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“Nuda memoria” di Marilena Ferrante, Set Art Edizioni, 2024

Sempre possedere e aver posseduto cose perdute

C’è un tempo che si sottrae allo scorrere interminabile degli istanti, che scivola via e per un po’ non teme di evadere dal flusso subitaneo e infinito dell’esistenza. Un tempo che rappresenta una memoria personale, dunque un’esperienza autobiografica, o un ricordo, se ricordare allude a quella radice etimologica che ha nel cuore (dal lat. recordari, ovvero “rimettere nel cuore”) il centro principale di un movimento che si configura come tenace resistenza al tempo. È dunque proprio la memoria il cuore lirico di Nuda memoria, la nuova raccolta in versi di Marilena Ferrante, edita dalla Set Art edizioni (Padova, 2024), in un’accezione di verità che si configura fin dal titolo come “nuda”, rivelatrice di un canto che è sia summa delle tematiche care all’autrice, sia dichiarazione di un io che nel canto si rivela e si ritrova.

Il ritorno alla poesia per la molisana Marilena Ferrante, scrittrice e poetessa, giornalista pubblicista e docente di Isernia, voce apprezzatissima di “Now Is Radio” nella rubrica culturale “Ti racconto un libro” e vicedirettrice della testata giornalistica WordNews.it, autrice tra le altre delle raccolte poetiche Quel che avrei potuto dirti (Volturnia Edizioni, 2015), Un passo dal cuore (Volturnia Edizioni, 2016) e del romanzo La neve di marzo (L’Erudita, Perrone Editore, 2021), torna in libreria con un testo poetico che si pone come un canto della memoria: «Giace la sera/ nelle scomposte sensazioni dell’anima/ e inganna i nostri volti/ con il vissuto del tempo/ che si aggrappa al tempo» (p.16). La memoria episodica e la memoria epifanica nella raccolta si incontrano e diventano nella mitopoiesi letteraria occasione per approdare ad una interiorizzazione del tempo, che non è più soltanto fatto biologico, elemento transeunte e oggettivo su cui si riflette la transitorietà della esperienza umana, ma rappresenta, in linea con la poesia moderna, lo specchio di quella soggettivazione dell’io che dal particolare sa farsi voce universale: «Essere qui per essere altrove/ giocare con le carte/ e temere di perdere/ un’esistenza mai voluta.// Trovare il centro dei pensieri/ per essere equidistante/ dalla gioia e dal dolore. // Scoprire che il passato non c’è più/ e il presente deve ancora venire.// L’alba è lì che aspetta un nuovo giorno» (p.50). Ecco il paradosso: il tempo che non c’è più e che può tuttavia continuare ad esistere attraverso il ricordo, la memoria eternizzante che si pone come sottrazione alla precarietà della vita, e il tempo antagonista capace tuttavia di cancellare e portare via «il vissuto del tempo/che si aggrappa al tempo». La Ferrante evoca volti e sapori, riesuma sorrisi e baci e amori, volti di madri e padri e di bambini anonimi di paesi lontani, vittime di guerre e di maree, perché tutto si vuole salvare dal mare della vita, tutto si vorrebbe stringere ancora, assaporare come una pioggia di aprile, prima di una nuova primavera: «Del mare sento/ lo sciabordio delle onde,/ si infrangono sulle ferite del cuore […] Vorrei essere un’onda libera di infrangersi, di scomporsi e ricomporsi nella meravigliosa solitudine di chi supera le tempeste nonostante tutto» (p. 15). La poetessa raccoglie emozioni e immagini che si imprimono in un canto ora emotivamente accorto ora più attento alla prosaicità della riflessione, in cui la poesia costruisce un mosaico esistenziale di luci e ombre che tuttavia non si sottrae alla speranza. “Nell’occhio che riscopre la luce”, per dirla con Quasimodo (Quasimodo, “Non ho perduto nulla”, Poesie), o forse solo in quelle cicatrici e in quegli stornelli di pace. Nell’amore che è certezza e nuda presenza, nella vita che sempre muta e toglie e dà, «per poter dire sempre di possedere/ e aver posseduto cose perdute» (p.63).

*Laura D’Angelo, scrittrice, poetessa