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L’intelligenza artificiale e la rappresentazione del mondo

Nel 1941 Jorge Luis Borges pubblica a Mar del Plata nella provincia di Buenos Aires il racconto La biblioteca di Babele – prima edizione contenuta nella raccolta El jardín de senderos que se bifurcan, Sur, in cui descrive il folle universo di una biblioteca infinita composta di sale esagonali in cui sono raccolti disordinatamente tutti i possibili libri di 410 pagine in cui si susseguono in 80 righe le sequenze di 25 caratteri alfabetici, punti e virgole senza ordine, in tutte le possibili combinazioni. In questi libri può accadere di trovare espressioni sintatticamente corrette ma per lo più prive di senso. Poiché i caratteri possono, per casualità, comporre a volte frasi di senso compiuto di lunghezza variabile, nella labirintica Biblioteca di Babele gli uomini continuano a muoversi ed affannarsi per trovare tra gli infiniti libri, il Libro che contiene la Verità. Purtroppo nella Biblioteca esistono tutti i possibili libri, tutte le verità e anche le falsità che vi si riescono a scrivere, nonché semplici sequenze senza alcun senso, puro rumore. Nello stesso anno a undicimila chilometri di distanza e nell’altro emisfero, in Inghilterra a Bletchley Park nel Buckinghamshire, Alan Mathison Turing, matematico inglese lavora per forzare il codice segreto tedesco di Enigma e scoprire la verità degli indecifrabili messaggi nazisti e gettare le basi della tecnologia informatica contemporanea.  

Oggi nel mondo della comunicazione digitale le prospettive di Turing e di Borges sono quanto mai attuali. In ambedue, la necessità della conoscenza di Turing della verità del significato nascosto dietro sequenze incomprensibili di simboli utilizzando il calcolo combinatorio e l’ossessione di Borges per la labirintica e paradossale ricchezza della parola che comprende verità e falsità inconoscibili a cui attingere per costruire significati e rappresentazioni del mondo, convivono le premesse per riflettere sul nostro essere spettatori e creatori di contenuto in una dinamica vorticosa di stimoli e messaggi condivisi attraverso i nuovi media. Babele di contenuti e alfabeti ben oltre i 25 caratteri di Borges e i codici di Turing.

Leggere, guardare, ascoltare un testo o vivere una esperienza sensoriale tattile, olfattiva o del gusto è alla base della costruzione della nostra conoscenza del mondo e della generazione della memoria che portiamo in noi come rappresentazione della esistenza fatta di esperienze. Lo studio del testo e la codificazione dei processi di rappresentazione del significato sono il cuore delle discipline semantiche e semiotiche che esplorano il modo in cui la nostra percezione di un contenuto si trasformi in significato rilevante. E’ il miracolo inconoscibile ed estremamente personale della costruzione della nostra storia ed è un processo di mediazione simbolica in costante evoluzione che si interseca oggi con la matematica e l’informatica.

Un processo tipicamente ed esclusivamente umano che nel corso degli ultimi trenta anni ha visto irrompere la tecnologia come campo di studio e applicazione. L’intelligenza artificiale applicata alla comprensione di testi, dei discorsi e alla loro elaborazione è la nuova frontiera dello sviluppo delle tecnologie di NLP (Natural Language Processing) e Image Recognition, riconoscimento delle immagini. Con Trattamento Automatico del Linguaggio Naturale (TAL) o il suo equivalente inglese Natural Language Processing (NLP) o Linguistica Computazionale (LC) si indica quella parte dell’Intelligenza Artificiale che si occupa specificamente del linguaggio umano distinguendolo, grazie al termine “naturale”, dai linguaggi di programmazione o della logica. L’espressione Artificial Intelligence (AI) fu coniata nel 1956 dal matematico americano John McCarthy, durante uno storico seminario interdisciplinare svoltosi nel New Hampshire.  Secondo le parole di Marvin Minsky, uno dei “pionieri” della AI, lo scopo di questa nuova disciplina sarebbe stato quello di “far fare alle macchine delle cose che richiederebbero l’intelligenza se fossero fatte dagli uomini”.

In maniera parzialmente consapevole siamo già oggi immersi in questo nuovo mondo affiancati da dispositivi e sensori in grado di raccogliere ogni nostra emissione, codificarla e organizzarla per facilitare l’esperienza umana. Basta pensare alla potenza dei sistemi di Google Assistant, Alexa di Amazon, Siri di Apple o Cortana di Microsoft, nella capacità di riconoscere una nostra richiesta e, sulla base di una profonda analisi semantica svolta dai nuovi software, restituirci o suggerirci delle risposte alle nostre esigenze. In maniera più semplice pensiamo anche ai sensori di localizzazione dei nostri smartphone che possono essere interrogati per fornirci rotte e informazioni sapendo puntualmente dove siamo e ciò che ci circonda. Anche qui Borges ci anticipa. Il noto paradosso relativo alla Mappa dell’Impero in scala 1:1 è contenuto nel frammento Del rigore della scienza, l’ultimo di Storia universale dell’infamia, pubblicato per la prima volta nel 1935 e poi riveduto e corretto nel 1954. Come sua abitudine, l’autore argentino attribuisce la citazione a un libro che in realtà non esiste. Oggi questa mappa la portiamo in tasca grazie ai navigatori e le immagini satellitari.

La prossima frontiera è quella sensoriale; ci viene in aiuto il celebre passaggio di Proust che nella sua Dalla parte di Swan evoca il profumo della Madeleine come attivatore di memoria, ricordi e emozioni. L’olfatto come mediatore di senso.

Anche questa distanza tra uomo e macchina viene progressivamente colmata. Crescono intorno a noi gli oggetti connessi. L’ IoT (Internet of Things – l’Internet delle Cose); non solo cellulari ma sensori di movimento, di fumi, di umidità, di temperatura, presenti nelle industrie, negli autoveicoli, nelle case, negli orologi da polso, nei vestiti; ulteriori estensioni sensoriali artificiali capaci di archiviare inimmaginabili quantità di dati che possono essere elaborate. Se sul testo scritto e sulle immagini si è arrivati già a livelli enormi di sofisticatezza, la nuova frontiera è connettere gli altri sensi in maniera da rappresentare in maniera più completa l’ambiente, alla vista e all’udito si aggiungono il tatto e l’olfatto. Sul gusto la questione sembra più complessa ma in qualche laboratorio ci si sta lavorando e sappiamo che non sarà tempo perduto.

*Giuseppe Maria Ardizzone, innovation communication strategist, docente