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L’angelo del silenzio

L’angelo dalle grandi ali bianche entrò nella sua stanza verso le due di notte.

Benché lei fosse ancora sveglia (soffriva d’insonnia ribelle dalla morte di sua madre) dapprincipio confuse il lieve battito d’ali con il movimento dei tendaggi. Poi, aguzzando gli occhi nell’oscurità, lo distinse chiaramente e lo interpellò:

“Chi sei?”

“Sono un messaggero” rispose illuminoso con una voce chiara, non si sarebbe potuto dire se di uomo o di donna.

“Un messaggero di chi?”

L’angelo non rispose ma stette a guardarla fisso negli occhi.

“So che vuoi spaventarmi ma io non ho paura né di Dio né degli uomini, né della morte.”

“Lo so” rispose l’angelo.

“E allora perché non mi rispondi?”

“Perché tu hai paura del silenzio.”

Si levò a sedere sul letto irritata e si accese una sigaretta. Le mani che stringevano l’accendino d’oro tremarono e l’esigua fiammella le bruciò le dita:

“E a te che te ne frega?” disse sgarbatamente.

“Infinitamente” rispose lui con un sorriso e aggiunse: “Dal silenzio verrà la tua salvezza.” E non parlò più per tutta la notte, ritto, vicino alle tende, presenza irritante ed inquietante.

Lei accese la radio ad alto volume ed una musica rabbiosa invase la stanza. Poi si mise a cantare sguaiatamente finché un vicino di casa bussò alla parete per protestare. Poi accese la luce e si mise a leggere uno dei suoi libri della collezione “horror”. Di tanto in tanto sbirciava verso la finestra per verificare se l’ospite inopportuno se ne fosse andato. Ma era sempre lì bianco, immenso, mezzo uomo, mezzo uccello. Non riusciva a concentrarsi sulla lettura né a stare ferma nel letto. Quella notte l’insonnia era intollerabile.

Alla fine gettò il libro in terra facendolo volare per tutta la stanza con un gesto da pazza.

“E dì qualcosa, no!” Disse, in direzione dell’angelo, con una voce tra minacciosa e supplichevole.

Silenzio.

“Tanto non mi freghi sai. Ho capito subito da dove vieni. Vieni dalla mia stanchezza, dalla mia esasperazione, dalla mia rabbia di non poter dormire”. Ora urlava senza neppure accorgersene. Anzi credeva solo di pensare.

“Ma io ora ti frego perché guarda cosa faccio”. Prese dal cassetto del comodino un tubetto di sonniferi e cercò di aprirlo con gesti febbrili, ma il tappo pareva incollato e per quanti sforzi facesse non riuscì ad aprirlo. Si buttò, allora, sul letto supina con la schiuma alla bocca per la rabbia e morse disperatamente il cuscino fino a provare dolore alla dentatura. Ma le lacrime che avrebbero potuto portarle sollievo ancora non venivano. Non piangeva da moltissimi anni. Del resto che motivo avrebbe avuto di piangere nella sua vita? Tutto andava bene: successo, denaro, uomini ai suoi piedi. Duravano poco perché lei si stancava subito ma erano tanti: una legione intera. Solo l’insonnia era il suo problema perché non sopportava la notte, con il grembo pieno di solitudine e di silenzio.

Ma c’erano i sonniferi: uno, due, tre, quanti ne servivano. Ma questa notte, proprio la notte del menagramo, i sonniferi non c’erano.

L’orologio del campanile vicino a casa sua, batté quattro colpi. L’alba era ancora lontana.

La rabbia, intanto, si andava trasformando in angoscia: un baratro profondo come un oceano. Si sentiva come se fosse chiusa in una stanza ermetica nella quale cominciava a salire l’acqua dal pavimento al soffitto: un’acqua soffocante che già era arrivata al petto.

Dalla strada deserta non salivano più rumori. La città dormiva. Le pareva di essere l’unico essere umano sveglio in una comunità di dormienti. Si sentiva esclusa dalla pace del sonno. La maledetta. Si udì un singhiozzo. Tese l’orecchio. Da dove era partito? Forse l’angelo piangeva? Ma si trovò bagnata di vere lacrime sue che inzupparono in breve il cuscino. Si lasciò andare alle lacrime come un fuscello trasportato dalla corrente.

Il mattino la trovò addormentata come una bambina, rannicchiata su se stessa, con il mento volto verso le ginocchia e sul viso un’espressione innocente.

La tenda bianca sventolava alla brezza mattutina.

L’Angelo era tornato in Cielo lasciando sul tappeto una piccola piuma delle sue ali.

*Licia Mizzan, scrittrice.