La lunga marcia delle donne nelle Istituzioni elettive Parlamento, Regioni, Comuni
Firenze, 31 marzo 2023 – Biblioteca delle Oblate
Mi piace iniziare questo intervento sulla lunga marcia delle donne nelle Istituzioni della Repubblica partendo dall’Abruzzo, la mia regione, ricordando il contributo degli abruzzesi nella Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Non soltanto il contributo reso dalla gloriosa Brigata Maiella, l’unico reparto di “patrioti della libertà” insignito di Medaglia d’oro al valor militare, ma anche quello reso da civili, uomini e donne abruzzesi impegnati nella Resistenza umanitaria, attraverso la quale fu dato soccorso e protezione ad ebrei e dopo dell’8 settembre 1943 a militari italiani (tra i quali anche il sottotenente Carlo Azeglio Ciampi) e ai quasi tremila prigionieri alleati evasi dal Campo di Concentramento n.78 nei pressi di Sulmona o da altre strutture di detenzione in Abruzzo nel clima di sbandamento e in assenza di ordini determinatosi alla notizia dell’armistizio.
L’Abruzzo ha vissuto la guerra e il fronte, lungo la linea Gustav, per ben 9 mesi, da settembre 1943 a giugno ’44. La guerra vi ha ristagnato, con tutte le sue tragedie. In quei mesi gli uomini della Resistenza umanitaria, a rischio della propria vita, guidarono attraverso i sentieri della Maiella quei militari oltre il fronte, affinché potessero ricongiungersi a Casoli ai reparti militari alleati dell’VIII Armata. Le donne, anch’esse a rischio dei rastrellamenti tedeschi e della loro stessa vita, si adoperavano nella protezione dei prigionieri evasi e nel dividere con loro “il pane che non c’era”. Al mulino, quando macinavano il grano, ciascuna donna lasciava un pugno di farina proprio per assicurare le necessità di questa assistenza umanitaria. Il filosofo Guido Calogero, in quei mesi ritiratosi a Scanno, lasciò questa sua toccante testimonianza:
“[…] Le donne continuavano tranquillamente a dare il loro pugno di farina. Questa alta serenità femminile è stata una delle caratteristiche della reazione ai tedeschi e dell’aiuto agli alleati. Noi conoscevamo la fermezza delle donne italiane di fronte ai metodi polizieschi del fascismo, agli arresti e ai processi e agli interrogatori di loro stesse e dei loro congiunti. Ma potevamo credere che tali fossero solo le donne che erano riuscite a raggiungere un alto grado di educazione politica, appartenessero a famiglie di operai “sovversivi” o di intellettuali antifascisti. Il periodo dell’occupazione tedesca ci ha insegnato di che cosa sono capaci le nostre donne, anche soltanto per uno spontaneo senso di difesa della vita e della dignità umana contro ogni prepotenza. […]”
Illuminanti queste parole nel descrivere quel contributo delle donne abruzzesi alla cacciata dell’invasore tedesco e alla riconquista della libertà. Mi piace, in questo esempio della mia terra d’Abruzzo, vedere tutti i prodromi dell’Italia libera e democratica e l’inizio della lunga marcia delle donne nelle Istituzioni della Repubblica.
E infatti, con l’avvenuta liberazione e la fine della guerra, il 2 giugno 1946, la prima consultazione politica a suffragio universale, con il popolo italiano chiamato a decidere con il Referendum tra Monarchia e Repubblica ad eleggere l’Assemblea Costituente. Fu la prima volta che le donne potevano votare ed essere candidate nelle elezioni nazionali (l’anno precedente con il Decreto legislativo luogotenenziale del 1° febbraio 1945 era stato già concesso alle donne il voto nelle elezioni amministrative). Con quel voto del 2 giugno l’Italia scelse la Repubblica ed elesse 556 deputati dell’Assemblea legislativa che avrebbe scritto la nostra Costituzione. Con quel voto furono elette solo 21 donne nell’Assemblea, pochissime, ma di eccezionale levatura: Adele Bei, Bianca Bianchi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Maria De Unterrichter Jervolino, Filomena Delli Castelli, Maria Federici Agamben, Nadia Spano Gallico, Angela Gotelli, Angela Maria Guidi Cingolani, Nilde Iotti, Teresa Mattei, Angelina Merlin, Angiola Minella Molinari, Rita Montagnana Togliatti, Maria Nicotra Verzotto, Teresa Noce Longo, Ottavia Penna Buscemi, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Vittoria Titomanlio.
Cinque di esse entrarono nella Commissione Speciale dei 75 che avrebbe redatto il progetto di Costituzione, poi discusso e approvato dall’Assemblea: Maria Federici (Dc), Angela Gotelli (Dc) Nilde Iotti (Pci), Lina Merlin (Psi), Teresa Noce (Pci).
