OSIRIS-Rex: Il cielo tra le mani
Sulla Terra campioni di roccia provenienti da un asteroide che potrebbero svelarci la nascita della vita sul nostro pianeta
Lo scorso 24 settembre, la missione della NASA OSIRIS-Rex ha rilasciato sulla Terra una capsula molto preziosa: contiene al suo interno, infatti, dei campioni di roccia provenienti da un asteroide. Campioni che potrebbero raccontarci la nascita della vita sulla Terra.
“Quanno se dice che semo fiji de’e stelle,
credeteme, nun se dice pe gnente ‘na fesseria.
A’a fine famo parte de’o stesso universo de quelle,
e l’atomi nostri so’ li stessi loro, come in una granne famija!”
Mi sono permessa di iniziare questo articolo con dei miei versi scritti in un post della mia pagina “Roma Caput Astri” proprio in relazione a quanto vi sto per raccontare. E quello che dico in questi versi è vero: noi siamo figli delle stelle, perché gli elementi che costituiscono la vita per gli esseri viventi si sono formati con le esplosioni delle Stelle alla fine della loro prima vita (le Supernovae). A me fa sempre un certo effetto: mi ricorda quanto noi facciamo parte dell’Universo che ci circonda, letteralmente.
E’ importante pensare a questo soprattutto quando siamo in un momento in cui abbiamo tra le mani dei campioni provenienti da un asteroide, un vero e proprio “pezzo di cielo”. Non è la prima volta, in realtà, che collezioniamo briciole spaziali: durante le missioni Apollo, ben 400 kg di materiale lunare è stato rimportato a Terra, da sommare a quello riportato dai russi (con le missioni Luna) e dai cinesi (con la missione Chang’e 5). Inoltre, le due sonde giapponesi Hayabusa e Hayabusa 2 hanno collezionato campioni dai due asteroidi Itokawa e Ryugu.
Stavolta, però, c’è qualcosa di più. Ma andiamo con ordine.
L’8 settembre del 2016, il razzo Atlas V 411 è partito dal complesso di lancio 41 di Cape Canaveral e ha portato nello spazio la sonda OSIRIS-REx (Origins, Spectral Interpretation, Resource Identification Security – Regolith Explorer), sviluppata dalla NASA nell’ambito del programma New Frontiers. Si tratta di una missione “Sample Return” (“restituzione del campioni”): il suo scopo, cioè, è stato quello di raccogliere dei campioni di roccia spaziali e riportarli sulla Terra. I campioni che ha dovuto raccogliere sono quelli dell’asteroide Bennu (nome tecnico, terribile come al solito, 1999 RQ36), scoperto nel 1999 e chiamato come un’ antica divinità-uccello egizia dal piccolo Michael Puzio (9 anni), vincitore di una gara apposita (la NASA coinvolge molto spesso la gente e ripeto, dovremmo davvero imparare da loro in questo caso.)
Ovviamente la scelta dell’obiettivo non è stata casuale. Anzi, la NASA dà ben dieci buone ragioni tra le quali: la sua vicinanza alla Terra, che ha reso più semplice il suo raggiungimento; le sue dimensioni, tali da evitare una rotazione troppo rapida (500m di diametro, di poco maggiore all’Empire State Building); una roccia molto “franabile”…scusate…. friabile (citazione per i Millennials come me), capiremo dopo il perché questo è importante; e soprattutto il fatto che sappiamo la sua composizione odierna è la stessa che aveva a “soli” dieci milioni di anni dalla formazione del sistema solare. Quest’ultima caratteristica è essenziale: essendo Bennu un rimasuglio di quanto colpì il nostro pianeta durante quella fase bellissima e traumatica che fu la sua formazione, dai campioni raccolti potremmo imparare moltissimo sull’origine della vita sulla nostra Terra. Se, per esempio, dovessimo trovare tracce di molecole organiche (come il Carbonio), sarebbe un’indicazione molto valida che gli asteroidi abbiano avuto un ruolo fondamentale a riguardo. Ma non è finita qui.
Come ben sappiamo, gli asteroidi sono anche dei “pezzi di cielo” da tenere costantemente d’occhio e i calcoli ci dicono che Bennu passerà molto vicino alla Terra (tra Terra e Luna, quindi a meno di 300000 km da noi) nel 2135. Per dirla tutta, si stima che la probabilità che possa impattare con la Terra sia 1/2000 tra il 2175 e il 2199; motivo per cui conoscerlo meglio aiuterà a saper agire nel miglior modo per deviarlo in caso di minaccia confermata (come abbiamo iniziato a fare con la missione DART, ricordate?).
Ma come si è svolto il viaggio di questa sonda?
Dopo il lancio e un lungo viaggio durato circa due anni, OSIRIS-Rex è arrivata nei pressi di Bennu nel dicembre 2018 e da quel momento è entrata in orbita attorno all’asteroide, a circa 770 m di altezza. E’ rimasta lì per ben due anni a mappare, analizzare, accumulare più informazioni possibili finché, nell’ottobre del 2020, ha finalmente iniziato la sua discesa verso un cratere ben preciso, Nightingale – Usignolo, nell’emisfero Nord di Bennu. OSIRIS-REx ha prima attivato i propulsori per abbandonare l’orbita, poi ha regolato posizione e velocità per rendere sicura la parte finale della discesa (a circa 125 m) e infine, quando si è trovata a circa 54 m di altezza sopra il cratere, ha usato i retrorazzi per sincronizzarsi con il periodo di rotazione dell’asteroide, in modo da restare ferma rispetto al punto d’atterraggio (esattamente come fanno i nostri satelliti “geostazionari”, che ruotano col periodo esatto della Terra). A questo punto, è scesa a una velocità di 10 m/s, senza più accendere i razzi per non contaminare la superficie di Bennu, finché il suo braccio robotico (TAGSAM (Touch-and-Go Sample Acquisition Mechanism)) ha toccato la la superficie, con soli 75cm di errore rispetto a quanto calcolato sulla Terra, prima della sua partenza. Questo sempre per sottolineare l’immenso potere della fisica e della matematica.
