L’odore della nebbia, Licia Cardillo Di Prima (Flaccovio Editore Palermo, 2022)
Un testo intenso, complesso, duplice: scarnificante e amaro da un lato, sublime e onirico dall’altro
Un testo intenso, complesso, duplice: scarnificante e amaro da un lato, sublime e onirico dall’altro, è “L’odore della nebbia” di Licia Cardillo Di Prima, Flaccovio Editore Palermo, 2022 pag. 205. L’autrice che vive a Sambuca di Sicilia, ha scritto vari romanzi storici e di costume che le hanno dato fama e lustro, non solo in Italia ma anche all’estero. La trama ben intessuta del romanzo è molto intensa e induce a profonde riflessioni che coinvolgono moralità e coscienza. Il lettore, fin dall’inizio, è assorbito dalla vicenda e ne diventa coprotagonista; finzione e realtà s’intrecciano indissolubilmente e lo coinvolgono, al punto da condurlo a Rocca Sicana, a Vicolo Stretto, sulla spiaggia di Bertolino, in Sicilia e ad addentrarsi in quel mare di primitiva purezza. Solo un’immersione nel mare del ricordo potrà restituire la purezza perduta, rammenderà l’anima strappata e consentirà alla protagonista, ma soprattutto al lettore, ormai coprotagonista, di riempire le voragini del proprio cuore. ”La realtà è quello che è, e, allo stesso tempo quello che non è”. Su questa funambolica corda tratta da “Tre Storie magiche” di Alejandro Jodorowisky si muove il testo, con una maestria che connette armoniosamente gli estremi. Gesualda, Gesuina, Agata sono un’unica entità, figlia e madre insieme, da proteggere dai soprusi di un mondo becero. Così si dipana la storia, passato e presente s’intessono, la protagonista si sdoppia, si triplica: ella ha molto da dimenticare, ha molto da perdonare ma soprattutto deve recuperare se stessa, liberarsi dal passato che le pesa gravemente, impedendole una vita normale. L’unica via di fuga è ritornare, ricomporre i fili del gomitolo che è stata la sua vita, nei luoghi che l’hanno vista martire inconsapevole. Adesso è Elena, viene da Bologna: Gesualda, Gesuina, Agata sono scomparse, vittime innocenti e inconsapevoli della cattiveria, dell’ignoranza della superstizione ma soprattutto della lussuria di loschi figuri. Tuttavia, in questa storia plumbea, si stagliano figure di luce e, in particolare, il nonno che si prende cura della bimba in sostituzione della madre, vittima “consapevole” di un mondo perverso e la nonna che si sacrifica per l’onorabilità della figlia. La nebbia del luogo non cela le ipocrisie, le nefandezze, le violenze degli uomini e quando si dirada, libera il cielo dalla bruma. Eccola lì, la bimba di sei anni ha un vestitino rosa, un mostro l’assale, la fa piombare nell’inferno, un drago le ruba l’infanzia. ”Comu ‘na farfalla si tu, gioia mia e ali delicate hai chi si uno li tocca, si sfarinano sutta li dita!”. Così il nonno la consola e la riporta alla vita. Gesuina però vuole ritrovare il suo passato, il suo cognome, il padre che l’ha messa al mondo, perché non ha un cognome come gli altri ma è “enne, enne”. La madre è una vittima di se stessa, usata dagli altri ma anche stimolata da una lussuria che la domina e la fa schiava del predatore. La figlia cerca di ritrovarla, ripercorre i luoghi, ne cerca anche gli odori lontani. Riemerge l’odore di Zagara di cui la mamma si innaffiava, le ritornano in mente le violenze della madre che si sfogava sulla bimba, del suo turpe presente. Ormai Gesuina però non è più Agata ma è diventata Elena e può ripercorrere la strada della sua vita, cercando quei figli nati dal sopruso: anche lei abusata, violentata ha partorito due figli: il suo corpo è stato una “pietra d’inciampo”. Occorre riordinare quel passato caotico e doloroso, ora ha Antonio che è stato l’unico a leggere il suo dolore e a capirlo e ha Daniele, il figlio che l’ha compensata delle perdite. Tuttavia ancora il cuore le brucia, sarà il dott. Rimi, amico del nonno, a farle riprendere i fili del tempo e a decodificare il comportamento della madre, vittima della “libido” altrui e della propria bellezza. Gesuina, Agata, Elena sono diventate un’unica persona. Il nonno, figura carismatica, le ha fatto scoprire il divino, insito in ogni cosa, invitandola ad alzare le braccia per stringere la donna che le è stata madre, vittima di un amaro destino e della propria bellezza. La nebbia che ha avvolto la sua vita si dirada e scompare, sciolta dalla consapevolezza e dalla pietà.
*Pina D’Alatri, operatrice culturale