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La vita sconvolta dal covid e la speranza ritrovata

Il 2020 è andato via con il suo carico di orrore. Quando vide la luce lo salutammo con fuochi d’artificio, brindisi ed effimero divertimento. Stolti! È stato lui a farci la festa vera. E che festa! Frantuma, da un giorno all’altro, i nostri progetti di vita, familiari, amicali, professionali, economici, socio-culturali. Irrimediabilmente andati in pezzi. Con un cancellino, di quelli usati nell’infanzia per eliminare il gesso sulla lavagna, travestito da virus-orco, spazza via con furia sogni, programmi, aspettative. Uno tsunami! Fa tabula rasa della normalità che vivevamo senza averne piena consapevolezza. Una guerra virale che sospende le nostre vite, le barrica nel bunker delle proprie coscienze, affidandole a specchi in cui non c’eravamo mai specchiati prima. Da marzo, rinchiusi nelle nostre case, riflettiamo sulla precarietà della vita. Indossiamo le maschere, quando usciamo, non senza mugugni e lamentele. Ma prima non indossavamo le maschere per uscire? Altre maschere, certo! Invisibili maschere per apparire agli altri diversi da come siamo. 

Mi viene in mente Vitangelo Moscarda, il protagonista del romanzo di Pirandello “Uno, nessuno, centomila”, che apprende dalla moglie di avere il naso storto, un dettaglio di se stesso non notato prima. Questo innesca un vortice di ragionamenti che lo conducono, attraverso vari esperimenti, alla consapevolezza di non essere per gli altri come egli è per se stesso. Il Covid ci ha costretti a vedere il nostro “naso” storto: ci ha denudati delle false certezze, dei surrogati con i quali nutrivamo il corpo e lo spirito, della voglia sfrenata di apparire anche nella mediocrità. Ci siamo ritrovati allora sui terrazzi, nei balconi, a cantare insieme ai vicini, fino a ieri sconosciuti. Ci siamo abbracciati nella solidarietà per chi ha perduto lavoro, risparmi, tutto. Abbiamo considerato l’altro come parte dell’umanità, ci siamo chiesti se la maestosità creata dall’uomo sia frutto di distruzione dell’ambiente e della salute pubblica. Abbiamo pianto per le migliaia di persone che ci hanno lasciato e abbiamo sentito il cuore pervaso dalla medesima pietas di Enea. 

L’eroe greco che soffoca il pianto, sacrifica se stesso e, in nome dell’interesse collettivo, vive una vita non scelta, ma imposta. Enea simboleggia il dramma degli esuli, ma anche la speranza per la costruzione di un destino migliore. E quanti medici, infermieri, volontari, gente comune, si sono trovati a vivere da esuli lontani dalle proprie famiglie, dai propri affetti? Tanti! Troppi! E noi? Altrettanti esuli segregati fra le mura domestiche in cerca della nostra smarrita identità. Eppure, confinati nella nostra clausura domestica, stavamo riappropriandoci di quell’umanità che pur ci appartiene. Stavamo diventando veramente migliori! Stavamo uscendo dall’indifferenza che vestiva le nostre giornate prima della pandemia. 

Poi è arrivata l’estate… con il mare, il sole e le misure restrittive allentate. Siamo ritornati i “lupi” di prima… egoisti, irrispettosi delle regole, incivili, irresponsabili.  Intanto, il virus rideva a crepapelle della nostra stupidità, ricominciando impunito a mietere vittime. Nuovo lockdown e nuove sterili discussioni su come trascorrere le festività. Quanti di noi si sono chiesti, invece, come hanno trascorso il Natale le nostre nonne quando i mariti, i figli, i fratelli erano in guerra? Senza ricevere notizie? Senza conoscere la sorte dei propri cari? Nel silenzio della loro intimità versavano lacrime di sangue dinanzi ai Santi sotto campana, presenti sul comò insieme alla foto dei congiunti, e pregavano con fede. Erano, le loro, “feste” di desolazione, e seguitarono a esserlo, nei decenni successivi, per quelle famiglie che non videro tornare più dal fronte i loro familiari. Ai danni delle guerre si sommarono quelli delle varie pandemie succedutesi nel tempo: peste, colera, vaiolo, tubercolosi, asiatica, aviaria. Eppure i nostri padri sono andati avanti con fierezza, dignità, onestà, regalandoci un mondo che abbiamo desertificato, plastificato, inquinato, distrutto. E ora? 

Fiorella Mannoia per il suo ultimo album “Padroni di niente” sceglie una copertina ispirata al quadro “Viandante sul mare di nebbia” di Caspar David Friedrich, pittore tedesco, esponente dell’arte romantica, che lo realizzò nel 1818. L’opera irradia messaggi profondi come l’humilitas occidit superbiam (Sant’Agostino), l’imperfezione sperimentata dall’uomo durante la contemplazione dell’infinito, ovvero di Dio. Il mare di nebbia fa emergere la visione del paesaggio sottostante: la vita. L’isolamento del viandante diviene viaggio della vita verso il sublime. L’uomo percepisce sgomento e piacere dinanzi all’immensità della natura. Il viandante riflette in senso filosofico sulla propria condizione, sui suoi percorsi interrotti, sulle sue scelte. Sull’autostrada, che seguiteremo a percorrere anche in questo 2021, troveremo, come nel 2020, delle interruzioni per lavori in corso, non volute. Non richieste. Sta a noi la libertà di scegliere quale deviazione prendere per giungere alla meta prefissa e quale scartare. Ognuno di noi è esule ed errabondo, come il viandante di Friedrich, homo viator, in cerca di verità. Saremo capaci di immetterci sulla corsia giusta per riprendere i percorsi interrotti dal Coronavirus e migliorarli? Il Natale, il rito che ci ha permesso, ogni anno, di intensificare il sentimento di appartenenza alla nostra comunità, diventi per il futuro l’ancora quotidiana di salvataggio in questa pandemia. Ciascun uomo ha il proprio percorso storico in cui rielabora emozioni affettive e conflitti irrisolti, che porta con sé quando relaziona con gli altri, siano essi bambini, adolescenti, giovani, adulti, anziani. Concorriamo insieme alla “Rinascita” della famiglia, della scuola, della società, dell’economia, del mondo, promuovendo la cultura. Dante considerava la ricerca e il conseguimento delle virtù e della conoscenza, cioè del sapere trascendente, la vera ragione dell’esistenza umana: “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguire virtute e conoscenza” (canto XXVI, Inferno). La cultura sarà la nostra forza e arma. Combattiamo insieme non solo il Coronavirus, ma tutti i virus dell’ignoranza. “L’uomo cammina e lascia la sua traccia. / Costruisce muri sopra gli orizzonti. / Stabilisce confini, le leggi, le sorti. / Sbaglia, sbaglia chi non cambia. / Chi genera paura, chi alimenta rabbia. / La convinzione che non cambierà mai niente / è solo un pensiero che inquina la mente. /…/ C’è che siamo padroni di tutto e di niente. / C’è  che l’uomo non vede, non parla e non sente. / Qui c’è gente che spera in mezzo a gente che / spara e dispera l’amore. / Qui c’è chi non capisce che prima di tutto la vita è /un valore.”, canta Fiorella. Che il suo canto diventi il nostro!

*Palmina Cannone, giornalista e scrittrice