La botanica di Dante
Piante erbacee nella commedia, un itinerario green nella poesia di Dante Alighieri
Fu Fausto Montanari, illustre commentatore della Commedia, a far notare che” Dante è il più francescano di tutti i poeti”, per quel forte senso della fragilità umana e del profondo legame d’amore e riconoscenza dell’uomo verso il suo Creatore, per un rapporto intenso con la Natura che non è rappresentata per se stessa bensì come segno della realtà soprannaturale. La Divina Commedia è ricca di elementi naturali, fenomeni atmosferici, paesaggi, varietà botaniche che testimoniano un’accurata preparazione scientifica e una precisa strategia poetica. “Le cose tutte quante / hanno ordine tra loro, e questo è forma / che l’universo a Dio fa simigliante” dichiara Beatrice nei primi versi del Paradiso e, da uomo del Medioevo, Dante vede la Natura come il grande libro, spesso cifrato, del messaggio di Dio, e non si allontana mai da questa visione simbolica, pur ricercando tutte le sfumature degli scenari naturali. Angelo Manitta, poeta e saggista, nel suo studio “La Botanica di Dante. Piante erbacee nella Commedia”, edito da Il Convivio, offre una chiave di lettura ambientale dell’opera dantesca, un vero e proprio itinerario green alla ricerca dei continui riferimenti al mondo vegetale che il Sommo fa nelle tre cantiche. Con un lavoro attento e mai pedante, l’autore apre gli occhi del lettore su boschi cupi, tronchi ricoperti d’edera, giunchi e bacche di gelso, fresche erbe e odorose rose, “il nome del bel fiore ch’io sempre invoco”. Un viaggio che ha un soffio di leggerezza e, nello stesso tempo, amplia la conoscenza del mondo dantesco, conferma la capacità di sintesi di un grande patrimonio d’informazioni che gli derivava dall’osservazione quotidiana ma anche dall’approfondimento di trattati di erboristeria. Sicuramente ha influito l’approccio appreso durante i suoi anni di formazione presso l’ordine dei Francescani, quella sorpresa e quella meraviglia che scaturisce dalla riflessione della quotidianità e dallo studio. Angelo Manitta ci introduce alle sue fonti, quelle classiche, Virgilio, Orazio, Ovidio, e quelle scientifiche, Plinio e la sua Naturalis Historia, Alberto Magno, Pietro de Crescenzi che gli hanno permesso minuziose descrizioni dell’anatomia delle piante, del loro sviluppo, delle pratiche agricole, di quei semi che nascono, crescono e rappresentano l’eterno peregrinare dell’uomo. Conoscenze botaniche che, insieme all’interesse per l’astronomia, la geografia, allo studio del cosmo e dei minerali, della distribuzione dell’acqua nel territorio, degli animali, degli elementi atmosferici, sono la testimonianza di una straordinaria unità nella cultura di Dante poeta e “scienziato”, la prova che egli aveva ereditato un sapere arrivato dal mondo greco, latino, arabo e, che cercava di rinnovare e di trasmettere. Un percorso sorprendente nella selva oscura, a volte trista, a volte antica, in cui si può riconoscere un robusto cerro, abeti, faggi, e permette d’incontrare anche specie esotiche come l’alloro, il pepe, la mirra, l’incenso. Fra le piante da frutto, quella più citata è il melo, per i suoi fiori piccoli e soprattutto per le mele, il frutto proibito, e c’è il pruno, l’albero spinoso di Pier delle Vigne e poi datteri, fichi e gelsi. Non potevano mancare l’ulivo e la vite e il significato spirituale di quest’ultima, insieme all’erba che ricorre almeno tredici volte. Tante le valenze simboliche dei fiori, rose, viole, gigli, né mancano le piante utili all’uomo, il frumento da cui si producono grano e paglia, e poi il lino, la canapa, la canna di palude, e quelle dannose come l’edera o il trifoglio. In alcuni passi, la vegetazione diventa protagonista, sempre a indicare un percorso, a disegnare un’immagine o creare un’allegoria. Angelo Manitta approfondisce il significato metaforico della spelta e della verbena, dell’edera e del papiro, la simbologia del giunco nel primo Canto del Purgatorio, del loglio e della gramigna, conduce dentro il sapere botanico medievale e, contemporaneamente, analizza criticamente il senso di versi come quello della “festuca in vetro”, l’anima simile a una pagliuzza imprigionata nel ghiaccio del Cocito, quello che riferisce alla puntura dell’ortica, oppure le eccezioni del termine lino. Uno studio accurato e coinvolgente nel quale egli rintraccia i singoli elementi botanici intrecciandoli alle metafore per chiarire concetti e simbologie. Un viaggio sorprendente nella poesia dantesca che ne accresce il fascino, perché profuma di natura viva. Pagine che mostrano quanto Dante Alighieri abbia saputo cogliere l’importanza dell’ambiente, la sua ricchezza, il suo incanto, che sottolineano la sua sorprendente attualità, un senso ecologico universale che attraversa i tempi.
*Fiorella Franchini, giornalista