La Papessa Giovanna, quando la leggenda sfuma nella storia
Cosa c’è di vero nella leggenda del “Papa-femina”? La Papessa Giovanna potrebbe essere realmente vissuta e la stessa Chiesa ne avrebbe cancellato le tracce? Tra peccato e redenzione il mito di una donna salita con l’inganno al suolo pontificio che ha attraversato oltre dieci secoli di storia.
Roma e i suoi vicoli raccontano da sempre le storie più affascinanti, testimonianze del passato e dei costumi di una città leggendaria. La capitale è costellata di edicole, insegne, stemmi e targhe che raccontano di famiglie e di casati, che ci riportano indietro fra le pieghe e il respiro dei secoli, tra miti la cui memoria si intreccia con i fatti realmente accaduti, dando vita a storie che si tingono di mistero e di seduzione.
C’è una leggenda in particolare, legata al sacello votivo di Via dei Querceti, che attraversa oltre 1000 anni, che ha affascinato storiografi e studiosi di ogni epoca, entrata perfino nella letteratura attraverso gli scritti di Petrarca e Boccaccio. E’ quella di Johannes Anglicus, alias la Papessa Giovanna che secondo alcuni annalisti sarebbe salita al trono pontificio con il nome di Giovanni VIII. Ma chi era Johannes Anglicus?
Verso la metà del IX secolo una giovane ancora adolescente, di origini umili, cresciuta a Magonza, ma di natali inglesi, assumendo abiti maschili abbandonò la patria assieme ad un suo amante monaco e fuggì ad Atene, dove ebbe modo di studiare le arti del trivio (dialettica, grammatica e retorica) distinguendosi fra tutti per erudizione, saggezza e oratoria. Morto il suo compagno, si trasferì a Roma: qui sempre in abiti maschili, grazie al suo straordinario sapere riuscì a scalare la gerarchia ecclesiastica, acquistandosi grandi simpatie anche come specchio di virtù: al punto che alla morte di Leone IV, nell’855 fu eletta papa: dopo circa due anni di pontificato però un fatto sconvolse la curia e gli abitanti dell’Urbe: durante uno dei consueti, solenni cortei dal Vaticano ai palazzi Lateranensi dove allora vi era la dimora dei Papi, superato di poco il Colosseo e a pochi metri dalla chiesa di San Clemente, tra la sorpresa generale, colui che tutti avevano creduto e osannato come papa partorisce in mezzo alla strada, dando alla luce un bambino e tingendo di zolfo la reputazione della santa madre Chiesa. Secondo quanto riportato dagli storici, dove madre e figlio muoiono, venne eretta anche una “memoria” dell’ignominioso accaduto. Si tratta proprio del “sacello”, che si narrava fosse stato eretto in ricordo della Papessa: un’edicola votiva tutt’ora esistente, rimasta proprio in quel punto da mille anni, dedicata alla Madonna con il bambino.
La storia presenta altre versioni: una volta scoperto il segreto la papessa Giovanna fu fatta trascinare per i piedi da un cavallo, attraverso le strade di Roma, e lapidata a morte dalla folla inferocita nei pressi di Ripa Grande.
Ma cosa c’è di vero nella leggenda? E come è nata? La Papessa Giovanna potrebbe essere realmente vissuta e la stessa Chiesa ne avrebbe cancellato le tracce, considerando la sua esistenza una macchia che avrebbe intaccato il potere temporale e spirituale del Papato e della sua diretta discendenza da Pietro?
Oppure si tratta della manipolazione di una credenza popolare, creata ad arte dai detrattori della chiesa di Roma già nell’XI secolo ai tempi dello scisma d’Oriente, da parte degli ordini mendicanti, poi degli eretici quattrocenteschi e infine da Lutero e il Protestantesimo, per delegittimare il potere Papale e gettare oltremodo fango sugli usi e i costumi della Chiesa Romana? Un vero e proprio giallo storico.
Un aspetto che senza dubbio inficia la veridicità della storia è l’assenza di fonti ad essa coeve del IX secolo. Inoltre, parecchi scritti sono apocrifi e sovente i brani sarebbero interpolazioni. Le uniche testimonianze attendibili dunque risalirebbero appunto al XIII secolo.
Secondo l’accurata ricostruzione di Cesare D’Onofrio a parte la realtà fisica di una Papessa femminile, “tutti gli ingredienti della storia sono assolutamente veri, compreso quello di una “realtà allegorica” – quindi solo simbolica- di un Papa donna. Per capire il significato di tale affermazione bisogna tornare indietro nel tempo. Le tracce della storia di Giovanni Anglico si trovano per la prima volta nel Chronicon di Mariano Scoto, morto nel 1086. Nella serie cronologica dei pontefici dopo Leone IV, attribuita dallo studioso benedettino nell’854 anziché nell’anno seguente, scrive: “a costui successe Giovanna, donna, per due anni 5 mesi e 4 giorni”. Quindi all’anno 857 fa seguire Benedetto III. E’ interessante osservare che il benedettino Scoto riconosceva Leone IV come centoduesimo e Benedetto III come centotreesimo pontefice (a cominciare da San Pietro): a testimonianza che egli non credeva affatto nella validità canonica di un papa di sesso femminile, lasciandola fuori dalla enumerazione ordinale.