Rilevante fu il loro contributo nella stesura della Carta Costituzionale. Mi piace qui ricordare il contributo reso da Maria Federici – aquilana come chi vi parla – che operò nella terza sottocommissione, relativa ai diritti e doveri economico-sociali. Significativa fu la sua azione per il riconoscimento di pari diritti alle donne, anche nell’accesso alla Magistratura, fino ad allora escluso. Maria Federici si chiedeva come fosse possibile che quegli stessi Costituenti, che in una comune visione avevano sancito nell’art. 3 la pari dignità sociale e l’eguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge, potessero assumere posizioni ancora discriminatorie nei confronti della metà della popolazione.
“Ed è sorprendente constatare – ha giustamente sottolineato Gabriella Luccioli nel corso di un convegno – che personalità così illuminate non percepirono la gravità dei pregiudizi che annebbiavano il loro pensiero, impedendo di vedere che proprio quei principi di eguaglianza, pari dignità e solidarietà solennemente sanciti nei primi articoli della Carta erano stati offesi in passato in infiniti modi da una legislazione che aveva relegato le donne ai margini della vita sociale, del mondo del lavoro e all’ interno della famiglia e che la sede costituente offriva un’occasione storica irrinunciabile perché quei valori e quei principi si traducessero finalmente nel riconoscimento dei diritti delle donne.”
Dopo un lungo dibattito, segnato dagli appassionati interventi delle Madri costituenti Federici, Mattei e Rossi, si giunse all’approvazione dell’art. 51, che nel suo primo comma dispone che “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.” Una formulazione di compromesso che avrebbe avuto finalmente il giusto esito solo nel 1963, con l’accesso delle donne ad ogni ruolo della Giurisdizione.
Intanto assai difficile era per le donne l’accesso nelle Istituzioni elettive, permanendo in ampi strati della società italiana pregiudizi e misoginia nei loro confronti. Per molti decenni, quantunque l’art. 3 della Costituzione così sancisse testualmente:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
la presenza delle donne in Parlamento, nei Consigli Comunali, Provinciali, e dal 1970 nei Consigli Regionali, è stata sempre molto bassa.
Il 18 aprile 1948, nelle prime elezioni politiche dell’Italia repubblicana, le donne elette in quella prima Legislatura furono 49 in tutto, il 5%. Ci vollero quasi 30 anni – e altre sette Legislature – perché nel 1976 si superasse la cifra di 50 elette, e altri 30 anni per avere, nel 2006, più di 150 donne in Parlamento. Quota 300 è stata superata soltanto nel 2018 – con 4.327 donne in lista su 9.529 candidati – quando le elette sono state 334 su 945 Parlamentari.
Con l’avvenuta riduzione del numero dei Parlamentari – 400 per la Camera e 200 per il Senato -, i risultati delle elezioni del 25 settembre 2022 hanno eletto 129 donne sul totale di 400 Deputati, e 71 donne sul totale di 200 Senatori, cui vanno aggiunti gli attuali 6 Senatori a vita (tra cui 2 donne: Liliana Segre e Elena Cattaneo). Dunque nella XIX Legislatura la presenza di donne nei due rami del Parlamento è pari a 200 parlamentari, il 30%, in lieve calo rispetto al 2018.
C’è da osservare che il progressivo aumento della presenza delle donne nelle istituzioni elettive, è iniziato solo dopo il 2003, con l’approvazione della modifica apportata all’art. 51 della Costituzione. Una modifica che ha consentito l’adozione di provvedimenti tesi a garantire la partecipazione paritaria di uomini e donne alle cariche elettive. A tale scopo sono stati infatti avviati importanti interventi normativi per la promozione delle pari opportunità, quali l’adozione del Codice per le pari opportunità (D.Lgs. 11 aprile 2006, n.198) e la normativa sulle quote di genere (Legge n. 120/2011), che ha introdotto regole volte ad assicurare e incrementare la rappresentatività femminile nella composizione degli Organi di amministrazione e controllo delle società con azioni quotate e delle società a controllo pubblico, imponendo che il genere meno rappresentato sia di almeno un terzo i componenti di ciascun Organo. Infine la Legge n. 215/2012, che ha promosso il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei Consigli e nelle Giunte degli enti locali e nei Consigli regionali e la Legge n. 165/2017, che prevede prescrizioni nella presentazione dellecandidature volte ad assicurare l’equilibrio di genere nella rappresentanza politica.
