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Le “Pitture di colore e parole” di Adalbert Stifter

In tutte le opere, l’idea della necessità dell’armonia dell’essere umano con il suo ambiente è fondante della sua concezione dell’arte e del mondo

In questo Wolkenstudie di Stifter, colto al crepuscolo, probabilmente in un’area intorno al Blockenstein nel sud della Boemia, una macchia bluastra, come di foresta in lontananza, si allunga in una sottile striscia crepuscolare verso ovest, mentre su di essa appaiono ‘nuvole fluttuanti’. 

“[…] O le tanto amate, fluttuanti, ondeggianti nuvole… come fioriscono nel deserto del cielo, brillano e sognano intorno alle montagne, costruiscono palazzi luccicanti, prendono il sole in massa e la sera bruciano come stanchi del sonno… il paradiso, profondo, bello e fresco… ma poi da loro vengono i lampi caldi, e il caldo e la pioggia e le tue lacrime – da queste lacrime è costruito quell’arco di promessa, che luccica così bene e che non si può mai raggiungere – il chiarore della luna è allora amabile e le nostre melodie morbide… ci sono al mondo gioie di un’esuberanza che potrebbero spezzarci il cuore … e sofferenze dell’ intimità…”  (A. Stifter, Der Hochwald)

Con queste riflessioni di Clarissa, un personaggio della novella Der Hochwald (La Selva), scritta da A. Stifter nel 1841, prende l’abbrivio una narrazione che si apre con l’esaltazione dell’energia vivificante e quasi religiosa della natura. 

La Selva racconta di una storia d’amore frustrato, di sogni delusi e distruzione, sullo sfondo della Guerra dei Trent’anni, tra il 1632 e il 1634, quando le truppe svedesi si spinsero in Boemia.  Durante il periodo, un nobile che vive in un castello con le sue due figlie, Johanna e Clarissa, per non esporle al pericolo dell’imminente invasione svedese, allestisce per loro una capanna nelle profondità di una foresta vicina. Ma nella solitudine dei boschi profondi, s’ insinuano poco dopo gli orrori della guerra, così che nell’alta foresta fa il suo corso un destino inesorabile che stronca il doppio sogno della giovinezza e del primo amore

Il racconto Der Hochwald e il dipinto Wolkenstudie di Stifter, dello stesso periodo (1841), esaltano la gloria della natura, così saldamente insita nel movimento Biedermeier* dell’epoca. 

Stifter infatti fu anche pittore, pertanto non solo col lapis, come nei suoi racconti e romanzi, ma anche col pennello, ci conduce nel mistero della natura, attraverso le sue foreste che sono ‘pitture di colore e parole’.

Stifter amava la foresta, rilevabile in questa striscia sottile di boscaglia, in basso nel quadro, che l ’ampia screziatura crepuscolare del cielo travalica. Il dipinto esprime col colore un senso arcano e trasmette un sentimento di smarrimento e di solitudine profonda. 

E’ la bella solitudine della foresta ritratta nel quadro, sommersa da una volta celeste che si spegne dolcemente in un teatro di colori che si allargano dall’azzurro in ogni direzione. In questa immersione nel cielo striato da nastri indistinti di luce che vibrano del giallo dell’autunno e di un vago, pallido rosso, nella natura primordiale, dove tutto è calma e quiete, l’uomo trova rifugio alla guerra, sebbene per poco. Il castello infatti sarà bruciato dalle truppe svedesi che attraversavano la Boemia e tutto verrà travolto dalla guerra. Il padre delle fanciulle perderà la vita nel difendere la propria terra ed entrambi le due figlie, tornate nella casa del padre, saranno abbandonate a un destino che spegnerà per sempre i sogni della giovinezza. La storia, Der Hochwald, si chiude infatti davanti al panorama delle rovine del castello, dove si concluderà la vita delle due fanciulle, senza che alcuno possa mai conoscerne la tomba. 

