontaminate dei capi banda.
11 – Danilo Dolci, Salvo Vitale, Guido Orlando, La radio dei poveri cristi: il progetto, la realizzazione, i testi della prima radio libera in Italia, op. cit., p. 11.
12 – Giulia Pacchiarini, “La radio come strumento della lotta alla mafia. Note di ricerca”, op. cit., p. 99.
13 – Danilo Dolci, La comunicazione di massa non esiste, L’Argonauta, Latina, 1977, p. 117.
*Lorenzo Spurio, scrittore