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Quell’odore di resina: pubblicato il primo romanzo della poetessa Michela Zanarella

È uscito lo scorso 22 marzo il primo romanzo della prolifica e apprezzata poetessa Michela Zanarella. L’opera, dal titolo Quell’odore di resina, è stata pubblicato dai tipi di Castelvecchi e s’iscrive in un ampio percorso letterario che ha visto l’autrice veneta – naturalizzata romana da anni – dare alle stampe numerose sillogi poetiche (alcune delle quali tradotte anche all’estero) e condurre un’intensa attività di promozione culturale sulla Capitale e non solo. 

Quell’odore di resina rappresenta il suo primo vero e proprio esordio in prosa (nonostante non siano mancati negli anni suoi interventi brevi in prosa, sia di fiction, com’è il caso della sua partecipazione al romanzo corale di Federico Moccia La ragazza di Roma Nord (2019), che di indagine speculativa e saggistica) e ha la volontà primaria di mettere al centro della narrazione la determinazione e il coraggio delle donne. 

Così, addentrandosi nella lettura, si scopre una giovane ragazza immersa in vicissitudini varie. A risaltare sono le pieghe del suo comportamento personale e la sua attitudine di giovane donna, spesso rappresentata come vulnerabile nella sua insicurezza che si contrappone a un mondo vivido di speranze per il futuro («Davanti mi si parava un orizzonte infinito», 7, scrive nelle prime pagine del romanzo). Il contesto in cui si dispiegano le vicende che annodano la narrazione è quello del mondo del lavoro, ritratto forse in maniera brusca e macabra nella prima di copertina dove si staglia un fotogramma di una macellazione con carni tristemente appese. La scelta dell’immagine – conoscendo l’Autrice – credo sia stata voluta ad esprimere tanto la durezza di un lavoro – quello del macello – che ha sperimentato sulla propria pelle, quanto porre il lettore dinanzi a una scena in qualche modo disturbante e iperrealista, i cui significati veri vanno ricercati e ricostruiti quando si ha maggiore contezza dell’intreccio. 

I ritmi della storia raccontata sono quelli martellanti e identici del lavoro, una professione che prevede manualità e che implica anche una certa forza da sostenere, giorno dopo giorno. Il lavoro occupa così la gran parte del tempo della Nostra che, pur curiosa e sensibile, vorrebbe dedicarsi a ben altro. «Al macello avevo imparato il significato della vita, il sacrificio duro del lavoro» (7), scrive. Quell’occupazione che le consente di guadagnare dei soldi va completamente contro i convincimenti della sua natura profonda: «Non tolleravo alcuna forma di violenza, neanche verso gli insetti: veder uccidere un vitello, una mucca o un toro era una sofferenza a cui dovevo assistere quotidianamente. Il lavoro era una tortura per i miei sentimenti che dovevano essere accantonati, se volevo sopravvivere alla mancanza di opportunità lavorative. Ero costretta a rimanere in quel posto, non avevo altre alternative» (41).

La vita – si sa – mette costantemente alla prova e ciò accade anche alla nostra protagonista Fabiola che, riflettendo sui suoi infelici trascorsi, è convinta nel sostenere: «Il destino mi era avverso» (69).

Alcuni incontri originali ed esperienze inaspettate contribuiranno ad aggiungere sale in quella che, all’apparenza e in partenza, si configura come una vita abbastanza monotona e stressante. Non tutti gli incontri sono, però, positivi e, anzi, assistiamo Fabiola incappare in trame pericolose in varie circostanze. Questa la sua riflessione col beneficio del tempo: «Il vuoto della solitudine mi aveva fatto avvicinare alle persone sbagliate, mi aveva fatto innamorare di uomini che non meritavo affatto» (21).

L’imprevisto prende la forma di un accadimento totalmente fortuito e di segno negativo, una casualità spiacevole determinata da un incidente che, in qualche modo, sarà elemento epifanico e motivo catartico per un cambiamento decisivo nella sua esistenza. Da lì, infatti, complici una serie di scelte prese con convinzione, la protagonista imboccherà un cammino diverso. 

