Intervista a Renzo Arbore
>> trenincorsa 2.0
Riaprire “Trenincorsa” (Kairòs edizioni), libro da me pubblicato nel 2008, sfogliarlo e ritrovarmi a scorrere le trenta interviste fatte a figure di spicco del panorama contemporaneo, mi riporta come prima e incontrovertibile considerazione, quanto sia cambiato il mondo e il nostro modo di vivere in quest’ultimo decennio.
Rileggere alcune di queste interviste mi porta, forse proprio per la drammatica pandemia che stiamo affrontando in queste settimane, a prendere coscienza di quanto soltanto poco più di dieci anni fa aleggiava una spensieratezza ed un ottimismo che oggi sembra non esserci più, ma al tempo stesso emergono dalle riflessioni di alcuni dei personaggi allora intervistati, segnali di premonizione di un processo di decadimento di valori che oggi appare purtroppo in tutta la sua evidenza.
Una serata al Palapartenope con Renzo Arbore e la sua band. E con in suoi molti ammiratori in sala conquistati una volta di più, nonostante qualche problema di acustica, dall’alternarsi di brani sudamericani con classici della canzone napoletana. Un’ulteriore conferma della predilezione dello showman per le nostre melodie. E del suo forte, indiscutibile legame con la nostra città.
“A casa mia – mi racconta Arbore alla fine della sua esibizione, quando lo raggiungo nel camerino della struttura – la canzone napoletana si respirava con l’aria. Sin da piccolo sono stato affascinato dalle interpretazioni accorate di Roberto Murolo, di cui poi in età adulta sono diventato amico. Ho sempre preferito il tipo di canzone più popolare rispetto a quella cosiddetta nobile, quella che si cantava alla Duchesca, tanto per rendere l’idea. E quando mi trovo con amici, mi diverto ancora molto nel fare a gara a chi ricorda i motivi più antichi e popolari. Negli ultimi tempi ho anche messo insieme, con l’aiuto del computer, un grande archivio della canzone napoletana. E’ uno dei miei passatempi preferiti.” Nelle riflessioni di Arbore emerge una vaga traccia di malinconia, forse di rimpianto.
“Prima la televisione non era così appiattita come oggi: anche il messaggio che viene proposto agli adolescenti mi sembra di livello assai scadente. Prevale l’ossequio alla quantità, troppo spesso afflitta dall’ignoranza. Si dovrebbe invece puntare a una doppia lettura, con un tipo di messaggio che riesca a incontrare il gusto di tutti, delle masse così come delle élites cosiddette colte. Ispirandosi magari al grande Renato Carosone che con il suo brano “Tu vuò fa l’americano” riuscì negli anni Cinquanta a incontrare il consenso degli ambienti più diversi, entrando nel mito con quella e con altre canzoni. Credo che in questo momento stia emergendo, un po’ dovunque, una voglia di novità e di diversità: occorre soprattutto aguzzare l’ingegno”.
Ancora, sui rapporti tra musica e cultura: “Sono stato un divulgatore e lo sono ancora. E non sono stato mai d’accordo con quelli che collegano l’idea di cultura a concetti complicati. Ho sempre creduto nella diffusione di messaggi semplici, alla portata di tutti, che mirino a sensibilizzare e ampliare il pubblico. Non condivido quindi l’idea di relegare la cultura a un ristretto gotha di intellettuali.”
Prima di concludere la nostra chiacchierata, lo showman si lascia andare a un ricordo personale da cui riemerge il suo amore per Napoli: “Mi tornano alla mente i ricordi dei miei anni universitari, quando avevo l’abitudine di fare lunghe passeggiate a piedi esplorando la città. Era un periodo meraviglioso. Tutto era più dolce e Napoli era molto più vivibile.”
Forse il segreto del successo di Arbore sta, oltre che nel suo indiscutibile talento, anche nella capacità tutta sua di riproporre la Napoli classica e non antica; di recuperare e attualizzare in chiave non oleografica, la città della pizza e del mandolino. “ Trovo grave accanirsi contro la cartolina. Perché questa parola deve essere usata in chiave sempre negativa? Non voglio ripudiare quella Napoli incantata a causa dei nuovi messaggi imperanti. E in tal senso continuerò nella mia costante operazione di recupero e divulgazione del patrimonio canoro partenopeo.”
*Annella Prisco, scrittrice, critico letterario, funzionario Regione Campania cultura