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La scienza, la critica scientifica e la mercificazione del sapere

Marco Mamone Capria è un professore dell’Università di Perugia che ha pubblicato il saggio “Scienziati e laici. Per un controllo democratico della scienza”, che analizza la scienza dal punto di vista storico, mediatico e sociale (per studiosi e non, 394 pagine effettive, 2020, Lulu, euro 16).  

Il saggio del Prof. Mamone Capria è molto documentato, ricco di aneddoti medici e scientifici (soprattutto relativi ad alcune vaccinazioni), e prende in esame la bioetica e la critica degli scienziati professionisti, cioè degli studiosi pagati a livello privato o pubblico. In realtà anche il settore pubblico oggi dipende dal settore privato, sia per i finanziamenti, sia per le collaborazioni e gli scambi scientifici. Generalmente in ambito scientifico molti fenomeni e molte tesi sono controverse e “il loro riconoscimento ufficiale (o quello della loro negazione) ha importanti conseguenze socio-politiche” (p. 3). Generalmente l’incertezza scientifica viene riconosciuta quando i dubbi sono sollevati da una persona ritenuta competente da almeno un’istituzione riconosciuta. E già qui iniziano i primi problemi riguardanti la certificazione dei cambiamenti e delle rivoluzioni scientifiche, soprattutto i cambi di paradigma all’interno di un pensiero disciplinare. Pensiamo alla vecchia idea che i tumori non sono influenzabili dalle reazioni di un buon sistema immunitario rafforzato in vari modi.

Chi appartiene a un’istituzione viene considerato uno scienziato, mentre un semplice studioso, un laico, “può essere di fatto altrettanto o anche più competente di uno scienziato su qualche tematica, ma nel dibattito pubblico la sua opinione conterà di meno, e di solito molto meno”. Però anche un fisico che si occupa di una questione che rientra nella biologia o nella politica va considerato, ai fini del dibattito pubblico, un laico”. Sono quindi “le opinioni degli scienziati di settore che possono far dichiarare aperta o chiusa una controversia scientifica” (p. 4).

Ma una vera comunità scientifica è sempre divisa, anche se ha visioni e opinioni condivise da una maggioranza di scienziati, che può imporre i suoi portavoce più rappresentativi, rispetto alla minoranza di scienziati perplessi, che potrebbero diventare la nuova maggioranza, coltivando l’arte del dubbio migliorativo (non sono i portavoce a promuovere i cambiamenti più significativi e risolutivi). Inoltre ogni comunità scientifica è organizzata gerarchicamente e seleziona più o meno per cooptazione e per interesse chi vuole aderire. Naturalmente le mode intellettuali, le pressioni politiche e i gli opportunismi mediatici colpiscono tutti gli esseri umani, compresi gli scienziati.

Nella nostra vita quotidiana quindi può accadere che una piccola minoranza di scienziati può imporre il proprio punto di vista professionale a tutti i cittadini, con il rigore delle norme e delle leggi. Ma se in molti ambiti scientifici di carattere economico, sociale e sanitario ci sono quasi sempre delle tesi controverse, non esiste una vera legittimità per imporre delle condotte assolute. Per questo motivo quasi tutte le nazioni hanno una Costituzione che serve a vigilare sul rispetto delle libertà personali e sociali. La comunità scientifica segue un ordine gerarchico, il che “è in contrasto con l’idea di libertà di pensiero e di iniziativa” della pratica scientifica” (p. 16). Purtroppo la suddivisione tra scienziati che si occupano di teoria e quelli sperimentali, ha impoverito la valutazione dell’implementazione di una buona teoria o di una buona sperimentazione.

