Italiani all’estero avamposto di promozione culturale, economica e sociale
Intervista esclusiva per Verbum Press a Michele Schiavone Segretario Generale del CGIE
Nato a Fasano (Brindisi) il 18 aprile del 1960 e cresciuto in Puglia fino all’età di 18 anni, quando ha lasciato l’Italia per raggiungere i suoi genitori in Svizzera, Michele Schiavone è l’attuale Segretario Generale del Consiglio Generale degli italiani all’Estero (CGIE) a cui ha dedicato l’impegno della sua vita.
In Svizzera, dopo aver terminato gli studi linguistici, conseguendo il diploma di traduttore, ha collaborato con diverse testate giornalistiche italiane e svizzere e oggi dirige il periodico del partito democratico in Svizzera “Realtà Nuova”.
E a quel “microcosmo formato da donne e uomini, adolescenti, giovani e adulti italiani che continuano a mantenere un legame con l’Italia, con la nostra cultura, con i nostri valori, con le nostre tradizioni e abitudini, attraverso le rappresentanze diplomatiche-consolari italiane se e quando sono presenti, comunque, per favorire la loro integrazione in uno specifico territorio” Michele Schiavone ha dedicato da sempre il suo impegno politico, le sue azioni, la sua voce, i suoi pensieri.
Lei ha vissuto l’emigrazione sia indirettamente, quella dei suoi genitori, sia direttamente quando li ha raggiunti in Svizzera. Come è cambiato secondo lei il modo di emigrare degli italiani? quali differenze e quali similitudini tra i motivi di emigrazione degli anni 60 e quelli attuali?
L’emigrazione italiana racconta una storia antica, ma non diversa da quella di altri popoli. Nel secolo scorso a muoversi erano intere comunità, quasi totalmente agricole, verso il nord Europa o verso i continenti americani. Luoghi in cui hanno affrontato moltissime difficoltà, a partire dalle diverse lingue, e per le condizioni estreme in cui lavoravano. Non era certamente l’Eldorado! Facevano lavori di manovalanza, umili, durissimi, ad altissimo rischio. Basti pensare alle miniere del Belgio. La loro resistenza è stata possibile anche grazie alla formazione delle comunità in cui si ritrovavano con i loro retaggi culturali. E sono riusciti a creare incredibili progressi integrandosi nei vari territori, con gli autoctoni.
Oggi la mobilità è diversa. Chi si trasferisce all’estero ha spesso una professionalità di alto livello, a volte eccellente. Ciò che accomuna i due fenomeni è comunque sempre un bisogno. Ci si sposta per necessità diverse, ma alla radice permane questa condizione ancestrale. Anche la provenienza geografica dei nuovi migranti è cambiata, non solo dal sud Italia, ma anche dalla ricca Lombardia e questo spiega ampiamente quali siano gli obiettivi di miglioramento che persegue chi va all’estero.
La”forza del richiamo delle radici” di un individuo, di una comunità, quanto è determinante nella scelta di impegnarsi, socialmente e politicamente?
Come spesso ha dichiarato il Presidente Mattarella, l’emigrazione dovrebbe essere una scelta e non un obbligo. Ma a chi desidera o è costretto ad andare via, occorre garantire comunque un diritto di cittadinanza transnazionale in quanto protagonisti di un nuovo sviluppo sociale. La formazione eccellente del nostro Paese è ampiamente riconosciuta e apprezzata all’estero.
Per questo scopo nacquero i Comites, i Comitati per la rappresentanza degli italiani all’estero, istituiti con la legge 286/2003 in collaborazione con le rappresentanze diplomatico-consolari. Compito dei Comites è quello di individuare le esigenze di sviluppo sociale, culturale e civile della comunità di riferimento in collaborazione con l’autorità consolare, con le Regioni e con le autonomie locali, nonché con enti e associazioni varie. I Comitati sono altresì chiamati a cooperare con l’Autorità consolare nella tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini italiani residenti nella circoscrizione consolare. A seguito delle elezioni dell’aprile 2015, operano oggi 101 Comites elettivi a cui si devono aggiungere 5 di nomina consolare. I Comitati sono così diffusi: 47 si trovano in Europa, 42 nelle Americhe, 10 in Asia e Oceania e 7 in Africa. Le elezioni che dovevano svolgersi nel 2020 sono slittate causa Covid all’autunno del 2021.
Lei ha affermato che “ per i Comites la strada è tutta in salita”, vuole spiegare perchè? Su cosa dovrebbe maggiormente focalizzare l’attenzione la politica tutta, riguardo alle esigenze degli italiani all’estero?
I Comites rappresentano un avamposto di promozione culturale, formazione, ospitalità, arte, basti pensare ai film per esempio. Sono un’avanguardia di rappresentanza attiva, ma senza gli opportuni strumenti rischiano di diventare marginali nella programmazione politica. Il binomio Comites – Consolati senza collaborazione e senza le necessarie risorse, crea ulteriori difficoltà. Nonostante una grande rete organizzata di associazioni, le stesse sono in forte affanno. La legge sulla rappresentanza attiva degli italiani all’estero va aggiornata e riformata, a partire dagli strumenti, con le nuove tecnologie oggi a disposizione. Innovazioni che possano dare slancio a questa realtà che oggi raccoglie circa 6 milioni di persone. 6 milioni di cittadini che hanno bisogno di servizi e risorse adeguate, politiche mirate e nuove prospettive. Sono persone che in cambio offrono grandi competenze, grandi impegni. Oggi molti italiani sono presenti nelle istituzioni dei Paesi che li hanno accolti: faccio spesso l’esempio del Primo Ministro australiano, Anthony Albanese originario di Molfetta, ma non è l’unico.
Lei è attualmente il nuovo Segretario generale della CGIE, quali programmi, proposte, intenti nell’ambito del suo incarico?
Il Consiglio generale degli italiani all’estero è il massimo organo rappresentativo degli italiani espatriati. Istituito con la legge del 6 novembre 1989 n. 368, la sua funzione principale è l’attività di consulenza del Governo e del Parlamento sui grandi temi delle comunità italiane nel mondo. I numeri sono importanti, se si pensa che oltre ai 6 milioni attualmente censiti come cittadini italiani residenti all’estero, c’è anche la vasta platea degli italodiscendenti che solo in America sono stimati in 150/200 milioni. A costoro va garantito il riconoscimento di soggetti promotori dell’Italia. Sarebbe auspicabile un Ministero dedicato, ma occorre incentivare anche la partecipazione diretta delle Regioni, gli assessorati regionali potrebbero interloquire e coinvolgere le diverse associazioni in uno scambio virtuoso. Rendendo protagoniste queste comunità, queste istituzioni, ne guadagnerebbe l’Italia. C’è l’esempio dell’Emilia Romagna che ha trasferito alcune Università in altri continenti e c’è in programma per l’anno prossimo il gemellaggio tra le città di Genova e San Paolo del Brasile. Sono molti i soggetti che dovrebbero collaborare oltre alle regioni, le province e tutti gli enti che possono valorizzare la cittadinanza attiva di questi connazionali. La 21esima regione non è uno slogan, ma una realtà tangibile che va riconosciuta protagonista dello sviluppo sociale, economico e culturale globale.
*Mira Carpineta, giornalista