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Nucleare: Un Treno Perso… o in Ripartenza?

Per decenni l’Italia ha guardato il nucleare a dir poco con sospetto, come un treno che passava veloce senza mai fermarsi davvero – anzi, molti hanno sperato e hanno lavorato attivamente affinché lasciasse la nostra stazione, possibilmente per sempre (e se ne vantano). Oggi, però, qualcosa sta cambiando: la necessità di energia pulita, sicura ed economica riporta il nucleare al centro del dibattito. Ma è davvero un treno perso… o siamo pronti a farlo ripartire? E soprattutto, ci converrebbe?

Se lo chiedono in molti ormai, come testimonia anche la mia recente partecipazione all’incontro ‘Ritorno al Nucleare’, organizzato a Roma lo scorso 6 dicembre dall’associazione ‘Ripensiamo Roma’. In quell’occasione alcuni esperti hanno risposto a una serie di domande di interesse generale sull’energia (l’incontro si trova online). Ma non essendo riuscito, per motivi di tempo, a esporre in maniera organica la mia visione sull’argomento, cerco di farlo nelle poche righe che seguono e che forse gli interessati all’argomento apprezzeranno.

Devo fare una doverosa premessa però, al fine di risparmiare il tempo dei lettori. Chi crede che argomenti squisitamente tecnici e complessi possano essere trattati per slogan, o che al massimo basti leggere qualche pagina propagandistica sull’argomento (perché, ve lo garantisco, nella stragrande maggioranza dei casi di questo si tratta) per farsi una idea chiara ed esaustiva sull’argomento, può smettere di leggere qui ed evitare di perdere altro tempo.

Per i lettori che sono giunti a questo rigo invece, vorrei proporre delle riflessioni che forse potrebbero essere di interesse per stimolare un dibattito informato (e quindi ‘sano’, dal mio punto di vista) sull’argomento. Sì, perché se è vero che siamo in democrazia e ognuno può esprimere la propria opinione, è altrettanto vero che su argomenti squisitamente tecnici, per esprimersi con cognizione di causa (come credo ognuno dovrebbe avere il diritto di poter fare), è necessario disporre di informazioni affidabili. Se non siete d’accordo con questa impostazione, per la seconda volta, vi invito a non perdere altro tempo con questo articolo ed a fermarvi qui.

Se siamo d’accordo invece, facciamo un piccolo test. Sono sicuro che la stragrande maggioranza dei lettori ha una propria opinione sulla tematica del nucleare, che in qualche modo le è stata inculcata, sia che si tratti di favorevoli che di contrari.

Allora mi chiedo: quanti sanno che a oggi oltre un quinto dell’energia prodotta in Unione Europea è prodotta con la fonte nucleare, dove i reattori nucleari sono 103 (contando solo quelli che producono energia e non includendo quelli militari e quelli usati per la ricerca!) – negli Stati Uniti sono ‘solo’ 93 – e che i reattori entro un centinaio di chilometri dal confine italiano sono ben 12?

Quanti sanno che i reattori nel mondo ad oggi, nel momento in cui scrivo, sono 416, con 63 nuove unità in costruzione (in barba a chi dice che è una tecnologia vecchia che nessuno vuole)?

Forse il lettore vorrebbe – o avrebbe voluto sapere – che se utilizzasse la sola energia nucleare per tutti i fabbisogni della sua vita, produrrebbe un volume di scorie pari a una lattina da 33 cl, peraltro trattabili attraverso vetrificazione con vetri di tipo vulcanico sviluppati apposta, e stoccate in siti geologici progettati per questo scopo. Non si tratta di fantascienza, ma di tecnologie che vengono studiate e sviluppate oggi e nel mondo reale, come nel sito finlandese di Onkalo (che dovrebbe divenire operativo già l’anno prossimo). Peraltro vi do una notizia: i siti geologici per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi – e lo dico perché ne ho visitati un paio, in Francia (a Bure) e in Belgio (a Mol) – non sono dei tunnel in cui si buttano dei bidoni (come spesso si vede in certi giornali o in tv), ma sono dei laboratori di radioprotezione ad altissima tecnologia. Che infatti le comunità di alcuni Paesi (nella fattispecie mi riferisco alla Svezia), che ci crediate o no, si contendono (per i benefici che ne derivano dall’ospitare questi siti)… Invito gli scettici a visitare queste realtà di persona.

