VerbumPress

La Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza

Fermatevi un momento e pensate a una persona illustre che ha lavorato o lavora nella Scienza: vi lascio qualche secondo di silenzio… 

Sono pronta a scommettere che la maggior parte di voi avrà immediatamente visualizzato nella sua testa una figura maschile, probabilmente simile ad Albert Einstein, ma, comunque, a un uomo. Non preoccupatevi, non siete voi. In tanti test effettuati, in Italia in diverse scuole ma anche a livello globale, la media vede il termine “scientist” (neutro in inglese) associato a un maschio, bianco, solitamente con i capelli inciafrugliati e gli occhiali. Tra questi test, il più famoso e ripetuto in varie parti del mondo sin dagli anni sessanta, si chiama “Draw a Scientist” (disegna una “persona di Scienza”): un’analisi dei risultati ottenuti ci dice che il numero di donne disegnate era lo 0,6 % tra il 1966 e il 1977, passato al 28% tra il 1985 e il 2016. Trand positivo, certo, ma ancora molto lontano da quello che dovrebbe essere purtroppo (leggetevi il bel libro “Oltre Marie” di Edwige Pezzulli e Nastassja Cipriani per tante informazioni interessanti su questo tema).

Il problema principale è che noi donne ci siamo avvicinate alla Scienza molto tardi: non perché noi donne non siamo portate per i numeri ma perché siamo sempre state le uniche a dover pensare a tutto il resto, reputate troppo “emotive” per approcciare alle materie scientifiche. E quelle poche che hanno percepito un disturbo nella forza e hanno tentato di andare oltre, di dare un barlume di speranza al proprio esistere, sono state tacciate di essere donnacce, pazze, isteriche, egoiste e cattive madri.

Ipazia d’Alessandria, epoca bizantina, fu bruciata perché atea nel tempo di picco del Cristianesimo e perché amante e divulgatrice della Scienza. A lei dobbiamo l’invenzione dell’astrolabio. 

Marie Sklodowska Curie, classe 1867, unica donna al mondo a vincere due premi nobel, uno per la fisica e uno per la chimica, rischiò di non avere il secondo perché ebbe una storia con un eminente scienziato sposato e quindi avrebbe destato scandalo. Presa la decisione di attribuirglielo comunque, le venne chiesto di non partecipare alla cerimonia. Richiesta, giustamente, del tutto ignorata. 

Vera Rubin Cooper, classe 1968, invitata dal suo professore delle superiori americane a dedicarsi a materie artistiche, col sostegno dei genitori studiò la fisica e l’astrofisica, nonostante alcune università prestigiose non fossero aperte alle donne. E’ una dei genitori del concetto di materia oscura, ma si trovò a dover mettere un foglio di carta a forma di gonna sopra l’omino indicante i bagni degli uomini, vista l’assenza del bagno delle donne (problema riscontrato anche per le razze, come raccontano molto bene il libro e film “Il Diritto di Contare”). 

O ancora Lisa Meitner, classe 1878, scopritrice del processo di fissione nucleare, Rosalind Franklin, classe 1920, la prima ad aver fotografato la forma del DNA e Jocelyn Bell, classe 1943, scopritrice delle pulsar (resti di esplosioni stellari, grandi circa 30km ma con una densità incredibile). Tutte protagoniste del cosiddetto “Effetto Matilda”, descritto per la prima volta dalla storica della Scienza Margaret Rossiter e il cui nome viene dall’attivista americana per il suffragio femminile Matilda Joslyn Gage: in breve, si sono viste sfilare il Nobel da sotto al naso perché concesso a colleghi o superiori uomini (il nome di costoro ve lo dovrete cercare da soli).

E ultima ma non ultima la nostra Samantha Cristoforetti che poté concorrere all’aeronautica militare per il rotto della cuffia, visto che solamente l’anno stesso in cui sarebbe diventata troppo “vecchia” per farlo, l’aeronautica aprì le porte alle donne. La stessa Samantha che nella sua prima missione sulla Stazione Spaziale Internazionale (Missione Futura, anno 2014) non poté effettuare la passeggiata spaziale (chiamata tecnicamente “EVA”, cioè Extrvehicular Activity) per carenza di tute disponibili perché, sapete, le tute fino a pochi anni fa erano ancora quelle tarate su taglie prettamente maschili. La stessa Samantha che, alla partenza per la sua seconda missione sulla ISS di cui sarebbe diventata anche capitana, ha dovuto rispondere alla domanda: “Ma dove lascerai i tuoi figli per i 6 mesi che sarai su?”

