Nel Backstage di un lavoro scientifico
Cosa c’è dietro al mestiere di un’astrofisica?
Probabilmente vi aspettereste un articolo su uno dei tanti eventi astronomici di questi passati due mesi: la cosiddetta cometa “di Neanderthal” (nome tecnico, bruttino come al solito, “C-2022-E3-ZTF”), chiamata così perché passata dalle nostre parti circa 50000 anni fa, un asteroide (2023 BU) passato vicinissimo alla nostra terra (a 1/10 della distanza della Luna) e un altro che ha preso il nome di una cagnolina, Pimpa, e per finire Perseverance, il rover marziano che ha lasciato sparsi sulla superficie del pianeta rosso 10 campioni di roccia marziana che un domani verranno raccolti dalla missione Mars Sample Returns. Ma devo deludervi. Per avere dettagli su questi eventi, vi rimando alla mia pagina facebook “Roma Caput Astri”, e per trovare approfondimenti più generali su comete, asteroidi e sulla missione Perseverance ai numeri 10, 15 e 6 di Verbum Press, rispettivamente. Per questo numero, ho deciso di scrivere un articolo “sui generis”.
Ho pensato infatti che per ogni mestiere, per chi non fa quel mestiere è difficile capire le dinamiche che conducono a un certo risultato. Per questo ho pensato di raccontarvi meglio cosa c’è dietro al mestiere di un astrofisico, in particolare di un astrofisico del mio campo.
Premessa importante. A prescindere dal campo di applicazione, c’è un fattore comune alla scienza tutta che ne rappresenta l’essenza più pura, ed è il metodo scientifico “creato” dal nostro Galileo: osservazione, ipotesi, esperimento e misura, ripetizione della misura, conferma o negazione dell’ipotesi. Solo in caso di conferma sperimentale ripetuta, l’ipotesi di partenza potrà diventare una certezza scientifica. Questo metodo è più prezioso del Tesseract asgardiano, ricordatevelo.
Torniamo a noi. Io lavoro nel campo dell’astrofisica gamma, la radiazione più energetica che esista, prodotta dal nostro Sole ma anche da tutte le sorgenti cosmiche più potenti: resti di supernova, pulsars, buchi neri. Andando ancora più nel particolare, con lo studio della radiazione gamma cerco di capire quali sorgenti accelerano i raggi cosmici, particelle ad altissime energie che provengono da ogni parte dell’universo e ci bombardano costantemente. Mi definisco fenomenologa perché ritengo che il mio lavoro sia a cavallo tra la teoria e l’esperimento e cerco, in un certo senso, di legare questi due mondi. Gli esperimenti a cui sono particolarmente legata nella mia vita da ricercatrice sono AGILE, un satellite gamma che orbita attorno alla Terra dal 2007, e ASTRI Mini-Array, un insieme di 9 telescopi Cherenkov (per energie gamma ancora più alte) che stiamo costruendo sull’isola di Tenerife (Canarie). Tutto molto affascinante vero? Ma in pratica, che cos’è che faccio per produrre un risultato scientifico?
Fase 1: decidere cosa osservare – Il cielo è letteralmente infinito e non è che i nostri strumenti possano puntare sempre ogni sua regione, quindi bisogna scegliere con cura quale sorgente vogliamo studiare. Per farlo, dobbiamo partire dal nostro interesse scientifico (nel mio caso capire l’origine dei raggi cosmici galattici) e studiare quanto si conosce su quell’argomento, sia da un punto di vista sperimentale (analizzando dati in altre bande dello spettro elettromagnetico, dal radio all’ottico ai raggi X) sia da quello teorico. Spulciando nella letteratura (perché ogni risultato consolidato viene pubblicato su una rivista scientifica) si arriva a capire che una certa sorgente è più interessante di un’altra e si decide di focalizzarsi su quella. La prima sorgente interessante della mia vita è stata il resto di Supernova W44; i resti di supernova sono i maggiori candidati per accelerare i raggi cosmici e W44 è brillante nel gamma e presenta caratteristiche molto promettenti.