La foresta che «con sforzo e cura tende e fa crescere il più piccolo dei suoi fiori» non può proteggere non può salvare «la più preziosa vegetazione, la vita umana, distrutta con fretta e frivolezza» dalla violenza della guerra. L’immagine della natura, misteriosa e vaga, denuncia così il proprio carattere illusorio e ingannevole.  

Sul principio, la rappresentazione del reale è come un’epifania dell’ignoto che suscita visioni di sapore metafisico, ma l’ingannevole ambiguità della visione si scontra con la realtà. La rappresentazione acquista così tratti surreali, accresce il sentimento di straniamento e provoca lo stravolgimento della parvenza del reale. Squarciato il velo ingannevole della visione epifanica, lo spettacolo dell’orrore generato dalla guerra spegne l’immagine soprannaturale della natura.

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Adalbert STIFTER (1805 – 1868), scrittore ancora poco noto in Italia, nacque da una famiglia di contadini e tessitori di lino nel 1805 a Oberplan, un piccolo borgo della Boemia, collocato in una verde vallata, orlata di foreste e attraversata dalla Moldava. Perso precocemente il padre, aiutò il nonno nei lavori dei campi fino a quattordici anni, quando fu mandato alla scuola dei benedettini di Kremsmunster e da lì a Vienna per gli studi di giurisprudenza che non portò a termine, preferendo dedicarsi alle scienze naturali e alla pittura. 

Stifter si guadagnava da vivere come precettore dei rampolli di famiglie nobili di Vienna, tra cui il figlio di Metternich. Più tardi ricoprì l’incarico di ispettore scolastico a Linz, dove rimase fino alla sua tragica morte. Credendo nella sua vocazione di pittore, dal 1820 circa, Stifter iniziò a dipingere vividi paesaggi naturali di cui restano testimonianza le vedute di Salisburgo e Vienna, studî di nuvole ecc…, oggi raccolti all’Adalbert Stifter Museum di Vienna. 

Soltanto all’inizio degli anni ‘40, a trentacinque anni, Stifter approdò alla letteratura con il racconto Il Condor, cui fecero seguito una ventina di novelle, raccolte negli Studien (1844-50); narrazioni limpide e lineari per le quali trovò subito notorietà e che inaugurarono la sua carriera di scrittore. 

La sua prosa mosse dai romantici ma conformandosi al classicismo. Ispirandosi in particolare alle opere di Jean Paul, si volse a rappresentare con ordine e misura un mondo semplice e armonioso, incastonato nelle forme più delicate della natura, raffigurato con minuziosa precisione e cura dei dettagli, caratteristica del Biedermeier* austriaco. Ne sono espressione le novelle chiare di colore e di luci, riunite sotto il titolo di Bunte Steine (Pietre colorate) del 1853 e due romanzi, carichi di lente digressioni: Der Nachsommer (Tarda estate) del 1857 e Witiko (1865-67), rivelazioni di quel “realismo poetico” di cui egli fu tra i maggiori rappresentanti nel suo paese. 

La salute fisica e mentale di Stifter iniziò a declinare nel 1863, quando si ammalò gravemente di cirrosi epatica. Una influenza e l’ultimo stadio della malattia al fegato lo costrinse nel dicembre del 1867 a letto, dove cercò di continuare, in una redazione riveduta, la stesura, in forma ampliata di romanzo, della novella ‘La cartella di mio bisnonno’ comparsa nel 1847 nella raccolta ‘Studien’. Nel dicembre del 1867, riprese in mano il romanzo ma rimase incompiuto.  

Colpito da sventure familiari, come il suicidio della nipote Julianes che aveva adottato come figlia, e dalla malattia, Stifter si procurò deliberatamente la morte.

La notte fra il 25 e il 26 gennaio 1868, Adalbert Stifter, infermo da tempo, per i per dolori e la disperazione procurati dalla malattia, verosimilmente in profonda depressione, si recise la gola con un rasoio. 