Potrei proseguire ma mi fermo perché voglio che arrivi un concetto importante a tutt* voi, che spero possa passare tramite un piccolo monologo che ho scritto di mio pugno per l’evento “Creatività femminile e metodologia scientifica” organizzato dalla “Rete per la Parità” nella sede del Consiglio Nazionale delle Ricerche” a Roma, e che vi riporto qui di seguito (se voleste ascoltarlo interpretato da me, lo trovate qui: https://www.youtube.com/watch?v=hg8C1cWvmxg&t=12464s)

“E’ il 2024. 

Abbiamo combattuto una pandemia, stiamo trovando cure per il cancro, sondiamo l’Universo in modi sempre più complessi, stiamo cercando di combattere il cambiamento climatico e l’Intelligenza Artificiale è ormai una realtà.

Però, ancora spalanchiamo gli occhi scandalizzati se a un bambino piace giocare con una Barbie e facciamo fatica a condividere con una bambina il tifo per una squadra di calcio.

E pensate, stiamo sempre parlando della stessa specie umana, che sonda l’infinita conoscenza ma distingue tra cose “da maschio” e cose “da femmina”, mestieri “da uomo” e mestieri “da donna”.

Io ho scelto di essere una scienziata nella mia vita, un’astrofisica. L’ho scelto d’impulso, non perché sono nata con questa passione, al contrario di molti. Mi piaceva l’Universo, ho rinunciato a medicina e boom… Eccomi qui.

Tutto questo per me è stato normale, non strano, perché i miei genitori mi hanno fatto capire che avrei potuto essere qualsiasi cosa io avessi voluto e sono stati al mio fianco, sempre. E oggi, dopo momenti di panico, sacrifici, attimi di “Oh mio dio ma perché l’ho fatto?”… ce l’ho fatta, sono una scienziata!

I capelli da scienziata ci stanno, giusto? E vi assicuro che sono anche parecchio “cecata” con le mie -6,5 diottrie a occhio, sempre da brava scienziata. Certo, ho scelto le lenti a contatto invece degli occhiali… Ma sono una scienziata lo stesso, no?

Amo indossare vestiti colorati ed estrosi, la bigiotteria rigorosamente abbinata e adoro follemente i tacchi alti. Ma ve lo giuro, sono comunque una scienziata.

Tornata a casa dall’ufficio, non apro di nuovo il computer per continuare a risolvere problemi “spaziali”, perché la vita è piena di cose straordinarie e il mio tempo voglio che possa essere speso su ognuna di loro. Eppure sono una scienziata.

Sono donna e, ahimé, ho il ciclo. Quindi sì, ho momenti di isteria, di depressione, dolori che vanno via soltanto grazie all’Oki (e non quello della Marvel), disagi di ogni genere. Tutti i benedetti mesi. Una settimana al mese. La splendida natura ha deciso di volerci bene così. Eppure riesco a fare la scienziata. E vi dico di più: ogni fase del ciclo mi permette di fare meglio una parte del mio lavoro. Perché servono tutte: l’isterismo, l’entusiasmo, la depressione… Forse i dolori no, in effetti ma tant’è…

Fino a pochissimo tempo fa, non volevo figli, non ne ho mai voluti in realtà, perché ho sempre visto la mia realizzazione personale al primo posto. Eppure sono e resto una donna.

Come risulta evidente a tutt* voi, ho cambiato idea, perché succede nella vita ed è bello così. Ma sono ancora intenzionata a perseguire i miei interessi, a fare carriera nel mio lavoro e ad avere responsabilità al di là di quelle di madre. Eppure sono felicissima di diventare mamma.

….E’ stancante vero?

Quanti eppure, quante spiegazioni. 

Beh, questa è la vita di una donna, di una donna che lavora e che vuole realizzarsi. Una vita fatta di spiegazioni, giustificazioni… A tutt* eh, uomini e donne stesse.

Siamo figlie di una società che ci ha convinte, per secoli e secoli, che il nostro ruolo è e dovrà sempre essere quello di “cura”: cura della casa, cura di nostro marito, cura dei nostri figli, dei genitori (nostri e di nostro marito) … Delle curatrici insomma, ma nel modo gajardo dei chierici in D&D.

