Maurizio Ponticello, La vera storia di Martia Basile (Mondadori, 2020)
Napoli, 1594. Una bambina di dodici anni sta andando in sposa a un vedovo cinquantenne, don Muzio Guarnieri, che di denari ne ha tanti e con essi è riuscito anche a ottenere una speciale deroga dal vescovo per quel matrimonio. Infoiato dal vino e dal desiderio di avere presto un erede maschio, l’uomo possiede la sposa-bambina con rapace brutalità.
Inizia così La vera storia di Martia Basile (Mondadori, 2020) che Maurizio Ponticello ha dissepolto dagli scaffali di biblioteche e archivi per restituirla a noi in tutta la sua drammatica crudezza.
Insoddisfatto dalla giovane moglie, colpevole di avere partorito due femmine, don Muzio inizia a picchiarla e a tradirla abitualmente. Perso ogni interesse per lei, il marito cerca di sfruttarne l’avvenenza fisica cedendola al governatore spagnolo di Ariano, in Irpinia, con il quale è fortemente indebitato. Il governatore fa arrestare ugualmente il mercante napoletano e poi costringe la giovane moglie a subire le voglie proprie e anche quelle degli amici. Martia riesce a scappare, torna a Napoli e, libera dall’oppressione di don Muzio, conosce finalmente l’amore con il capitano spagnolo Hermano Gajola. Uscito di prigione, il marito la picchia ancora, lei reagisce, lo accoltella e fa sparire il cadavere con l’aiuto di alcuni fedeli servitori. Tuttavia, una domestica la tradisce. Così Martia, divenuta intanto una bellissima donna di ventun’anni, è tradotta nelle carceri di Castel Capuano, affronta il processo, lotta per avere salva la vita, ma alla fine, il 7 maggio del 1603, condannata per stregoneria e viricidio, è decapitata in piazza.
A tramandare la drammatica vicenda di Martia Basile, abusata da tanti e alla fine decapitata dal boia, è stato un cantastorie, suo fedele amico, Giovanni della Carrettola, autore di un poemetto in ottine, prima recitato di paese in paese e poi dato alle stampe. Merito di Maurizio Ponticello è avere colto il potenziale euristico di quel testo, nonostante le stroncature che ne fecero Charles Dickens (1852) e Benedetto Croce (1922), e di averlo recuperato per rendere giustizia a un personaggio femminile sempre attuale nel suo essere soffocato da una società maschilista, classista e fanatica.
Nella penna di Maurizio Ponticello l’amara sorte di Martia Basile diventa anche occasione per gettare luce sulla Napoli in età vicereale, descritta con un impasto linguistico emotivamente efficace, in grado di restituire il fascino del napoletano seicentesco senza nulla togliere alla fluida comprensione del testo.
Un romanzo storico, dunque. Una macchina narrativa che Maurizio Ponticello sa condurre per andare oltre il napoletanismo di maniera, indagando vicende esemplari, indietro nel tempo, che possano aiutarci a spiegare la realtà odierna in base a una relazione passato/presente che è simultaneamente di tipo generativo ed ermeneutico. Generativo, perché possiamo riconoscere nella vicenda di Marzia, l’antecedente storico, la causa, di quanto accade ancora oggi in termini di violenza e sopraffazione delle donne tra le mura domestiche; ermeneutico, perché la rappresentazione cruda ed empatica delle relazionali disfunzionali subite da Martia consente al lettore di riconoscerle e di comprenderle ogniqualvolta si ripresentino, in diversa forma ma con la stessa essenza, nel nostro quotidiano.
*Raffaele Messina, scrittore