Il tocco è durato solo 5 secondi (manovra “Touch & Go”, come il “Kiss&Go degli aeroporti e delle stazioni) durante i quali è stata azionata una delle tre cariche di nitrogeno a disposizione, in modo tale da sollevare circa 6 tonnellate di terreno (capite ora l’importanza della sua “franabilità”…scusate…friabilità?) delle quali, circa 250 grammi sono stati raccolti da OSIRIS-REx. Come? Con dei dischetti di velcro metallico che si sono sporcati di polvere superficiale. L’obiettivo era portarne via almeno 60 grammi quindi operazione riuscita “alla grandissima direi”.
Ribadisco che tutto ciò è stato fatto in modo automatico perché, a 300 milioni di km, il segnale impiega circa 18 minuti per viaggiare da noi all’asteroide e quindi mandare i comandi da Terra sarebbe stato alquanto complicato.
Insomma, ottenuti i campioni, la capsula di OSIRIS-Rex si è chiusa in modo da proteggere il preziosissimo carico. La sonda, a quel punto, ha dovuto aspettare il maggio 2021 per avere le condizioni perfette per iniziare il suo viaggio di ritorno di circa 2 miliardi di km (ricordiamoci sempre che non si viaggia in linea retta nello Spazio). Proprio poche settimane fa, il 24 settembre 2023, OSIRIS-Rex ha raggiunto una distanza di circa 100 mila km dalla Terra e lì ha rilasciato il suo “One-Piece”, la sua capsula col preziosissimo carico, esattamente all’angolo giusto per farla atterrare nell’area stabilita di circa 400 km2 nel deserto dello Utah (vicino al Department of Defense’s Utah Test and Training Range). Quattro ore dopo il rilascio, la capsula è entrata in atmosfera a una velocità di circa 435000 km/h (la Stazione Spaziale Internazionale, per confronto, ha una velocità di 28000 km/h e fa un giro della Terra in un’ora e mezza). Durante la sua discesa, l’atmosfera stessa l’ha rallentata, opponendo una forza pari a 32 volte la forza gravitazionale terrestre: quindi i preziosi campioni hanno subito un trauma abbastanza importante. A due minuti dall’inizio della discesa, raggiunta una velocità pari a circa 1,4 volte quella del suono, ha rilasciato il suo primo paracadute. Quello principale è stato rilasciato a circa 1,5 km dal punto d’atterraggio e l’ha rallentata fino a 18 km/h, in modo che potesse appoggiarsi dolcemente, o quasi, a Terra. Una volta atterrata, una squadra di recupero l’ha prelevata con molta cura, l’ha trasportata nel sopracitato “Department of Defense’s Utah Test and Training Range” dove le componenti della capsula sono state estratte e imballate per poi volare al Johnson Space Center della NASA, in Texas, dove sono arrivate il 25 settembre scorso. Qui la capsula è stata aperta per separare il TAGSAM e inserirlo in un contenitore pieno d’azoto, sigillato, il tutto per evitare che, smontando, si andasse a contaminare il campione. A questo punto sono iniziate le analisi, analisi che stanno andando a rilento ma per ottime ragioni: è stato raccolto molto più materiale del previsto! Lindsay Keller, membro della squadra di analisi, afferma cge utilizzeranno tecniche tali da tagliuzzare il materiale fino a livello atomico, in modo da analizzare tutto il più a fondo possibile con microscopi elettronici, raggi X e Infra-Rossi.
E OSIRIS-Rex? Beh, prima di tutto la sonda ha acceso i motori per deviare la sua traiettoria ed evitare la collisione con la Terra ma non si andrà a perdere nello Spazio profondo. Anzi, potremmo dire che sta iniziando una sua seconda vita. Dopo essere entrata in un’orbita ellittica attorno al Sole, che la porterà molto vicino a Venere, e noi potremo testare i limiti del suo scudo termico, nel 2029 inizierà un viaggio verso un altro asteroide, Apophis (e per questo la missione ha cambiato nome in OSIRIS-APEX (APophis EXplorer)): questo asteroide divenne famoso circa 20 anni fa perché era stato stimato che nel 2029 ci sarebbe stata una probabilità di impatto con la Terra pari a 3/100… altina eh? Fortunatamente, studi successivi basati su tecniche e informazioni più avanzate, hanno scongiurato questa possibilità (quindi potete respirare di nuovo). In tutto questo, la guida di OSIRIS-Rex è una specie di bussola creata nientepopodimenoché in Italia, nei laboratori Leonardo nei Campi di Bisenzio.
Mentre state leggendo, chissà se le analisi apportate sul prezioso carico che Bennu ci ha regalato hanno iniziato a raccontarci qualcosa di straordinario sulla formazione del nostro Sistema Solare e sull’origine della vita sulla Terra. Una cosa è certa: “Esiste fare o non fare. non esiste provare.” E nello Spazio, noi proviamo. Sempre.
Fonti:
https://blogs.nasa.gov/osiris-rex/
https://science.nasa.gov/solar-system/why-bennu-10-reasons/
https://science.nasa.gov/solar-system/asteroids/101955-bennu/facts/
https://www.media.inaf.it/tag/osiris-rex/
*Martina Cardillo, astrofisica