Il problema della gerarchia scientifica si ripercuote sulla pubblicazioni onorarie meno affidabili e più politicizzate dei vari direttori di dipartimento. Una seconda paternità onoraria avviene anche nel campo medico: molti articoli importanti “sono stati scritti, a pagamento, da persone incaricate dall’industria di sostenere una certa tesi precostituita, e poi “offerti” a qualche ricercatore famoso (sempre a pagamento!) perché conceda loro la propria firma” (p. 23). Naturalmente l’articolo sarà quasi sempre valutato in un modo molto superficiale, ed è il gran segreto dell’editoria medica sempre più dipendente dai finanziamenti delle case farmaceutiche. I ricercatori più indipendenti vengono puniti alla prima occasione, come è avvenuto nel caso di Nelson-Rees, scopritore della contaminazione delle linee cellulari tumorali (p. 32). Le istituzioni scientifiche non promuovono chi denuncia le ricerche inquinate dai grandi errori scientifici che hanno pesanti ricadute economiche per gli sponsor privati più influenti.

L’eccesso di centralizzazione scientifica comporta tre principali problemi fondamentali: il rischio di “arroccarsi per lunghi periodi su posizioni sbagliate”; il rischio di ignorare per troppo tempo “le direzioni di ricerca fruttuose” e socialmente più vantaggiose; il rischio di “alimentare una competizione malsana” tra gli scienziati (p. 44). Nella vita reale tutti i problemi hanno più concause e vanno affrontati con una panoramica a 360 gradi. Quindi quasi tutti i problemi sociali “non rientrano, di regola, in nessuna delle specialità ufficialmente riconosciute come campi di studio per gli scienziati” (p. 7). Anche l’eccesso di specializzazione comporta dei gravi problemi di comprensione generale di un fenomeno sociale, a breve, a medio e a lungo termine.

Oltretutto bisogna ricordare che tra i maggiori scienziati che crearono le attuali fondamenta scientifiche erano pochi quelle che lavoravano nelle università, e “nelle loro opere si trovano lucidissime analisi dei problemi della “Repubblica delle lettere” dell’epoca” e “del conformismo intellettuale universitario” (p. 5). Comunque “molte grandi scoperte sono state fatte da persone che non erano specialisti riconosciuti nel settore” (p. 59). Ad esempio Charles Darwin non aveva studiato biologia, ma medicina, giurisprudenza e teologia. Del resto Freud era un medico, e rivoluzionò la filosofia e fondò la psicologia. Leonardo era un autodidatta che si prendeva gioco dell’ingenuità degli accademici. Einstein era un autodidatta che lavorava nell’ufficio brevetti svizzero e rivoluzionò la fisica. Adam Smith, il fondatore della scienza economica era un grande studioso di filosofia morale. 

Oggi uno dei principali problemi riguarda i troppi condizionamenti dovuti alla grande riduzione dei finanziamenti pubblici alle università e al grande aumento di quelli privati, poco disinteressati. Gli interessi economici degli azionisti e delle multinazionali impongono molte scelte poco vantaggiose per le singole nazioni e per l’intera comunità umana. L’altro problema principale riguarda la chiusura mentale che impone lo schema della specializzazione. Prendiamo l’esempio del processo d’infezione “che dipende dall’interazione tra microbi e “terreno” individuale… Eppure microbiologi e immunologi “vanno a convegni diversi, leggono e pubblicano su riviste diverse, e ricevono i loro finanziamenti da comitati diversi”: come se ciò di cui si occupano gli uni fosse irrilevante per gli altri” (p. 8). Tutto ciò ha attivato un pericoloso processo di deresponsabilizzazione scientifica.  In realtà anche uno scienziato diventa uno semplice studioso laico, e osservatore, quando il tema preso in esame è al di fuori della sua specializzazione scientifica. Il dubbio, e la problematica della verità provvisoria e della ricerca di una verità più approfondita, rappresenta il cuore della coscienza scientifica di ogni vero studioso. Un vero difensore dei valori democratici sa che una vera controversia scientifica non può essere decisa in base al voto di maggioranza di un comitato più o meno politicizzato di scienziati. L’arte del dubitare, del verificare, del confrontare, del criticare e del ricercare la verità a ogni costo, sono gli ingredienti basilari di ogni avventura scientifica. Tutti gli uomini possono sbagliare e solo una pluralità di occhi, orecchie, mani, nasi, lingue e cervelli può limitare gli errori e può far scoprire le nuove miniere del sapere.

*Damiano Mazzotti, citizen journalist