La formazione del noi
Una società senza famiglia e una famiglia senza società. Con questa premessa di matrice sociologica non è semplice elaborare il concetto del NOI in famiglie problematiche, allargate o addirittura devastate.
Ogni giorno, infatti veniamo a conoscenza, attraverso i media, di fatti orribili e tragici. Il Noi, dunque, deve tener conto del contesto e del brodo culturale in cui potersi sviluppare. Prima bisogna restaurare le falle del tessuto connettivo dell’affettività, e non è impresa da poco. La famiglia dovrebbe seguire un corso di formazione per apprendere il linguaggio comunicativo, che possa superare il conflitto fra l’EGO e l’IO per la realizzazione del SE’. Non si può imporre una formazione del NOI se non si comprende su quale terreno arido e desertico si va a seminare. “Dissodare, arare, concimare, innaffiare e così via” per bonificare il terreno rendendolo fertile al percorso di formazione pedagogica.
Se la famiglia deve diventare un laboratorio creativo bisogna che i suoi protagonisti facciano un corso di teatro e di discipline dello spettacolo come arte terapia, per ritrovare la strada di casa, dimora dell’accoglienza, della responsabilità e del farsi bambini con i figli e giocare. A quale gioco giochiamo? Questo è il problema. La solitudine, il vuoto, il senso dell’abbandono, la mancanza del senso di appartenenza sono vie di devianze personali e sociali. Vanno curate per ritrovare il senso della premura verso l’altro con gratuito volere, nella dimensione affettiva. Se l’altro non c’è il Noi è la chimera degli illusi. Il “NOI” appare nella relazione quasi come un elemento altro dall’IO, in cui i singoli sono più della loro somma. Il “NOI” non può essere una relazione simbiotica e invischiata, o parte di un sistema soffocante e chiuso, ma una relazione sana in cui ciascuno possa esprimersi e non si debba avere paura di perdersi, quindi identità e personalità devono essere strutturate e equilibrate, occorre “riconoscere” l’Altro nelle sue caratteristiche e nella sua unicità, ma anche, che il riconoscimento sia reciproco.
L’oggettività: un mito.
La materia: corpuscoli o onde? (principio di indeterminazione di Heisenberg)
Bisogna imparare ad accettare la complessità e la pluralità delle posizioni, poiché è impossibile definire una cosa in sé in quanto l’osservatore condiziona la realtà: – Non posso avere relazione con un altro se non metto in conto la possibilità di conflitto per una percezione diversa della realtà. Non esiste lo “sbagliato”, ma la “diversità”, perciò non è facile convivere con tante diversità -. Secondo questa ottica è importante il modo di rapportarsi con gli altri in qualsiasi campo di azioni e di relazioni umane. I “punti di vista” sono i diversi modi di rapportarsi, per cui con il così detto “Monismo oggettivo” non esiste possibilità di dialogo, specialmente se questa caratteristica si mantiene nell’adulto: – Sei mio amico solo se sei uguale a me -. Questo esempio rappresenta una semplificazione molto forte dove il vincolo per l’adulto è l’incapacità di discernere, per cui una soluzione sola è quella giusta! Secondo Herman Hesse la realtà non esiste, poiché è una nostra proiezione: “I veri problemi li hanno coloro che credono che esista una sola realtà e contro le immagini non si riesce mai a vincere o a perdere”. Come fare, ad esempio, a non litigare da solo quando ho tanti “punti di vista” dentro di me? Perciò bisogna saper relativizzare il “punto di vista”. Si comprende perché urge la necessità di educare al problema della complessità esterna, la quale viene maggiormente accettata se quella interna è vissuta senza colpe: – Devo abbandonare il mio punto di vista per proiettarmi all’esterno-.
Come imparare, allora, a contrastare? (Pedagogia del conflitto). Il conflitto non è piacevole, ma siccome esiste persino dentro di me, devo imparare ad accettarlo anche fuori di me, gestendolo nel modo migliore.
Quindi conflitto come:
1. Occasione di apprendimento affettivo (la soluzione aggressiva al conflitto è primordiale).
2. Occasione per strutturare la libertà di scelta (ci ritroviamo sovente a ripetere certe modalità se messi di fronte agli stessi stimoli, per cui bisogna imparare a scegliere).
3. Occasione di co-evoluzione (devo comprendere ciò che sta avvenendo, devo decentrarmi per uscire dal mio “IO”; disponibilità, quindi, a rendere parlabili più cose, anche il conflitto).
Come possiamo allora allenare il “Noi” nella famiglia, partendo dalla coppia? Ecco alcuni passi:
– Costruire alcuni spazi per stare insieme, dove lo spazio di relazione assume il ruolo della visione dell’altro, dei suoi bisogni, dell’emozione affettiva fatta di sguardi, di sfioramenti di mani, di tenerezza, di sorrisi, di accoglienza, dialogo.
– Il dialogo intimo può percorrere la strada per superare problemi ed ostacoli comunicativi, dove la discussione non si trasformi in litigio, ma in una conversazione serena, abbattendo i muri dell’incomunicabilità, di cose non dette e di malintesi.
– Condividere le cose più profonde, anche le nostre debolezze, i vissuti e le esperienze, in una sorta di ritrovata complicità amorosa e amorevole.
– Ricercare gli equilibri tra l’io, il tu e il noi: una relazione “buona” dovrebbe esaltare le caratteristiche e le potenzialità di entrambi, e se uno dei due si sente schiacciato o inespresso c’è qualcosa da rivedere e su cui lavorare.
– Se si pensa che sia colpa dell’Altro, non possiamo cambiare gli altri, ma si può iniziare da se stessi, tenendo presente però che la relazione del “Noi” può diventare forte nel momento in cui entrambi i partner si mettono in gioco.
Le crisi familiari a volte possono sembrare inaffrontabili e possono provocare tanto dolore, ma la bellezza dell’amore può ricreare e ritrovare dimensioni sempre nuove, ed è proprio dopo una “ristrutturazione” del Noi che la famiglia può diventare un punto fermo per ricucire le smagliature del tessuto familiare attuando nuove coordinate di comunicazione.
Il progetto educativo che poggia su tali principi si sforza di fornire gli strumenti per affrontare il problema del disagio familiare con ricadute problematiche sui figli.
Tale prospettiva vuole sottolineare la difficoltà di relazione nelle diverse dinamiche familiari.
Inoltre nel ruolo genitoriale si deve parlare poco per non bloccare i processi di attivazione del soggetto, attraverso il fluire del linguaggio della convivenza familiare.
E’ attraverso un dialogo guidato su più argomenti che si sviluppa il confronto di atteggiamenti e comportamenti diversi (i diversi punti di vista); ciò comporterà la modificazione o il rafforzamento di un’opinione personale, su cui avviare un processo di identificazione, che non sia altro da sé.
*Laura Margherita Volante, docente, sociologa, scrittrice, poetessa.