Ritroviamo La storia del “Papa femina’’ anche nella Chronographia del benedettino francese Sigeberto di Gembloux, morto nel 1112, che aggiunge ulteriori particolari rispetto alla versione di Mariano: affermando che “la Papessa Giovanna non venisse enumerata”. Un’altra registrazione della leggenda appare nei testi attorno al 1240 e 1250 della “Cronaca Universale di Metz” attribuita al domenicano Giovanni de Mailly. Successivamente troviamo la Storia della Papessa Giovanni nel Chronicon Pontificum et Imperatorum” (1277) del Cardinal Martino Polono, domenicano, che offre oltre alla già citata versione una nuova trasposizione: Martino scriveva a proposito della ragazza di Magonza:” … venendo dal Laterano verso S. Pietro nella strada che conduce al Colosseo stretta dalle angustie del parto partorì in mezzo alla via. La memoria di lei scolpita su pietra esiste ancora oggi. E quel vicolo (oggi via dei Querceti) fu detto Vicolo della Papessa (Vicus Papisse) essa in verità venne subito deposta, vestita d’abito monacale visse in penitenza fino a che suo figlio divenne Vescovo di Ostia. Sentendosi poi prossima alla morte ordinò di essere seppellita nel luogo stesso dove aveva partorito: la qual cosa però non volendo permettere suo figlio, trasportato il corpo presso Ostia lo tumulò con onore in una chiesa più grande. Per i meriti di costei fino ai nostri giorni Dio ha operato moltissimi miracoli. Ma per il fatto che nelle sacre scritture della discendenza delle donne non si tiene conto, appunto per questo nelle cronache essa non viene annoverata tra i pontefici”.
Martino Polono pur parlando di una Papessa Giovanni non parla del numerale, che troviamo per la prima volta solo nei testi di Tolomeo, vescovo di Lucca (verso il 1310). A portare ufficialmente la storia della papessa Giovanna all’interno del Vaticano fu Bartolomeo Sacchi, detto Il Platina, il quale, in qualità di Bibliotecharius della Biblioteca Vaticana in vista dell’anno giubilare del 1475, fu incaricato da Sisto IV di redigere un nuovo testo con le vite dei Papi. Basandosi sulle fonti già citate e sul Liber Pontificalis con le Vitae del Platina entrava ufficialmente in Curia perché ritenuta attendibile dallo storico di Corte, anche la storia di un Papa femmina di nome Giovanni. Quindi la storia della Papessa Giovanna, forse perché citata da fonti non sospette (benedettini, francescani, domenicani, agostiniani) continua a sopravvivere indisturbata per oltre 4 secoli, senza che la Chiesa compisse alcun atto per celarla. Soltanto con il protestantesimo le vicende della Papessa avrebbero subito una svolta. Laddove i protestanti videro nella storia della Papessa una facile arma per dimostrare la corruzione della Chiesa, di contro il clero tenta di cancellarne le tracce, di volatilizzarla. La storia della diabolica Papessa inoltre si era via via arricchita di due ulteriori elementi: il primo riguardò la deviazione dal percorso tradizionale tenuto dai cortei papali, che per evitare di passare dinanzi a quella aborrita “memoria” compivano nei pressi un itinerario leggermente diverso. In realtà la via di san Giovanni in Laterano, nel tratto San Clemente-Colosseo non era ancora stata costruita (i lavori risalgono al tempo di Sisto V -1588) e la deviazione del corteo papale veniva effettuata proprio per evitare quelle strade tortuose e anguste (il gomito dell’odierna via dei Querceti=Vicus Papisse) che avrebbero potuto compromettere la sicurezza del corteo. Pertanto il corteo percorreva dalla Piazza San Giovanni il primo tratto di via san Giovanni in Laterano e invece di dirigersi a sinistra per il Vicus Papisse (tanto stretto e angusto da provocare il parto della Papessa) girava a destra verso la piazza di San Clemente proseguendo verso il Colosseo dalla via Labicana.
Il secondo elemento è assai più originale e anche più diffuso: un rito mai realmente avvenuto, ma fantasticato e ripreso, in chiave anti-romana e con molto gusto, dagli autori protestanti del Cinquecento: s’immaginò che ogni nuovo papa venisse sottoposto a un accurato esame intimo per assicurarsi che non fosse una donna travestita. L’esame avveniva con neo eletto assiso su una sedia di porfido rosso, nella cui seduta era presente un foro. I più giovani tra i diaconi presenti avrebbero avuto il compito di tastare sotto la sedia per assicurarsi della presenza degli attributi virili del nuovo papa.
“E allo scopo di dimostrare il suo valore, i suoi testicoli e la sua verga vengono tastati dai presenti più giovani, come testimonianza del suo sesso maschile. Quando questo viene determinato, la persona che li ha tastati urla a gran voce ‘virgam et testiculos habet! (“Ha il pene e i testicoli”) e tutti gli ecclesiastici rispondono: ‘Deo gratias! (“Sia lode a Dio”). Quindi procedono alla gioiosa consacrazione del papa eletto” (Felice Hammerlein- prima metà del 400).
