La Repubblica del Kosovo, la Nato e l’Europa
Dopo quasi 25 anni di oblio c’è bisogno di una svolta europea
Le proteste dei serbi nel Nord del Kosovo e l’immediata rilevanza mediatica, ci hanno fatto ricordare la realtà kosovara fino ad oggi rimasta nel limbo di una Europa distratta da tante cose e ultimamente anche dalla guerra in Ucraina. I risultati si ottengono con la politica del dialogo e mai con le forzature, i Balcani, Kosovo compreso sono realtà sensibili e tutte le azioni devono essere sempre ben valutate e ponderate, per evitare di mandare all’aria quanto di buono è stato creato fino ad oggi. Tutti noi ci eravamo dimenticati della Repubblica del Kosovo, grande come l’Umbria e con quasi 2 milioni di abitanti, il più giovane stato d’Europa proclamatosi il 17 febbraio 2008, ad oggi ancora a sovranità limitata. Era il 24 marzo del 1999 quando le truppe della Nato, Italia compresa e quelle russe entrarono in Kosovo per liberare l’area dall’esercito serbo e dai suoi feroci paramilitari, che avevano completato la pulizia etnica spingendo oltre confine i civili di origine albanese e musulmana.
Una vergognosa pagina di storia europea, iniziata male ma fortunatamente finita bene, grazie all’impegno della comunità internazionale, che ha portato all’arresto da parte del Tribunale dell’Aia del dittatore Slobodan Milosevic e dei suoi gerarchi. L’Italia scoprì prima degli altri il drammatico esodo kosovaro a Kukes, cittadina albanese al confine con il Kosovo e cominciò ad inviare, aiuti alimentari e sanitari da destinare ai profughi. Le frontiere con l’Albania, Montenegro e Macedonia videro colonne di profughi kosovari di etnia albanese in transito a piedi e con mezzi di fortuna, in quei giorni se ne contarono oltre 300 mila. L’iniziativa umanitaria continuò con l’accoglienza in Italia di interi gruppi familiari, trasferiti con un ponte aereo, accolti in caserme dismesse e varie strutture alloggiative trovate in tutta la penisola e la Sicilia. Lo sforzo continuò per alcuni mesi fino al ritiro dell’armata serba e la messa in sicurezza della regione, per poi fare rientrare i profughi nelle loro case con un altro ponte aereo. I kosovari ringraziano ancora oggi l’Italia e non dimenticheranno mai, la grande opera del governo di allora nel gestire l’emergenza umanitaria che li ha visti coinvolti. L’impegno dell’Italia è stato incessante e continuo, ancora oggi nella capitale Pristina il contingente Nato Kfor, è comandato dal generale di divisione Michele Ristuccia 13° Comandante Italiano alla guida della missione. Il grosso del contingente italiano circa 800 militari, si trova nella città di Peja a Villaggio Italia ed è composto da un comando di Reggimento, che impiega anche militari di Albania, Austria, Croazia, Macedonia del Nord, Moldavia, Polonia, Svizzera e Turchia, che operano nell’ambito della forza Nato Kfor “Regional Command West”, comandato dal Colonnello dell’Esercito Mario Bozzi.
L’Italia in prima fila sempre per garantire la pace e la sicurezza, ma è evidente che lo sforzo dopo quasi 25 anni tende ad esaurirsi, perché l’area ha bisogno di stabilità e di investimenti europei, in poche parole ci vuole una giusta attenzione per trasferire ricchezza e creare infrastrutture. Alla missione Nato bisogna affiancare una missione europea per la rinascita del Kosovo, con investimenti mirati alle infrastrutture, strade ed energia. Il Kosovo è un piccolo angolo d’Europa molto bello dal punto di vista naturalistico e ancora non soffocato dal cemento, quindi può ambire ad attrarre turismo attento all’ambiente come il cicloturismo che è in forte crescita in Europa. Da ricordare che la Repubblica del Kosovo non ha una moneta di stato ma adotta l’euro, da tempo molte azienda europee hanno iniziato a operare e sviluppare fruttuosi rapporti commerciali. L’Italia ha storicamente una grande esperienza e potrebbe trasferire il format “Alto Adige”, per applicarlo anche in Kosovo naturalmente riformulato e su mandato europeo. L’ingresso in Europa del Kosovo, della Serbia, dell’Albania e a seguire l’abolizione dei confini porterebbe ai kosovari di tutte le etnie nell’arco di pochi anni benessere, ricchezza e tranquillità, ma per fare questo ci vuole una forte volontà europea.
*Domenico Interdonato, giornalista