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Perché le donne non “Scappano”. Analisi criminologica del problema anche in tempo di Covid

A Noi osservatori esterni risulta difficile, quasi impossibile, capire come una donna possa vivere, per anni accanto a un uomo che la insulta, la denigra, la controlla e la picchia. A mio avviso è molto più facile considerarle come parte del problema, come corresponsabili della loro condizione, per questo ci chiediamo spesso perché le donne non reagiscono, più che chiederci perché l’uomo è violento.

Allora cerchiamo di capire come mai Le donne non vanno via.

 Le cause sono molteplici, possono essere di natura individuale, relazionale, sociale, culturale e queste cause creano quella rete che le blocca nella relazione malata. Non dobbiamo dimenticare che la violenza psicologica ha un potere bloccante: è la prima forma di violenza che entra in maniera subdola all’interno della relazione; è la violenza che è responsabile dell’annientarsi delle donne maltrattate, e quindi è causa della loro mancata ribellione. Attraverso la violenza psicologica si genera quel terreno fertile in cui la violenza fisica affonda le sue radici e aumenta la potenza in un’escalation che può arrivare fino al femminicidio.

 Gli insulti, le urla, il tono di voce minaccioso, ma anche, le critiche mortificanti e le svalutazioni continue attraverso i continui e innumerevoli messaggi nei quali si viene definita inutile, incapace, deludente, servono a creare uno stato di tensione ed insicurezza che portano alla sottomissione. Non vanno dimenticati gli sguardi e i gesti di disprezzo e denigrazione a cui si aggiungono i silenzi carichi di tensione utilizzati dal maltrattante per punire la donna. Pensiamo che questi atteggiamenti di violenza psicologica giorno dopo giorno diventano parte del rapporto di coppia, sono difficili da individuare fino a diventare parte integrante della vita della coppia.

Le parole non lasciano segni ma possono causare gravi e profondi danni nella psiche e nell’anima tanto quanto le violenze fisiche. La donna viene denigrata, umiliata, sottomessa, fino ad arrivare all’annullamento della sua capacità di pensiero, della sua personalità, del suo Sé, del suo essere persona, la sua indipendenza svanisce. È questo che imprigiona una donna all’interno di una relazione maltrattante, anche per anni.

Con il passare del tempo, Indebolendo l’autostima della donna, si verifica una frattura identitaria che inficia le sue capacità di resistenza e reazione che la portano ad essere più fragile, insicura e quindi più “controllabile”. Ed è proprio il controllo il perno della violenza psicologica. Controllo totale della persona: controllo delle spese, delle frequentazioni, del telefono, delle mail, del modo di vestire e molte volte anche di quando parlare. Un senso di possesso, e di controllo che porta l’uomo a considerare la donna come “sua proprietà”, la donna diventa un oggetto nelle mani del maltrattante. Questo controllo viene spesso giustificato dalla donna come “gelosia”.

L’isolamento diventa una caratteristica fondamentale del rapporto violento. Alle donne viene impedito di frequentare la famiglia, gli amici, di poter lavorare, studiare, viene minata la libertà personale. L’ostacolare non avviene in maniera di divieto ma è subdolo, si attua con richieste più o meno manipolatorie, che hanno il risultato di far ritrovare la donna sola senza che lei se ne renda conto. In questo modo l’uomo maltrattante “fa terra bruciata intorno alla donna” creando in lei una maggiore fragilità e una maggiore dipendenza da lui. In alcuni casi l’isolamento può arrivare fino alla segregazione accompagnato dalla paura. La paura è l’emozione che prevale su tutte le altre, la donna pensa di non avere alcuna speranza, alla paura si accompagna spesso il senso di impotenza, si convince di essere lei la responsabile di quella situazione e questo contribuisce a rende ancor più difficile per la donna chiedere aiuto.

Tutto ciò porta ad un Aumento del “tempo del silenzio”, della non denuncia: più la donna si sentirà sbagliata, colpevole, più difficile sarà per lei parlare con qualcuno.

La donna capirà che è arrivato il momento di dire “Basta” quando il maltrattante potrebbe far del male anche ai suoi figli, o quando sono gli stessi figli a chiederle di andare via, di allontanarsi da quell’uomo, a volte perché il cuore batte talmente forte che sembra uscire fuori dal petto e le fa percepire che il rischio per la propria vita è ormai troppo alto.

Per ogni donna, il momento e il motivo che l’ha portata a dire Basta sarà il momento della propria rinascita. Il momento in cui rompe quel silenzio fatto di paura e inizia il lungo e difficile percorso di uscita dalla violenza che la porterà a prendere coscienza della propria forza e capacità. È in quel momento che si recidono le catene invisibili di cui la violenza psicologica ha gettato le basi e su cui la relazione maltrattante si è andata costruendo. Quello sarà il momento in cui verrà riprogettato il suo futuro ripartendo da Sé e dai propri bisogni. Un momento e un percorso di cui io sono compagna di viaggio, cento, mille volte e che ancora oggi mi commuove perché è il momento in cui quelle donne si riconoscono, scoprono il valore di Sé e delle loro capacità.

In queste settimane passate di emergenza, il dato che abbiamo riscontrato è stata una diminuzione delle denunce: le donne rinchiuse in casa con i loro maltrattanti non chiedevano aiuto perché Le condizioni di isolamento imposte causa emergenza aumentavano le possibilità di controllo e di limitazione della libertà della donna, ma analizzando alcune richieste pervenutemi, riscontravo un altro problema: dove inviare la donna con i minori dato che le case rifugio pretendevano il tampone. Un dramma nel dramma.

Ho ammirato la decisione del capo della Procura di Trento che ha emanato una direttiva perché sia il maltrattante ad essere allontanato in caso di abusi, e non la donna che spesso peraltro vive quell’incubo con dei figli minori al seguito. In Italia non ci sono linee guida, ma solo buone prassi; è questo forse il vero limite degli Uffici che amministrano la giustizia.

Vorrei concludere dicendo che non è giusto far passare l’idea che quella della violenza domestica sia un’emergenza nell’emergenza. La violenza è un fenomeno purtroppo normale, quotidiano e diffuso, i dati istat, che ho esaminato pochi giorni fa, ci dicono che il trend dei femminicidi non è cambiato rispetto allo scorso anno. L’emergenza è reale e si annida dentro a una drammatica contingenza, bisogna finanziare progetti per educare i ragazzi al rispetto dell’altro e lavorare molto sulla cultura che è radicata nelle nostre generazioni ma allo stesso tempo dobbiamo proteggere le donne.

*Maria Pia Turiello, criminologa forense, esperta in violenza di genere mediatore nell’alta conflittualità