Fase 2: Chiedere del tempo di osservazione per quella sorgente – All’interno di una collaborazione si è in tanti e per questo non tutte le sorgenti interessanti potranno essere. Motivo per cui (almeno solitamente, poi ci sono delle eccezioni) ogni ricercatore o gruppetto di ricercatori dovrà convincere una commissione interna che le motivazioni per puntare la sorgente di loro interesse siano scientificamente valide. E questo accade più o meno ogni anno. Dopo attenta valutazione delle proposte, si decide allora il “pointing plan”, cioè un piano preciso che prevede i puntamenti in cielo di un certo strumento, per ogni periodo dell’anno, in base a quanto è stato proposto e poi valutato. Nel team AGILE siamo fortunati: il nostro satellite è fatto per puntare periodicamente ogni regione di cielo e quindi abbiamo potuto usare tutti i dati che aveva raccolto fino al momento della nostra analisi.
Fase 3: Scaricare i dati – Ogni strumento raccoglie un quantitativo di fotoni gamma durante un certo periodo di tempo stabilito che poi “scarica” nei server presenti nei centri dati a Terra. AGILE, per esempio, scarica i dati tramite le antenne collocate a Malindi (India) ogni volta che passa lì sopra e da Malindi essi vengono inviati al nostro centro dati a Roma, nell’Agenzia Spaziale Italiana. In realtà, ciò che arriva a terra è la lettura di quei dati tramite lo strumento in questione: segnali elettrici per AGILE, luce ottica per i telescopi come ASTRI Mini Array (nel numero 5 e 9 di Verbum Press troverete spiegazioni a riguardo). Per riuscire a ricostruire il segnale fisico iniziale, abbiamo bisogno di quelle che si chiamano Matrici di Risposta, cioè dei “dizionari” che ci permettono di capire come lo strumento ha influito sul segnale originario. Tutto questo viene fatto automaticamente con un software sviluppato durante il processo di costruzione dello strumento. Noi accediamo a questi dati finali già elaborati e tra questi dobbiamo selezionare quelli relativi alle coordinate della nostra sorgente nel periodo temporale che ci interessa; nel nostro caso quelli relativi a W44 accumulati durante tutti gli anni di osservazione. Nella selezione, bisogna fare molta attenzione perché è necessario evitare dati corrotti o con delle problematiche. Stiamo pur sempre parlando di uno strumento e ogni tanto possono esserci dei problemi che influenzano i dati scientifici. Fatto questo lavoro di cesello, ci troviamo finalmente di fronte a dei conteggi, cioè al numero di fotoni gamma provenienti dalla regione di W44. Nella figura, potete vedere la sua mappa gamma ottenuta da questi conteggi. E’ così bruttina perché nel gamma non è possibile mettere a fuoco a causa dell’energia altissima dei fotoni. Le linee verdi sovrapposte sono i contorni dello stesso oggetto, W44, come appare nella banda radio.
Fase 4: Analizzare i dati – Ora abbiamo tutti i fotoni gamma provenienti da W44. A questo punto dobbiamo analizzarli, tenendo conto del tempo totale in cui sono stati accumulati (tempo di esposizione), assumendo un certo modello spettrale (cioè un modello fisico base che sappiamo potrebbe descrivere quello che stiamo vedendo), suddividendoli per diversi intervalli di energia e distinguendo i fotoni provenienti dalla sorgente da quelli provenienti da altra roba lì intorno. Lo scopo finale è quello di creare il grafico che vedete in figura e che si chiama tecnicamente “Spectral Energy Distribution”: in pratica stiamo vedendo l’intensità del flusso gamma da W44 per ogni intervallo energetico (in rosso sono i dati AGILE e in verde quelli di un altro satellite, Fermi (NASA)). Ogni punto è il flusso (asse Y) in un certo intervallo di energia (asse X) e le barre che vedete indicano l’intervallo di variazione del flusso dovuto agli errori che esistono, sia strumentali sia statistici. Ah, ricordatevi sempre che quanto state leggendo, è il riassunto del riassunto del riassunto di tutto quello che viene fatto.
