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VerbumPress

La sera della vita

>> #PilloleDiEmozioni

Essere anziani è sicuramente un dato biologico, ma il rapido decadimento fisico ed intellettuale è accelerato dalla consapevolezza di essere soli, di essere poveri. L’essere vecchi, non è uguale all’essere malati, è la sommatoria di dati sociali e naturali, una sorta di biunivoca incidenza nel loro intrecciarsi. Allora, è sul paino culturale che dobbiamo partire, verificando tutte le possibilità insite in una società così composita come la nostra, per aiutare gli anziani a sentirsi perfettamente inseriti nella società. A dire il vero, oggi come oggi, gli anziani, aiutano i figli dal punto di vista economico e, spesso, crescono i nipoti. E’ intorno alla famiglia che si devono attuare le possibilità per evitare di ricorrere alla risposta assistenziale: istituzione questa, la famiglia, che ha subito un radicale mutamento, negli ultimi anni, di fronte ad una società che ha trovato un’organizzazione indipendente da essa e, spesso, in contrasto con essa. La situazione esistente col drammatico calo demografico, richiede interventi e risposte concrete. I ritmi della vita moderna, i valori che vanno rapidamente esaurendosi, così rapidamente com’erano sorti, un’organizzazione sociale che incentiva i rapporti extra familiari, l’hanno messa in crisi. Nel tentativo di difesa, la famiglia si isola, diventa unicellulare, superando anche legami naturali essenziali, ma che ostacolano la possibilità di cogliere i miti dell’oggi. Se esaminiamo la condizione degli anziani nella società “post” industriale, ci rendiamo subito conto che i principi generali della Costituzione e cioè la considerazione della “pari dignità sociale”, senza distinzioni… di condizioni personali e sociali, sono disattese, così come è disattesa la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale, che impediscono il pieno sviluppo della personalità. Oggi gli anziani sono di fatto, nella loro generalità, cittadini di seconda categoria. Alla cessazione dell’attività lavorativa, vengono catapultati fuori dalla vita attiva e affidati ad un sistema di sicurezza sociale organizzato più per tutelare l’organizzazione che gli individui stessi, diventando così cittadini di serie B. Il recupero delle persone appartenenti alla cosiddetta terza età (quarta età?) oggi è maggiormente possibile, perché l’età anagrafica, spesso non corrisponde con l’età fisica o psicologica: ci troviamo di fronte, talora, ad anziani mentalmente giovani. Sarebbe, però, limitativo prendere in esame soltanto le difficoltà, senza considerare le cause di tale indubbia realtà che accompagna, in genere, la vecchiaia. Dall’altra, quali strati o categorie di cittadini vivono in situazioni di emarginazione? Allora, guardandoci intorno, vediamo un rapporto crescente di inattivi sugli attivi, un considerevole numero di persone che cerca lavoro e non lo trova. Questo meccanismo crescente, proprio del sistema, non riesce a riassorbire la disoccupazione strutturale mediante un’estesa partecipazione al lavoro, quindi, ci dà come risultato una società sempre più disintegrata nel sistema di relazioni interpersonali. I giovani a scuola, costretti a scuola (non tutti), le donne a casa, costrette a casa e lavoro, gli anziani a riposo…i migranti non si sa dove, gli uomini adulti in fabbrica, nei campi, in ufficio, o nelle piazze della disoccupazione, e tanti sono profondamente isolati e insoddisfatti. Il benessere sociale, consumistico, del capitalismo maturo che garantisce un minimo di crescita e di sopravvivenza delle attività, attraverso anche a quella specie di protezionismo sociale che ha tenuto ad introdurre, lo paghiamo, dunque, necessariamente in termini di sacche di povertà e di malessere. Per queste ragioni, e non solo per queste, il problema degli anziani, come quello dei giovani disoccupati, degli emarginati, non è risolvibile se non si modificano certi rapporti economici e sociali; se non si afferma, cioè, un nuovo tipo di sviluppo culturale, espressione di una società che metta al centro, al posto del profitto, l’uomo. 

La sera della vita: “Sta calando la sera della vita, il nonno mi ripeteva una storia infinita. Nella casa di riposo ora è là. Chi mi accompagnerà nel parco della città? Chi mi racconterà le favole del tempo andato, le favole del tempo che verrà?”.

*Sergio Camellini, psicologo