Curare. Preservare a ogni costo un mondo che intanto va avanti, lasciando indietro proprio la base su cui appoggia. E questo nostro curare, ci ha tenute lontane da quel futuro, da quel progresso e sì, anche dalla Scienza. Che sia medica, fisica o ingegneristica.

Siamo troppo “emotive” per quelle materie lì. E ci hanno talmente rinchiuso nella nostra stessa emotività che eccoci lì, a sobbarcarci di responsabilità verso gli altri, a curare gli altri, dimenticando di curare noi stesse.

E quelle poche che hanno percepito un disturbo nella forza e hanno tentato di andare oltre, di dare un barlume di speranza al proprio esistere, sono state tacciate di essere donnacce, pazze, isteriche, egoiste e cattive madri. 

Ah, non sto parlando di secoli fa eh, parlo anche di oggi. Se non hai figli, vieni considerata una farfallona senza ruolo che pensa solo a divertirsi. Se hai figli ma decidi comunque, guarda un po’, di esistere come essere vivente al di là dei tuoi figli, vieni considerata un’egoista senza cuore. “Povere creature, messe al mondo e poi abbandonate.” 

“Samantha, come faranno i tuoi figli senza di te per 6 mesi?” – “Beh, saranno col papà.”

Il papà. Infatti, solitamente i genitori sono due, in particolare, nel contesto di questo monologo, una mamma e un papà. Ci avevate mai pensato?

Io ho alla fine deciso di avere un figlio perché accanto ho un uomo che con me fa squadra, da sempre. Che mi ama, moltissimo, ma soprattutto mi stima, stima la mia intelligenza, la mia intraprendenza e il fatto che io abbia 1001 interessi. Un uomo che so che sarà papà come io sarò mamma. E attenzione: non lo fa “per me” ma lo fa perché – assurdo eh – ama questo pulcetto nella mia pancia quanto lo amo io.

Quante e quanti nella storia, come adesso, sono effettivamente una squadra? Ognun* con la propria individualità ma con un legame reciproco indissolubile che permette di entrare nel ruolo necessario al momento necessario? Un numero ridicolo sicuramente e oggi sì, sta aumentando, ma con una lentezza estenuante. Ma d’altronde, siamo in una società che deve far capire alle donne quanto sia “cool” essere madri…

Come di può pretendere che i figli di questa società riescano a fare squadra, se è questa società a non considerare nemmeno l’idea? Una mamma ha 4 mesi di maternità, il papà 10 giorni. Nel 2024.

Ecco perché in passato i nomi delle donne legati alla scienza sono pochi e sconosciuti, quasi sempre solitari e senza famiglia, monacali e sciatte. Non perché noi donne non siamo portate per i numeri ma perché siamo sempre state le uniche a pensare a tutto il resto.

Noi possiamo cambiare questa prospettiva, all’interno della nostra famiglia, insieme. Dobbiamo guardare oltre, crescere i nostri bambini in un mondo dove non esistono ruoli ma dove si collabora, tutti! Dove papà può pulire il bagno e fare il casalingo e mamma può riparare un tubo e fare carriera, dove il “maschietto” può diventare un ballerino di danza classica e amare la moda e la “femminuccia” diventare una scienziata in gamba e essere una tifosa ultrà, dove nessuno, al di fuori di noi stessi, possa avere il diritto di dire cosa sarebbe più giusto e cosa no, dove nessuno, al di fuori di noi, possa avere il diritto di dire cosa sarebbe più giusto e cosa no.

Mamma e papà, mamma e mamma, papà e papà: dobbiamo semplicemente insegnare ai nostri figli che la vita è piena di possibilità e che, quando viviamo nel rispetto degli altri, sono tutte accessibili. Basta volerlo. Dobbiamo essere lì, a ricordarglielo ogni qual volta ne avranno bisogno:

“Ma è da maschio o da femmina?” – Non importa tesoro, è semplicemente da te.”

FONTI

Libro “Oltre Marie” di Edwige Pezzulli e Nastassja Cipriani

Libro “Storie e vite di superdonne che hanno fatto la scienza” di Gabriella Greison

*Martina Cardillo, astrofisica