Maja Herman Sekulic: icona mondiale della letteratura
>> l’angolo della poesia
La poetessa serba, vive tra Belgrado e New York ed è un’icona mondiale della letteratura. Vanta nel suo percorso artistico amicizie e incontri importanti come Northrop Frye e Harold Bloom,Crnjanski e Vasko Popa, Mark Strand e Joseph Brodsky.Ma i temi ricorrenti sono l’identità del popolo slavo, l’amore per il mito e la madre Terra.
Così si esprime Dante Maffia nella prefazione al libro:
E’ libro impegnato e lirico insieme; libro che sa porre l’accento sulla condizione umana e sui valori; libro che sottolinea in maniera dolce e corale, alla Boris Pasternak, per fare un riferimento, le ragioni delle radici; libro, direbbero sia Carlo Marx e sia Papa Bergoglio, civile, che non significa il contrario di incivile, ma che pone in essere problematiche vive, palpitanti, attuali, a cominciare dallo sfaldamento della Jugoslavia fino ad arrivare alla pandemia del coronavirus. Maja non è una poetessa che cincischia, che pilucca un chicco d’uva e si bea del sapore. Ella incide col bulino i sentimenti e ne ricava un canto appassionato e spesso superbo, però sempre tenuto su un piano di chiarezza espressiva per non creare confusione e ambiguità. E ancora: Belgrado ha una magia che si fa toccare con mano, un sapore che al Kalamegdan si riesce a godere e Maja Herman Sekulic , senza insistere, ha saputo farmi sentire queste emozioni nelle sue parole alate, lievi, perfino dolci, anche quando l’argomento trattato ha un retroterra drammatico o tragico
Una genealogia del ventesimo secolo
I
Discendo da due genealogie
che non esistono più,
Le mie radici sono in due stati
che non ci sono più,
ed entrambi erano piccoli Imperi del drago europeo,
entrambi andarono alla deriva
lungo il Danubio fino agli Inferi
uno all’inizio, l’altro alla fine del secolo.
Inghiottita da un vortice, io,
lo intravedo a più teste
quando mi inginocchio
sulle rive del Danubio e
scoperte dal fango dell’
Età della pietra vedo le
Statue di Vucedol, ossute
Aghi e bobine, dalla mia vetrina
persa nel movimento.
Siamo tutti un po’ del Danubio,
tutti – acque agitate.
II
Una parte di me è vecchio sangue mitteleuropeo,
una fetta di torta sacher inattiva
su una terrazza ad Abazia,
un’erede di libri finemente rilegati
e inumiditi da macchie di inchiostro,
di cani da caccia maculati e herren-zimmer,
di vene patrizie austro-ungariche ed ebraiche,
spazzate via dalla terra.
Vene pulsanti trasformate in cenere
– con sopra il cimitero di Belgrado
alla vecchia fiera.
Dimmi quanto sono cupe
le mattine nebbiose sulla pianura ?
Quanto sono lontani gli altopiani
da Agram?
Siamo tutti un po’ di neve dell’anno scorso,
tutti – cinerei fiocchi di neve.
III
L’altra metà, quella sinistra,
proviene dal proletario,dal popolino,
da arterie contadine di rifugiati tedeschi,
rivoluzionari del 1848
Lo Svevo del Danubio, che venne allora nella Sirmia
nella città barocca di Vukovar, che non c’è piu.
Il palazzo di Eltz conservato nel libro di Magris.
Senza un tetto sopra la testa nel 1948,
di nuovo rifugiati nella propria terra,
con la loro inflessione lenta pannonica,
coperti dalla polvere di Banat,
stanno ancora navigando il Danubio, a monte,
verso la patria dimenticata e estranea.
Il resto è annegato nel fango acquoso e rapido
della pianura pannonica; tu, hai avuto le tue ossa rotte
sulla sterile, morta, pietrosa isola adriatica,
e tutto per la terra degli slavi del sud.
Siamo tutti un po’ quel paese,
tutti parte di ciò che
non è più.
IV
Noi che soli la conoscevamo –
Non l’abbiamo più riconosciuta
nella sfera di cristallo di senso.
Il suo mantello d’identità è umido.
È appesantito dalla neve,
caduto, come un fantasma,
dalle spalle,
non dalle mie né dalle tue,
si è trasformato, davanti ai miei occhi,
sul marciapiede, nel vapore.
Scriviamo una nuova toponomastica
gli indirizzi sembrano brutti scherzi.
Non sappiamo perché celebriamo alcune feste,
né se abbiamo il diritto di ricordare
il nostro primo bacio al cobalto
o il caldo dalmata.
E l’inverno, l’inverno è in arrivo.
Le mie parole evaporano nell’aria fredda.
Siamo tutti nati di nuovo.
Tutti – rifugiati.
Abbiamo adempiuto il destino del secolo –
In un attimo niente vapore
lo zero.
Maja Herman Sekulic
traduzione dall’inglese a cura di Claudia Piccinno
*Claudia Piccinno, poetessa