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Lei

Da più di dieci anni, puntuale come un treno, Giulio se la ritrovava tutte le sere nel suo letto: lo aspettava devota come una moglie d’altri tempi, compagna inseparabile per tutta la notte.  Lui, abituato a crogiolarsi nella placida solitudine del suo letto, si era trovato costretto, quasi senza rendersene conto, a doverlo dividere con Lei. Le prime notti la sua invadente presenza lo aveva reso insofferente: scalpitava ogni qualvolta la sentiva avvicinarsi, s’irritava quando Lei, con un subdolo sussurro, gli ricordava tutti i suoi problemi, i suoi errori, i fallimenti. Nonostante i tentativi di scacciarla, a volte estremi, raramente aveva avuto successo: Lei, con tenacia, gli s’incollava addosso e non lo abbandonava fino alle luci dell’alba; poi spariva per il resto del giorno… Giulio aveva provato tutti i metodi e soluzioni per poterla escludere dalla sua vita: ma tutto era stato inutile; alla fine, rendendosi conto che quella battaglia l’avrebbe persa, si era rassegnato e l’aveva accettata come una presenza, ormai, imprescindibile delle sue notti. Di buon grado, dovette tollerarne la convivenza, sforzandosi di non lasciarsi più prendere dall’ansia o, peggio, da quella rabbia sorda che gli faceva serrare le mascelle e digrignare i denti.

Anche quell’afosa notte di fine agosto, Lei era lì, nel letto, impastata tra le lenzuola umide, ancora più appiccicosa e invadente. Da ore Giulio aveva tentato di starle lontano, esplorando il giaciglio in cerca di qualche porzione di lenzuolo ancora fresca, nell’illusione che bastasse quel refrigerio per ottenere un po’ di pace e convincerla a dargli una tregua, a dimenticarsi per un po’ di lui. Quando capiva che non c’erano speranze, allora si scrollava di dosso quel torpore, accendeva la luce, una sigaretta e magari la tv. Certe notti, seguite magari a una giornata particolarmente stressante, quando lo riassaliva il nervosismo dei primi tempi, tagliava corto: abbandonava di scatto il letto, lasciandola, lì, da sola, consapevole, però, che al suo ritorno l’avrebbe ritrovata, fedele come un cagnolino.

Lei, si chiamava Insonnia

 Alle due e venti di quella notte, complice il caldo, Giulio aveva ormai superato il limite della sopportazione; sentiva le gambe fremere, cercare spazio, muoversi, la pelle incollarsi alle lenzuola bollenti, l’aria soffocante della camera togliergli il respiro. Lasciò di colpo il letto e a piedi nudi, sigaretta in mano, raggiunse l’ampio balcone che si affacciava sul corso principale, all’incrocio con una stradina poco illuminata. L’aria fresca della notte gli provocò un brivido piacevole, mentre la brezza che arrivava da nord, gli asciugò la pelle umida.  Respirava a pieni polmoni quell’aria salutare, alternando voluttuose boccate di fumo, nuvole azzurre che il vento catturava e portava via con sé. Adesso quel torpore era sparito, al suo posto un flusso di energia gli accendeva i sensi e la mente, si sentiva rinfrancato. Tutti quei fastidi erano spariti e soprattutto non pensava più a Lei. L’angolo del balcone al quarto piano, che dava sull’incrocio, proteso nel vuoto come la prua di una nave, era il suo posto preferito. Da lì poteva osservare la strada deserta, scrutare i palazzi del vicinato in cerca di qualche luce ancora accesa, di un segno di vita, di qualcuno che, come lui, viveva la notte vegliando. O immaginava di ascoltare, dietro una finestra senza luce, il suono del sonno: quel respiro lento e profondo di chi sogna.

Improvvisamente, un lampo di luce risvegliò la sua attenzione: una macchia bianca indistinta emergeva dalla penombra, giù nella stradina. Concentrò lo sguardo in quella direzione, adesso quella macchia candida aveva preso la forma di un paio di candidi pantaloni; li indossava una ragazza, accanto a lei, vicinissimo, un uomo le cingeva i fianchi: una coppia che si dava la buonanotte, pensò. Si diedero un ultimo bacio, poi l’uomo montò sullo scooter e imboccò il viale verso sud. I pantaloni bianchi intanto raggiunsero la strada principale, svoltarono a destra e sparirono nel primo portone. Una scena consueta, ma non per Giulio che, quando la linearità degli eventi subiva una deviazione o notava un’anomalia, era portato a cercarne la causa. Perché, si chiedeva, quel commiato clandestino nell’ombra? Perché non salutarsi davanti al portone, sotto la luce dei lampioni? Cosa nascondeva quella coppia? L’arrivo silenzioso di un’auto, materializzatasi come dal nulla, gli fece abbandonare queste pettegole domande. L’auto, le luci degli stop che coloravano di rosso l’asfalto, si era fermata proprio davanti al portone, lo stesso dove, poco prima, erano spariti quei pantaloni bianchi. All’improvviso lo sportello destro si spalancò, come per far scendere qualcuno, ma dall’auto non scese nessuno. Giulio si sbalordì nel vedere ricomparire i pantaloni bianchi che, riemersi dal portone, percorrevano con passo lesto quei pochi metri per sparire, poi, all’interno dell’auto. Le luci degli stop si spensero, un braccio afferrò lo sportello per chiuderlo e il veicolo riprese la sua marcia verso nord. Una smorfia ironica trasformò per un attimo l’espressione di Giulio, immaginò di avere appena assistito alla rappresentazione di una farsa boccaccesca, poi la sua espressione si tramutò di colpo in un ghigno amaro, quando pensò di essere stato testimone di un tradimento. Il sapore della sigaretta era diventato acre; la spense e cominciò a percorrere il balcone per tutta la sua lunghezza. La benefica energia di prima era sparita e adesso si sentiva assalito da un’improvvisa spossatezza, le gambe pesanti che trascinava con lentezza, i pensieri cupi. Si sentì invaso dal disprezzo e dall’amarezza. Come se la scena alla quale aveva assistito gli avesse mostrato la parte più riprovevole della natura umana, sempre pronta a tradire e a considerare la lealtà qualcosa di derogabile.  Non si chiese nemmeno chi di loro fosse il tradito. Tornò a letto; le lenzuola lo accolsero in un fresco abbraccio. La testa persa in mille pensieri, un sapore amaro in bocca, spense la luce e attese che Lei tornasse.

*Giuseppe Donato, scrittore