Fase 5: Creare un modello fisico – Una volta che si hanno dei dati analizzati per bene e di cui possiamo fidarci, dobbiamo cercare di interpretarli e per farlo abbiamo bisogno di un modello teorico iniziale che prenda in considerazione i processi fisici che sappiamo potrebbero essere all’origine dell’emissione gamma di una sorgente come W44. Per farlo, tramite la programmazione (che regna sovrana nell’astrofisica come in ogni scienza), si sviluppa questo modello che è basato su quantità fisiche (dimensione della sorgente, la sua distanza, l’età, l’energia delle particelle…) e su processi fisici (i processi che sappiamo generare emissione gamma). Alcuni valori delle quantità fisiche li conosciamo da altre misure e possiamo fissarli mentre variamo i valori di quelle che non si conoscono (in modo fisicamente sensato) finché troviamo il modello che meglio combacia con i nostri dati e anche con i dati ottenuti da altri strumenti in altre bande dello spettro elettromagnetico sulla stessa sorgente e possiamo fare le nostre deduzioni sul ruolo di W44 nel contesto dei raggi cosmici. Nella figura, infatti, vedete i dati nel gamma e anche i dati nel radio e le curve disegnate, senza andare nel dettaglio, sono ottenute col modello teorico che cerca di spiegare quei dati.
Fase 6 : Pubblicare – A questo punto abbiamo fatto un buon lavoro e possiamo comunicarlo alla comunità scientifica di tutto il mondo. Scegliamo una rivista scientifica attinente al nostro campo e scriviamo un articolo in inglese (la lingua della scienza) seguendo esattamente l’impostazione di quella specifica rivista. A questo punto, proponiamo il nostro articolo all’editor della rivista che lo sottopone a sua volta a dei revisori, esperti del campo. I revisori (quasi sempre anonimi) inizieranno a comunicare con noi, facendoci domande e chiedendoci delle correzioni. Nel caso peggiore, cioè se le nostre motivazioni scientifiche non sono abbastanza robuste, rifiuteranno il nostro articolo. Nel caso migliore, invece, dopo varie interazioni (quasi mai inferiori almeno a 2), l’articolo potrà essere considerato pubblicabile e quindi diffuso a tutti gli altri astrofisici nel mondo. Nel caso della nostra W44, abbiamo dimostrato che i resti di supernova effettivamente accelerano i raggi cosmici, almeno quelli a più basse energie.
Fase 7: Migliorare, approfondire e attendere – E adesso? A questo punto la strada della nostra ricerca si dirama in altre due strade che andranno in parallelo. Una la seguiranno altri scienziati che, interessati alla nostra sorgente, cercheranno di studiarla ottenendo nuovi dati o migliorando quelli esistenti. Nel caso di W44, per esempio, dopo il nostro lavoro, il satellite Fermi ha migliorato il suo software di analisi dati e ha studiato di nuovo la sorgente, producendo dei dati migliori che hanno confermato i nostri risultati (yeeee!). Se e solo se più di uno strumento vede la stessa cosa possiamo avere la certezza che quanto stiamo vedendo sia reale. Lo stesso vale per i modelli teorici: vari scienziati potrebbero portare avanti ipotesi differenti e in questo modo integrare migliorare o modificare il nostro modello. L’altra strada, invece, la seguiremo noi, cercando di migliorare quanto abbiamo fatto, sia sperimentalmente che teoricamente e per W44, infatti, abbiamo migliorato più avanti sia i dati che i modelli teorici che ne spiegano la fisica. La ricerca non si ferma mai, per fortuna.
Tutto quello che vi ho raccontato è relativo a quanto facciamo io e altri astrofisici simili a me ma l’astrofisica è un modo immenso, come lo è ancor di più la scienza tutta. Spero però di avervi dato almeno un pizzico di coscienza in più di cosa ci sia dietro un risultato scientifico (e alla mia faccia in copertina) e spero soprattutto di avervi reso più consapevoli del motivo per cui “La scienza non è democratica”: come esseri umani, si può non essere d’accordo con un risultato scientifico ottenuto dopo studi ed esperimenti ma per avere il diritto di proclamarlo falso ad alta voce, si devono avere prove concrete. Sempre.
Fonti
– Giuliani, Cardillo et al. 2011
– Ackermann et al. 2013
– Cardillo et al. 2014
– Cardillo, Amato, Blasi 2016
*Martina Cardillo, astrofisica