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La grande invenzione, Paolo Benanti (San Paolo, 2021)

«Ci sono questi due giovani pesci che nuotano e incontrano un pesce più vecchio, che nuota in senso contrario, fa loro un cenno e dice: “Salve ragazzi, com’è l’acqua?”. I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’ e alla fine uno di loro guarda l’altro e fa: “Che diavolo è l’acqua?”». Questo aneddoto , raccontato dallo scrittore David Foster Wallace, scrittore  e accademico statunitense , definito dal New York Times un “Émile Zola post-millennio”, introduce il volume di Paolo Benanti, Francescano del Terzo Ordine Regolare, teologo e docente presso la Pontificia Università Gregoriana, l’Istituto Teologico di Assisi e il Pontificio Collegio Leoniano ad Anagni.

L’Autore, che ha orientato i suoi studi sull’impatto del Digital Age, le biotecnologie per il miglioramento umano e la biosicurezza, accompagna il lettore in un cammino di ricerca nel mondo del “Linguaggio come tecnologia dalle pitture rupestri al GPT-3”, edizioni Paoline.

Il linguaggio, infatti, non è un semplice strumento di comunicazione, ma è una condizione in cui abitiamo e viviamo. Tanto importante… che nemmeno ci facciamo caso.

Il linguaggio, come molti aspetti del vivere quotidiano, è pressoché invisibile e sconosciuto nella sua vera natura e la nostra capacità di comunicare, è la principale “invenzione” dell’umanità: senza di esso, non saremmo umani. 

La “tecnologia del linguaggio” e il linguaggio come tecnologia, è il messaggio che il Prof.  Benanti, esperto in neuroscienze e in neurotecnologie, offre al lettore, guidandolo nell’analisi e nella sorprendente scoperta delle risposte ai molti perché: Com’è nato? A cosa serve? Perché lo abbiamo sviluppato in un certo modo? Qual è il suo futuro? La parola “orale”, cioè il linguaggio sintattico, la scrittura, la stampa e, infine, il dato digitale cosa ci rivelano di noi? 

La tesi che anima questo percorso è che le tecnologie, a partire da una loro forma specifica, cioè la tecnologia della parola, ci hanno permesso di scrivere e riscrivere il nostro orizzonte.  L’artefatto tecnologico è il “luogo” antropologico per eccellenza, il topos che permette di comprendere come la nostra specie sia l’unica che ha potuto cambiare il suo habitat, giungendo addirittura ad abitare fuori dal pianeta. 

La scrittura ha permesso di costruire il mondo della storia, ma è stata la stampa, la tecnologia della parola, che per la prima volta ha cambiato il nostro orizzonte.

Oggi la rivoluzione dell’informazione sta compiendo lo stesso processo ed orienta verso nuovi orizzonti, nuovi alfabeti, nuovi linguaggi, nuovi strumenti di comunicazione “al di là della stampa cartacea”. L’universo digitale appare oggi presente e vicino, efficace e tempestivo, coinvolgente e vincolante.

All’interrogativo che l’Autore, componente della Commissione per l’elaborazione della “Strategia italiana per l’intelligenza artificiale”, pone: “Abbiamo inventato la capacità di inventare?” risponde l’attento lettore che oggi indossa l’abito del “tecnologico digitale ” e, come ha scritto Sebastiano Maffettone nella prefazione, adotta il modello di linguaggio GPT-3 (Generative Pre-addestrato Transformer 3), che sta rapidamente conquistando la curiosità del grande pubblico e, utilizzando l’apprendimento profondo consente di compore poesie, racconti e canzoni in maniera celere, così reali da far pensare a “prodotti scritti da un essere umano” e la creatività artistica diventa consapevolmente “artificiale” e rende visibile l’invisibile

Le tecniche utilizzate per creare GPT-3 potrebbero svelare il segreto di un’intelligenza artificiale molto avanzata capace di apportare novità interessanti anche al settore della robotica.

*Giuseppe Adernò, giornalista