Intervista a Vittorio Sgarbi
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La chiacchierata con Vittorio Sgarbi si svolge nella casa studio di mio padre, dove
coesistono letteratura e arte. L’ambiente cattura subito l’interesse dell’ospite che dichiara di apprezzare particolarmente “quelle isole di resistenza privata dove si avverte il senso di difesa delle tradizioni e dei valori ed in cui permangono gusto, sensibilità e cultura”. Poi abbozza un sorriso: “La mia prima occasione napoletana risale a trent’anni fa. Trovai tutto chiuso: musei, chiese, ed ero alla ricerca della chiave per aprire lo scrigno.”
E ancora: “Conservo di quel periodo ricordi formidabili della zona di San Gregorio Armeno, dove tutto era dissestato in attesa di restauro. A Napoli, più che altrove, la gestione privata diventa spesso un prodigio di efficienza”. Sgarbi accenna all’apertura del tesoro di San Gennaro, alla prestigiosa collezione d’arte napoletana ripristinata da Gianni Pisani nell’appartamento di Palazzo Cellammare, e ancora alla raccolta dei pastori nelle case dei Catello, o al presepe dei Leonetti, che sono tra i simboli più evidenti della rinascita privata della città.
Quando però si fa riferimento ad alcune operazioni di restyling effettuate sul territorio, il tono di Sgarbi si fa decisamente più critico, e afferma deciso: “Sugli scempi urbanistici ci sono già state troppe polemiche. Sicuramente il progetto della cancellata di Mendini intorno alla Villa Comunale non andava realizzato, ed è una delle prove di come si butta via il denaro pubblico. La città è stata talvolta martoriata, e purtroppo anche ora che la sensibilità dovrebbe essere più viva e vigile si continua. Ne è un esempio anche la Certosa di Padula che è stata letteralmente invasa da orrori di arte contemporanea. Per quanto riguarda invece la ricostruzione del Rione Terra di Pozzuoli, ritengo che il recupero da un punto di vista archeologico sia stato discreto, tenendo conto che per quelle che erano le condizioni del luogo non si poteva pretendere di più.”
In un momento in cui vanno sempre più scomparendo a Napoli, come un po’ ovunque, botteghe e negozi legati ad una particolare tradizione storica, per lasciare spazio a grandi griffes o megastores, l’opinione di Sgarbi è decisamente contraria “perché – sottolinea – non è possibile trasformare in emporio Armani un negozio o una ditta legata alla tradizione. Bisognerebbe operare una maggiore
tutela dei luoghi deputati a conservare intatto il fascino del loro momento storico, l’omologazione dell’immagine diventa un fatto inaccettabile”.
Accennando alla crisi in cui versa oggi l’Italia, Sgarbi evidenzia la delicata posizione del nostro Paese, affermando che “noi siamo esposti più di altri alla minaccia del terrorismo e ritengo che un accordo con Gheddafi sarebbe l’unico baluardo di garanzia contro il dilagante fanatismo islamico.”
Poi manifesta anche la sua preoccupazione per l’evidente alterazione di alcuni valori essenziali.
“Oggi l’assuefazione a modelli legati esclusivamente al benessere ha fatto disperdere un patrimonio di conoscenze intuitive, religiose e tradizionali. C’è un disprezzo per la cultura contadina che è stato estremamente negativo e dobbiamo sicuramente rimpiangere la distruzione di alcuni capisaldi della tradizione. Non basta conservare il costume”.
E prima di chiudere la chiacchierata, nasce spontaneo un accenno al partito della Bellezza, recentemente proposto da Sgarbi. “Oggi qualsiasi interesse non tiene conto del senso estetico, e il partito della Bellezza sarebbe il tentativo di fare quello che i Verdi hanno fatto per la natura. Recuperare dunque il senso del bello, al di là di qualsiasi schieramento di parte.”
*Annella Prisco, scrittrice