La moglie lo trovò in un lago di sangue rantolante e privo di conoscenza. Lo scrittore si spense il 28 gennaio di quell’anno, dopo un‘agonia di due giorni.

I suoi racconti sono raccolti nei sei volumi di Studi (Studien, 1844-50) e nei due di ‘Pietre variopinte’ (Bunte Steine, 1853). Di questi ultimi fa parte la delicata storia natalizia ‘Bergkristall’ (Cristallo di rocca, 1845), probabilmente la sua opera più famosa. Con ‘Der Nachsommer (Tarda estate, 1857) Stifter, seguendo la graduale formazione spirituale del protagonista, si ricollegò alla tradizione tedesca del Bildungsroman; mentre in Witiko (1865-67) rievocò le origini della storia boema. 

Trascurato a lungo dalla critica, con la pubblicazione delle sue opere complete, a Praga, al principio del Novecento, si accese l’interesse intorno alla produzione di Stifter, così che gli studi e la letteratura sullo scrittore divennero vastissimi. Considerato quale miglior rappresentante del cosiddetto Biedermeier* austriaco, Stifter si volse all’osservazione minuziosa degli avvenimenti più semplici e meno appariscenti della vita, nei quali ricercò gli autentici valori dello spirito. La natura descritta da Stifter, con un talento forse senza uguali nella letteratura di lingua tedesca, è quella della Selva Boema che, nella corrispondenza simbolica con i destini dell’uomo, fa da sfondo costante alle sue narrazioni. 

In tutte le opere, l’idea della necessità dell’armonia dell’essere umano con il suo ambiente è fondante della sua concezione dell’arte e del mondo. Stifter, riservato e solitario, trovò rifugio nella natura, nella purezza delle cose e degli animi davanti all’incalzare della storia e del destino che sentiva minaccioso.

Per la classica misura espressiva, Stifter è considerato fra i più alti rappresentanti del realismo tedesco. Tra i suoi estimatori si contano: Nietzche, Hofmannsthal, Rilke, soprattutto Thomas Mann, che lo considerò “uno dei narratori più strani, profondi, celatamente arditi e travolgenti della letteratura universale”. 

Il lavoro di Stifter è caratterizzato dalla ricerca della bellezza e dell’armonia, pertanto il male e la crudeltà appaiono raramente nei suoi scritti. Tuttavia, Thomas Mann notò che «dietro la quieta, interiore esattezza delle sue descrizioni della Natura in particolare, è all’opera una predilezione per l’eccessivo, l’elementare e il catastrofico, il patologico». 

(Thomas Mann, Romanzo di un romanzo).

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BIEDERMEIER: movimento artistico tedesco e austriaco sviluppatosi tra il 1815 e la rivoluzione del 1848. Il termine deriva dal nome di un personaggio fittizio, comico e ingenuo: ‘Gottlob Biedermaier’, inventato dai poeti A. Kussmaul e L. Eichrodt, con cui si designa un uomo dabbene (« bieder») ma semplicione e  «Meier Maier, Mayer etc…», cognomi molto diffusi in Germania. ‘Biedermaier’ fu assunto a rappresentante del tedesco medio, borghese, filisteo e benpensante. Il termine è anche relativo a uno stile d’arredamento diffuso nelle case tedesche borghesi nella prima metà dell’Ottocento, derivato dallo stile Impero, ma più semplice. Nell’arte, il Biedermeier si espresse principalmente con il gusto per composizioni delicate; in letteratura designa una produzione attraversata da un tono blando di dimessa armonia e rinuncia. Le opere a cui viene applicata l’etichetta di genere Biedermeier sembrano caratterizzate da un sentimentalismo oleografico, che esalta un’esistenza ristretta e tranquilla, col ripiegamento nella propria individualità. A questa tendenza sono stati ricondotti autori diversi, tra cui gli austriaci: F. Grillparzer, A. Stifter e lo svizzero J. Gotthelf.

*Vanna Fiore, scrittrice