Le famose sedie di porfido (che in realtà sono di marmo rosso) esistono ancora oggi: entrambe perfettamente conservate nonostante i loro 19 secoli, sono assolutamente identiche: una si trova nei Musei Vaticani, l’altra al Louvre di Parigi. Si ritiene dunque che l’invenzione della papessa Giovanna sia avvenuta a Roma, in un contesto carnevalesco che parodiava un particolare incomprensibile al popolo del rituale dell’incoronazione del papa. Il neoeletto papa doveva sedersi su due seggi di marmo rosso, chiamati seggi curuli: sul seggio di destra il pontefice riceveva il bastone e le chiavi, in quello di sinistra una cintura rossa dalla quale pendevano dodici gemme. In nome dell’idea di Mater Ecclesia, o per rituali antichi di cui si era perso il senso, come testimonia anche lo storico medievalista Alain Boureau, il neoeletto doveva assumere la posizione della partoriente mentre gli venivano consegnate le Chiavi di Pietro. La curiosa cerimonia s’interruppe nel 1304, quando i papi si trasferirono ad Avignone, ma pare venisse ripresa col ritorno a Roma, restando in vigore fino al 1513- quindi ancora più incomprensibile per i fedeli. Ne deriva che la leggenda della Papessa Giovanna e del conseguente utilizzo della sedia per analizzare la virilità del Papa nasce dopo e non prima dell’utilizzazione liturgica delle sedie da parto. Tra l’altro nei primi decenni del X secolo Roma e i papi erano completamente alla mercè di donne prive di scrupoli, come Teodora e soprattutto sua figlia Marozia, che riuscì a far eleggere papa suo figlio, con il nome di Giovanni XI, il cui padre era inoltre Papa Sergio III (904-911), esercitando su di lui notevole influenza. Atmosfera pertanto delle più favorevoli quale terreno di coltura per una leggenda di una femmina- papa. Quasi a esorcizzare la storia della papessa Giovanna l’idea di Mater Ecclesia è simbolizzata nelle sculture alla base delle colonne del baldacchino dal Bernini in San Pietro, con sei volti di donna in diverse fasi del parto più un sorridente neonato. Volute da papa Urbano VIII. C’è infine un altro aspetto, una serie di coincidenze, che hanno determinato la leggenda della Papessa Giovanna. Sul Liber Census di Cencio Camerario del 1192, a proposito delle famiglie a cui spettava la riscossione di una somma da parte delle Camera Apostolica per essersi occupati degli arredi urbani per il corteo Papale, l’autore scrive: “di qui fino alla casa di Giovanni Papa VIII soldi provesini”- Dove VIII si riferiva non a Giovanni, bensì al compenso in soldi provesini! Questo equivoco ha probabilmente dato origine al numerale di Giovanni VIII, quando già era noto che un papa Giovanni VIII era realmente esistito (872-882). Non solo troviamo testimonianza di un Giovanni Papa che ha vissuto proprio in quel topos o famoso Vicus Papisse, (proprio nel palazzo di fronte al sacello votivo) ma quel numero VIII a numeri romani probabilmente ha originato il famoso numerale duplicato. Tutti elementi che legano la leggenda della Papessa a questi luoghi dimostrando la preesistenza toponomastica del vicus Papisse -una piccola strada facente parte della via Maior (dove transitavano i cortei papali) intitolata ad una signora appartenente alla ricca famiglia dei Papa, che dominava in questa zona. In seguito arbitrariamente identificata con la signora Papessa (cioè una di casa Papa). La papessa della leggenda venne così collegata al vicus (che era invece intestato alla Papessa autentica) e di conseguenza la storia di lei fu legata al sacello (l’edicola devozionale dedicata alla Madonna) posto in tale Vicus. Ma c’è di più: la famiglia Papa possedeva vasti territori, fra questi Ostia, il che ci riporta alla versione di Martino Polono, nella quale si narra che la Papessa, specchio di virtu’ era stata sepolta proprio a Ostia. Il cerchio dunque si chiude,il mistero del Papa-femmina è svelato.
Eppure, oltre la leggenda, la figura di Giovanna continua ad esercitare un innegabile fascino: in un’epoca in cui le donne sono considerate empie, inferiori e indegne di essere istruite, il coraggio di una ragazza, femminista ante- litteram – che si ribella per amore del sapere ad un destino già tracciato negli anni più bui della storia, sfidando i potenti, è indubbiamente ciò che la rende a distanza di secoli ancora così magnetica. Perché come diceva Sarah Bernhardt: “Malgrado la storia, la leggenda vince sempre.”
Fonti: C. D’Onofrio, Mille anni di leggenda- una donna sul trono di Pietro, Romana Società Editrice, 1978; A. Boureau, La Papessa Giovanna. Storia di una leggenda medievale, Torino 1991.
*Silvia Gambadoro, giornalista