Prima del 2017 le quote di genere nelle elezioni politiche non erano mai state inserite nell’ordinamento italiano, anche se alcuni partiti le avevano già utilizzate per la composizione delle proprie liste. In effetti, l’equilibrio di genere nelle due Camere era migliorato negli ultimi 25 anni, pur in assenza di obblighi legislativi fino al 2018. Tuttavia, nonostante la presenza femminile in Parlamento sia cresciuta tra la XVII e la XVIII legislatura, l’effetto delle quote è stato probabilmente inferiore alle previsioni. Ciò deriva dal fatto che chi compone le liste trova spesso il modo di aggirare lo spirito della legge elettorale, pur rispettandone formalmente i contenuti.
La lunga marcia delle donne nell’assunzione dei più alti ruoli nelle Istituzioni della Repubblica, pur con tutte le difficoltà legate alle problematiche di genere, lentamente ma progressivamente continua:
1976 – Prima donna Ministro: Tina Anselmi, governo Andreotti
1979 – Prima donna Presidente Camera: Nilde Iotti (poi Irene Pivetti nel 1994 e nel 2013 Laura Boldrini)
1981 – Prima donna Presidente di Regione: Anna Nenna D’Antonio (Abruzzo)
2018 – Prima donna Presidente Senato: Maria Elisabetta Alberti Casellati
2019 –prima donna presidente Corte Costituzionale: Marta Cartabia
2023 –prima donna Presidente Corte Cassazione: Margherita Cassano
2023 –prima donna Presidente del Consiglio: Giorgia Meloni
“La strada per il raggiungimento di una parità effettiva – costituita con pienezza da diritti e da opportunità – è ancora lunga e presenta tuttora difficoltà”, ha detto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’8 marzo scorso. “Ma vi si aggiunge la certezza che questa strada va percorsa con il massimo di determinazione e di rapidità. Perché dalla condizione generale della donna, in ogni parte del mondo, dipende la qualità della vita e il futuro stesso di ogni società. Non può esservi vera libertà se non è condivisa dalle donne e dagli uomini”.
“[…] La misoginia è all’origine di tutte le discriminazioni che, nei secoli fino a oggi, si sono manifestate, a ogni latitudine, contro le donne. Nessun Paese ne è stato immune; nessuna epoca storica” ha poi affermato il Presidente Mattarella parlando di “stereotipi e pregiudizi, determinati tutti da un unico elemento: la paura nei confronti della donna, del suo essere differente nel corpo e nella sensibilità, della sua intelligenza, della sua voce, della sua indipendenza”.
“La realtà delle donne che abbiamo ascoltato, le vicende di grandi donne che abbiamo conosciuto per esperienza diretta o per conoscenza della storia, di donne nella normalità della vita quotidiana, ci insegnano che donna è sinonimo di coraggio, di determinazione, di equilibrio, di saggezza, di pace, di promozione di libertà e diritti.”, ha infine concluso il Presidente Mattarella.
Mi sia consentita, a chiusura, solo un’annotazione di ordine personale. Ho avuto l’onore per quasi 30 anni di servire la mia città, L’Aquila, come amministratore civico: consigliere comunale, assessore e vicesindaco, fino al 2007. Un periodo abbastanza lungo, anche per osservare quanto la presenza delle donne in Consiglio comunale, l’organo elettivo, sia stata al massimo del 10% fino al 2017. Nelle elezioni del 2017 sono state elette 8 donne su 32 consiglieri (25%) e nelle elezioni del 2022 ne sono state elette 13 (41%). Un dato che certifica la rilevante funzione della normativa sulle “quote di genere”, che consentendo maggiore presenza delle donne nelle Istituzioni elettive, ha offerto alle donne la possibilità di dimostrare sul campo il loro valore.
C’è tuttavia ancora tanta strada da fare. Recentemente Linda Laura Sabbadini ha scritto, tra l’altro, in una riflessione: “[…] Ciò che è auspicabile è solo il desiderio di ciascuna di noi di realizzarsi e il diritto di essere se stessa. In un approccio plurale di riconoscimento reciproco, in primis tra donne, ma non solo. In una condivisione, una sorellanza in cui tutte si assumono l’obiettivo del rispetto delle esigenze delle altre, anche nelle battaglie, coscienti che ci sono tante differenze tra di noi, anche sociali, e chi sta peggio deve essere maggiormente sostenuta dalle altre. […]”
Se c’è un’osservazione conclusiva da fare, ebbene le donne sanno davvero mettere in campo, sempre di più, quella capacità di dialogo e di mutualità tra di loro che si esprime in forme di solidarietà e di “sorellanza”. Anche questo è un valore aggiunto alle loro qualità e alla tenacia di cui sono capaci e, per questa stessa ragione, le donne certamente ce la faranno a raggiungere il traguardo della parità sostanziale, un obiettivo per il quale tutti, donne e uomini, dovremmo operare con determinazione.
*Goffredo Palmerini, giornalista