Forse lo stesso lettore sarebbe interessato – e avrebbe il diritto di sapere – che a Fukushima nessuno è morto per le radiazioni della centrale (anche se il danno è stato significativo), e che il tanto citato incidente di Chernobyl è avvenuto in un reattore che in Italia non si sarebbe mai potuto costruire (perché non sarebbe mai stato autorizzato), né tantomeno accendere, visto che era progettato per un ‘dual use’ (in poche parole, per la produzione di energia e plutonio – operazioni che in occidente sono ben separate!), tant’è vero che non fu mai costruito in alcun Paese satellite dell’area COMECON. La natura di quel reattore (l’RBMK), per chi è interessato ai dettagli tecnici, non consentiva di realizzare un edificio di contenimento (presente invece in tutti i reattori al di qua della cortina di ferro) che contenesse eventuali fuoriuscite di radioattività, e perlopiù presentava un ‘coefficiente di reattività positivo’ (un tecnicismo complesso da spiegare, ma in poche parole, una caratteristica che lo rendeva potenzialmente instabile, in certe particolari circostanze). Peraltro giova ricordare che lo stesso reattore di Chernobyl non avrebbe dato nessun problema se non si fosse deciso di condurre un folle esperimento e si fossero rispettate le normative che pure erano ben stabilite e note (perché dovete sapere che il reattore non è esploso durante il normale esercizio di produzione energetica, ma piuttosto quando degli incoscienti – con meriti di partito – hanno deciso di ‘giocarci’).

Magari, sempre lo stesso lettore, sarebbe interessato a sapere che il nucleare rappresenta una delle fonti di produzione energetica più economiche, checché se ne dica, specie una volta che il costo dei reattori è stato ammortato (il costo del kWh nucleare si aggira fra i 3 ed i 7 centesimi – tenendo conto anche della gestione delle scorie e del futuro smantellamento dell’impianto! – per scendere a 2-3 centesimi una volta che il costo di costruzione, che rappresenta circa il 70%, è stato coperto). Tant’è vero che paesi come l’India, il Bangladesh, la Nigeria o il Kenya hanno in progetto di costruire impianti nucleari. Qui qualcuno dirà che lo fanno perché vogliono la bomba atomica. Chiariamo una cosa una volta per tutte: l’industria civile e quella militare non sono correlate. La Svezia, il Belgio, la Svizzera, o il Canada (e molti altri) hanno sviluppato poderosi programmi nucleari civili senza mai costruire armi atomiche, mentre nazioni come Cina, Francia o gli stessi USA e URSS hanno realizzato i loro programmi militari ben prima e del tutto indipendentemente dai loro programmi civili, questo è un fatto storico (facilmente verificabile).

Nel nostro Paese si dice che per costruire una centrale nucleare ci vogliono vent’anni: beh, sappiate che negli Emirati Arabi Uniti i coreani hanno costruito e messo in esercizio gli impianti nucleari di Barakah in 8 anni. Ovviamente, questo dipende dalla serietà e capacità del costruttore e del Paese che decide di intraprendere la strada nucleare: semplicemente, se non sei convinto o non sei capace, dovresti lasciar perdere questa opzione, in effetti.

