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Non solo Caravaggio

Il Museo Regionale Interdisciplinare di Messina

Noto soprattutto per conservare le due tele di grande formato di Michelangelo Merisi da Caravaggio, (1571-1610) ossia la “Resurrezione di Lazzaro” e l’”Adorazione dei pastori, il Museo Regionale Interdisciplinare di Messina (Viale della Libertà 465) illustra l’arte figurativa locale dal XII al XVIII secolo e custodisce opere pregevoli esposte in sale dai differenti colori, che rispondono a un preciso criterio cronologico ed espositivo. Allestita nella ottocentesca filanda Mellinghoff fin dalla sua istituzione, avvenuta nel 1914, la collezione è oggi ospitata in nuova sede di oltre 4700 mq, che raccoglie un ricco patrimonio recuperato fra le macerie del terremoto che colpì Messina nel 1908 e proveniente dalle collezioni del Museo Civico Peloritano. Essenziale la sezione archeologica per la conoscenza dell’antica Zancle-Messana, fondata nella seconda metà dell’VIII secolo a.C. dai Greci, in cui si conserva il rostro bronzeo del III/I secolo a.C., rinvenuto al largo di Capo Rasocolmo.

Ph. Valentina Motta

Tra le testimonianze artistiche più antiche, invece, si annovera la “Madonna in trono con Bambino” opera di non meglio identificate maestranze italo-greche attive nel XIII secolo. Se l’espressione ieratica di Maria, seduta su una cattedra circolare, risulta in linea con le iconografie del tempo, più originale è l’invenzione del monaco genuflesso (forse San Benedetto), a cui la Vergine porge un cartiglio; il tutto alla presenza divina, la cui manina cala dall’alto quasi a voler insignire Maria di regalità e potere.

Ph. Valentina Motta

A un non precisato pittore fiammingo si riferisce la curiosa opera “Pietà e simboli della Passione” (ultimo quarto del XV secolo), recuperata dalle macerie del terremoto del 1908. Con un gusto quasi aneddotico l’ignoto artista sintetizza sulla tavola simboli e figure ascrivibili a episodi della vita di Cristo come, ad esempio, il gallo, riferibile al tradimento ad opera di Giuda, o il volto di soldato rappresentato nell’atto di sputare, riconducibile all’iconografia del “Cristo deriso”; e, ancora, mani che tengono verghe o che si lavano, pale, tenaglie e teschi allusivi alla Crocifissione e così via. Con un linguaggio naturalistico, vivace e dovizioso di particolari il pittore “narra” all’interno della stessa superficie pittorica più momenti, culminanti nella commovente scena centrale in cui Maria sostiene sulle ginocchia il corpo ossuto del figlio morto.

Ph. Valentina Motta

Come, poi, non parlare di quell’Antonello (1430 ca. – 1479), che dalla città siciliana ha preso nome? Oltre a una delicata, piccola, tavoletta lignea dipinta con la “Madonna e il Bambino” (recto) e l’”Ecce Homo” (verso), probabilmente destinata a uso di preghiera privata, il Museo conserva il ricomposto, lacunoso “Polittico di San Gregorio” (1473) con la Madonna in trono tra Angeli, i Santi Gregorio e Benedetto, l’Angelo Annunciante e la Vergine Annunciata. Umana, elegante e soave la figura nello scomparto centrale di Maria, che tiene sulle ginocchia il Bambino, cui al collo è appesa una collana di corallo rosso, elemento allusivo alla futura Passione di Cristo, così come le ciliegie, che egli prende dalla mano della madre. Ancora tradizionale quanto a impostazione, il Polittico presenta elementi di modernità nella concezione dei personaggi dagli sguardi vividi e dai gesti concreti, pur nella loro bellissima, aurea sacralità.

Ph. Valentina Motta

Pochi sanno che il grande Maestro messinese ebbe un nipote, che portava lo stesso nome, anch’egli pittore. Ad Antonello de Seliba (1467-1535) si riferiscono sia la “Madonna del gelsomino” sia, forse, il “Cristo alla colonna”, databile agli inizi del XVI secolo, rimarchevole per il sentito patetismo e l’attenzione alla resa luministica, figura vera e umanissima nel suo dolore di uomo ferito, ma dignitoso.

Ph. Valentina Motta
Ph. Valentina Motta

Tra dipinti, sculture, manoscritti, mosaici e perfino una carrozza reale il percorso si snoda attraverso sale appositamente dedicate a una precisa scuola artistica o a un periodo specifico fino ad arrivare ai due capolavori assoluti della collezione: le grandi tele di Caravaggio, collocate una accanto all’altra in una stanza a loro riservata. L’artista, a Messina dal 1608, realizzò due opere diverse tra loro, ma di analoga intonazione spirituale: più cupa la “Resurrezione di Lazzaro”, più intima e mistica l’”Adorazione dei pastori”. Accumunate dalla resa chiaroscurale, cifra stilistica di Caravaggio, resa ancora più accentuata negli anni del soggiorno messinese rispetto alla produzione precedente, le due opere sono testimonianza del periodo trascorso nella città siciliana, terminato già nel 1609, ma sono anche una manifestazione della varia e stratificata cultura messinese, dovuta alle differenti dominazioni avvenute nell’isola nonché agli scambi artistici tra popolazioni e scuole artistiche: tutto ciò è ben esemplificato e documentato dal Museo Regionale Interdisciplinare di Messina, un museo che sorprende per la ricchezza e la bellezza delle sue collezioni, ancora poco note – è vero –, ma sicuramente da valorizzare e scoprire.

*Valentina Motta, scrittrice