Così, in questa metamorfosi continua che è la maturazione che la vita inesorabilmente ci impone, sfilano guai e spensieratezze, momenti di sconforto e altri di tentata evasione verso una vita diversa, un mondo di libertà e di realizzazione. Quando il percorso sembra aver intrapreso una sorta di ribaltamento positivo, ecco che gli spauracchi del passato e le presenze minacciose dei pensieri ritornano a inquinare la normalità dei giorni. A contrapporre quel tormento segnato da apprensioni sarà la rievocazione del mondo dell’infanzia, dei momenti vissuti con spensieratezza e nel calore dei cari: elementi che sapranno consigliare e supportare la protagonista. 

Il narrato procede per capitoli nei quali, con un percorso di recupero del passato mediante flashback e l’intervallo con una narrazione al presente, descrive la ragazza di ieri e la donna d’oggi. Particolarmente poetici alcuni passaggi come quando rievoca la presenza fidata e rassicurante di un caro amico non umano nella sua adolescenza: «Il pino ascoltò per anni le mie confessioni, fino a quando una larva attaccò in profondità le sue radici e si ammalò. Sempre più spoglio e rinsecchito, lo vedevo spegnersi in una sorta di agonia e con lui si spegneva anche la mia voglia di raccontare» (37).

Il romanzo ha le tinte di un romanzo di formazione per i vari motivi di cui si è detto, per il passaggio della protagonista in fasi diverse della sua esistenza per mezzo della conoscenza del mondo e di una sempre più profonda acquisizione della consapevolezza e dei contorni spesso non felici del mondo in cui viviamo. A qualche altezza è anche una sorta di romanzo di genere perché affronta da vicino – da dentro – le vicende intime ed emozionali di una giovane donna alle prese con un contesto lavorativo e sociale non così sensibile, recettivo e giusto nei suoi confronti a causa delle sue condizioni spesso spolianti e alla non conformità con le proprie reali attitudini, propensioni e intenzioni. A volte quei fantasmi del passato ritornano ma, col tempo, la protagonista imparerà (da sé stessa) a meglio interagire con quel mondo che si ripresenta, lasciandosi suggestionare in negativo da esso sempre in maniera meno nevralgica rispetto a ciò che accadeva in precedenza, all’inizio del suo percorso. 

Questa giovane donna è contraddistinta da grande volitività e da una resilienza impareggiabile, ingredienti che le saranno utili, assieme alla sua natura sensibile e sentimentale, a non venire meno dinanzi alle non poche difficoltà che le si presenteranno e alle quali saprà contrapporre soluzioni efficaci, degne di una vera Donna. 

Un romanzo molto ben costruito, denso di squarci lirici e di sguardi incantati, che tratteggia un percorso fatto di momenti non sempre facili che, nel tempo, l’hanno forgiata. Numerose le tematiche che le pagine del libro affrontano tra cui il tema del viaggio (e del trasferimento dal proprio luogo natale) rappresentato dal percorso intrapreso da Fabiola che, dal Veneto – via Bologna e Firenze – giungerà a Torvajanica per poi approdare alla Capitale; la durezza e il sacrificio del lavoro in un’occupazione pesante per una giovane ragazza e che non corrisponde alle sue aspirazioni ma al quale deve dedicarsi per potersi sostener economicamente; il difficile rapporto con i genitori, la nostalgia della sua terra d’origine, la solitudine e la mancanza d’autostima, il bullismo, la violenza di genere e, ancora, i riti di passaggio con particolare attenzione ai “riti della prima volta”: il (suo) battesimo (“recuperato” con un’analessi molto partecipata), la nascita del fratellino, l’arrivo del menarca, il primo rapporto sessuale. 

La protagonista Fabiola, che evidentemente è una figura molto vicina a quella della stessa Autrice, come lei apprezza molto il poeta Pier Paolo Pasolini, ama la poesia, partecipa ai concorsi letterari e ne vince parecchi. La Poesia è una presenza sicura e rassicurante che accompagna la donna costantemente, anche quando la sofferenza la pervade: «Eppure anche dentro quel lager la poesia non mi abbandonava mai, sentivo che mi voleva; voleva che io scrivessi di quel sangue, di quei muggiti, di quegli spari, di quei tonfi lì in terra» (24). Questo romanzo è un flusso di coscienza ininterrotto; l’introspezione è il metro primario che intesse le pagine ricche di sentimenti e pathos, di grande forza d’animo e resilienza, di continua ricerca interiore. Elementi che, dopo le traversie del percorso, fanno diventare Fabiola una donna matura e consapevole.

*Lorenzo Spurio, critico letterario e poeta