E qui qualcuno dirà che noi italiani ci metteremmo almeno il doppio del tempo… perché siamo italiani, quindi ‘automaticamente’ cialtroni! Ebbene, io personalmente rigetto al mittente questo tipo di discorsi. In primis, perché da ingegnere nucleare che lavora all’estero, posso assicurarvi che gli italiani, quando ci si mettono, sono bravi come – e spesso anche più – degli altri, e questo ci è abbondantemente riconosciuto. Questo fatto lo menzionava in una celeberrima intervista anche il compianto Indro Montanelli, molti anni fa, del resto. Vorrei inoltre sommessamente ricordare che noi, in Italia, i reattori nucleari li abbiamo già costruiti in passato: la centrale Enrico Fermi, di Trino Vercellese, si iniziò a costruirla nel luglio del 1961, per completarla nell’ottobre del 1964 e metterla in esercizio nel gennaio del 1965 (il tempo medio di costruzione delle 4 centrali italiane è stato di 6,1 anni).

Infine, ultimamente si fa un gran parlare di piccoli reattori modulari (SMR), e francamente se ne sente di ogni, visto che ognuno come al solito ‘spara’ la sua. Ebbene, sappiate che gli SMR non sono nati per sostituire i grandi reattori di potenza (che sono considerati più convenienti economicamente), ma per fornire energia in aree isolate e disagiate non raggiunte dalla rete elettrica tipicamente. È anche vero che presentano delle caratteristiche peculiari, quali la modularità (cioè, dovrebbero essere realizzati in larga parte in officina e messi in esercizio in tempi molto più brevi rispetto ai grandi reattori di potenza) e il fatto che i costi di investimento iniziali sono molto più bassi (ma attenzione, questo non significa che presentino un costo per kWh prodotto più basso). Sappiate che, al contrario di quello che alcuni dicono, gli SMR esistono già: citiamo il caso della Akademik Lomonosov, centrale nucleare galleggiante che fornisce energia alla cittadina di Pevek (in Siberia) con un reattore KLT-40S, oppure quello del reattore HTR-PM, alimentato con combustibile innovativo (TRISO) e raffreddato ad elio (quindi, di fatto un concetto di quarta generazione, peraltro copiato da un prototipo sperimentale tedesco degli anni ’60, denominato AVR!), che non solo esiste, ma già immette energia in rete nella baia di Shidao (in Cina, sul Mar Giallo) dal dicembre 2021. Per chi volesse saperne di più, tutte queste – e molte altre – informazioni sono raccolte in un libro sugli SMR di cui sono co-autore assieme ad Alessandra Di Pietro e Massimo Sepielli (di cui, a scanso di equivoci, preciso che non percepisco nemmeno un centesimo).

Potrei continuare ancora molto a lungo, ma qui mi fermo. Il fine di queste righe, se avrete avuto la pazienza di leggermi fin qui, non è quello di fornirvi informazioni specifiche sull’argomento, che di per sé, come avrete capito, è ovviamente un ‘mare magnum’. Piuttosto, il fine è quello di stimolare la curiosità del lettore e indurlo a verificare scrupolosamente le informazioni riportate qui sopra. Sarebbe ideale se questo divenisse un metodo di lavoro su tutte le questioni di questo tipo. Una volta scoperto che le informazioni riportate sopra sono tutte rigorosamente vere, forse ci si comincerà a chiedere come mai, nonostante anni di chiacchiere, articoli, speciali, e chi più ne ha più ne metta, non le si sapeva e se, prima di farsi una opinione, il lettore avrebbe voluto saperle. Sono certo sarà un esercizio utile.

Perché vedete, cari lettori, qui non si tratta di essere pro o contro il nucleare. Qui si tratta di una questione metodologica: come affrontiamo le sfide di fronte a noi, e come ci vediamo fra 10 o 20 anni a partire da adesso. Per far questo serve gente che possa e voglia guardare lontano, magari con uno sguardo alle prossime generazioni, piuttosto che alle prossime elezioni o alle copie in stampa in questo momento. Il futuro dell’energia non aspetta chi rimane fermo. Il treno del nucleare sta passando di nuovo. Questa volta, abbiamo la possibilità di salirci sopra (e forse è l’ultima). Siamo pronti a guardare lontano?

*Vincenzo Romanello, ingegnere nucleare